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Guerra dei chip. La Cina azzera l’export di metalli rari

La scelta statunitense di aprire una guerra commerciale contro la Cina, per impedirle di avere e produrre in proprio i microchip indispensabili per una lista infinita di prodotti elettronici ha partorito una conseguenza suicida per l’industria occidentale, ma non sorprendente.

Dopo aver introdotto, a luglio, nuove misure di controllo alle esportazioni di gallio e germanio, ad agosto la Cina ha effettivamente azzerato le vendite all’estero di prodotti lavorati contenenti i due metalli.

A luglio le esportazioni cinesi di germanio erano state di 8,6 tonnellate, mentre quelle del gallio avevano raggiunto le 5,1 tonnellate. Piccoli quantitativi, a prima vista, ma relativi a due metalli usati soprattutto per la fabbricazione di microchip.

La misura appare esplicitamente una ritorsione – arrivata dopo un anno – per la decisione statunitense di vietare la vendita alla Cina di “stampanti per microchip” (un oligopolio di fatti in mano a una manciata di aziende taiwanesi e olandesi).

Ciò nonostante, già a giugno di quest’anno Huawei ha lanciato sul mercato uno smartphone di alta gamma – il Mate60 – contenente un chip “impossibile”.

E’ da ricordare che Huawei ha una struttura azionaria davvero particolare, essendo al 99% teoricamente di proprietà dei lavoratori attraverso il comitato sindacale Huawei Investment & Holding Company Trade Union Committee (che distribuisce loro parte degli utili, per contratto), mentre solo l’1% è in mano al fondatore Zhengfei (la cui figlia Meng Huanzou, nonché amministratore finanziario, era stata arrestata in Canada su mandato Usa nel 2018).

Di fatto, se gli Usa miravano a rallentare lo sviluppo industriale cinese bloccando l’accesso ai mezzi di produzione ad hoc, Pechino restituisce il favore facendo venire a mancare due delle materie prime fondamentali.

Le nuove regole stabilite dal governo cinese, peraltro, non sono formulate come un divieto esplicito, ma semplicemente come un obbligo per le aziende esportatrici di gallio e germanio di ottenere una licenza speciale per l’esportazione di tecnologie dual use, civile e militare.

Vedremo nel prossimo mese se questo “blocco” è totale o costituisce soltanto una strozzatura temporanea che rallenta l’immissione sul mercato mondiale di quei due metalli, visto che i tempi di concessione della “licenza” si aggirano appunto sui due mesi.

Peraltro lo stop arriva dopo un periodo di straordinario aumento delle esportazioni relative. Nei primi otto mesi del 2023, nonostante i due mesi a zero, l’aumento delle esportazioni di germanio erano cresciute del 58%.

I due metalli sono due semiconduttori, non particolarmente rari, ma dai costi di produzione proibitivi.

La Cina, da sola, produce il 60% del germanio mondiale, mentre il resto viene spartito tra Canada, Finlandia, Russia e Usa. Peggio ancora per il gallio, la cui quota cinese supera l’80% del totale. In tutta Europa, per dire, c’è solo uno stabilimento in grado di produrlo, la belga Umicore.

Come si vede, passando dalle “ambizioni” ai fatti (anche puramente produttivi ed economici) l’egemonia imperialista occidentale sul mondo scopre ad ogni passo che gli sta crollando il terreno sotto i piedi. O, come diceva già Mao Zedong, “i reazionari alzano pietre al cielo per lasciarsele ricadere sui piedi”.

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4 Commenti


  • stefano morellini

    “costi di produzione PROIBITIVI “..Contraddizione in termini visto che esiste una produzione


  • andrea

    Sarò anche un ca…..zo, ma vedo che qualcuno mi supera…


  • Luciano Seller

    perché il 99% della Huawei è solo ,”teoricamente ” nelle mani dei lavoratori? Mi sembra interessante per capire l’economia cinese.


    • Redazione Contropiano

      Perché non sono “formalmente azionisti” e non possono votare sulle decisioni dell’azienda. Però, come titolari di “azioni virtuali”, valide finché restano dipendenti, partecipano alla distribuzione dei dividendi annuali, oltre allo stipendio (non proprio tra i più bassi, laggiù)

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