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Quando la Nuestra America ha sconfitto l’Alca

Il direttore di Resumen Latinoamericano ricorda in questo articolo quando i movimenti sociali e i governi progressisti dell’America Latina diciotto anni fa hanno fatto saltare il progetto egemonico Usa dell’Alca, il trattato di libero commercio che sostituì il Nafta.

Possiamo ben dire che la crisi dell’unipolarismo statunitense è cominciata proprio in quello che riteneva il suo “cortile di casa”. Se oggi è possibile immaginare un mondo multipolare è anche perché da anni la rottura avvenuta in America Latina creò le condizioni per immaginare relazioni internazionali diverse. Buona lettura

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Quando oggi la Resistenza palestinese unificata si confronta, in una lotta tremendamente impari contro la criminalità sionista, e la forza incontenibile dei soldati russi continua a denazificare l’Ucraina, vale la pena ricordare un’altra enorme patria incoronata alla vittoria, questa volta nella Nuestra America, avvenuta esattamente 18 anni fa nella città argentina di Mar del Plata.

A quel tempo, era il 5 novembre 2005 e le strade di Mar del Plata brulicavano di folla. Bandiere, tamburi, tamburi e striscioni indicavano un unico obiettivo trasformato in uno slogan: “No all’ALCA”. Si trattava di fermare questo “accordo di libero scambio” interventista con tutte le forze possibili. Inoltre, era assolutamente necessario dimostrare a Bush che il continente non era il suo “cortile di casa”.

La città balneare ospita il Vertice dei Presidenti in cui verrebbe approvata o meno la nefasta iniziativa promossa dagli Stati Uniti e da alcuni dei suoi accoliti. Ma in più, anche lì, il più gigantesco Contro-Vertice che si ricordi in queste terre concluse le sue sessioni in un grande stadio, essendo la figura fondamentale della convocazione nientemeno che il comandante Hugo Chávez.

La giornata è spuntata piovosa, eppure da tutte le parti del paese sono arrivati uomini e donne con tutti i tipi di mezzi di trasporto, i quali avevano ben chiaro che se questo progetto monitorato dall’impero avesse continuato ad avanzare, ogni paese avrebbe perso ancora di più la sua indipendenza e un’ondata di colonizzazione in ambito economico, politico e sociale sarebbe precipitata di nuovo come negli anni ’90 in tutto il continente.

A quel punto, l’ALCA era il fiore all’occhiello per lo sbarco di un nuovo tipo di marines le cui uniformi sarebbero state le tute e cravatte degli amministratori delegati delle multinazionali, desiderosi di divorare le ricchezze ancestrali di ogni territorio.

Per questo e per molti altri motivi, Mar del Plata era diventata improvvisamente il luogo in cui i nessuno, rappresentati da loro stessi e con l’avallo di un pugno di presidenti, avrebbero avuto la missione strategica di fermare il bulldozer di un altro partecipante indesiderabile, George W. Bush, abituato a fare la parte del vincitore, Pensava che il successo gli avrebbe sorriso di nuovo.

Se mancava qualche elemento per aggiungere più colore e calore a quella mattinata, alla stazione ferroviaria di Mar del Plata era arrivato un servizio speciale, battezzato come “Treno ALBA”, in chiaro riferimento all’alternativa liberatoria promossa da Venezuela e Cuba. Vari leader sociali e politici e le cosiddette “personalità” viaggiavano mescolati nei suoi vagoni.

Fu così possibile vedere il leader boliviano Evo Morales, che stava per diventare il primo presidente indigeno del continente, il regista Emir Kusturica, il grande Diego Maradona, che prima di andarsene aveva dichiarato tra gli applausi: “Bush è spazzatura umana e il più grande criminale del mondo“, padre Luis Farinello, Miguel Bonasso e Luis D’Elía (entrambi co-organizzatori di tale iniziativa) e molti altri.

Tutti loro e la folla che li attendeva marciarono rumorosamente lungo la tradizionale Avenida Luro, guidati da Adolfo Pérez Esquivel e Maradona, e in uno degli angoli furono raggiunti da una folta delegazione di cubani, che, sventolando le loro bandiere, erano arrivati con una lettera inviata dal comandante Fidel Castro per sostenere la lotta impari contro l’Impero.

Stratega come sempre, Fidel sapeva che lì si stava giocando una partita che avrebbe potuto cambiare a lungo il destino dell’America Latina e, come era solito fare, si mise a fare tutto il possibile per aiutarla a vincerla.

Nello stadio, stracolmo di folla, con Hugo Chávez come ospite principale, si svolse una grande assemblea popolare che avrebbe mostrato al mondo che l’impero non è invincibile.

In un memorabile discorso, il leader bolivariano, tra battute e canti e dando la parola di volta in volta a diversi leader popolari del continente, ha chiarito il significato dannoso per i popoli che la riaffermazione dell’ALCA avrebbe portato. D’altra parte, ha dato le linee guida per l’iniziativa di solidarietà interregionale ospitata da un progetto come l’Alternativa Bolivariana per le Americhe e i Caraibi (ALBA).

Da quella pedagogia di massa che un comunicatore come Chávez gestiva perfettamente, era chiaro che c’era un estremo bisogno di seppellire l’ALCA a Mar del Plata, e se era necessario rappresentarlo a gesti, chi può dimenticare l’intero stadio che salta e grida insieme a un sorridente Chavez: “FTAA, FTAA,”. Come epilogo di quella festa di paese, Silvio Rodríguez, chitarra alla mano, incoraggiò ancora di più la vittoria.

Qualche tempo dopo, la cerimonia si sarebbe ripetuta in modo più formale, in un vertice di leader al massimo livello, in cui il trio di Chávez, Kirchner e Lula (come era solito fare ripetutamente, Tabaré Vázquez si è vergognosamente cancellato, ritirandosi dal forum prima della definizione finale), rappresentando il desiderio di milioni di latinoamericani e caraibici di mettere i puntini sul leader imperiale, che, con il volto stravolto, ha visto crollare il suo sogno di più opulenza.

L’ALCA era stato doppiamente sconfitto, prima nelle strade (dove in quel momento si bruciavano le bandiere americane e si sentiva “Yankees go home” ad ogni angolo) e nel coraggio di quei tre presidenti che unirono le forze per bloccare l’avanzata predatoria delle multinazionali rappresentate da Bush.

Diciotto anni dopo quell’impresa, le prospettive per il continente non sono le stesse. L’Impero si è riarmato e, con la complicità di diversi suoi amanuensi, co-governa in vari paesi e cerca di recuperare il tempo perduto, attraverso minacce, pressioni e ricatti.

Ancora una volta, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale si intromettono negli affari interni di ogni nazione, aiutati da presidenti e ministri che sembrano preoccuparsi molto poco del fatto che il loro popolo sia per lo più sprofondato nella povertà. Inoltre, formule considerate superate, come i colpi di Stato o gli intrighi di palazzo, hanno prodotto innegabili battute d’arresto.

Solo tre dei paesi che hanno subito questo stigma sono riusciti a superare e riconquistare il governo, Bolivia, Brasile e Honduras, ma nonostante questo, continuano ad essere hackerati dall’impero. Attraverso la resistenza permanente e la conservazione dei valori storici rivoluzionari, Cuba, Venezuela e Nicaragua continuano a resistere e a produrre, per quanto possibile, progressi a beneficio dei loro popoli.

Tutti, alle prese con blocchi e sanzioni imperiali, cercando di destabilizzarli, ma scontrandosi con la forza devastatrice delle popolazioni desiderose di impedire il ritorno di chi tanto male ha fatto quando ha governato.

Un elemento nuovo, quando si parla di minacce, è il fatto che, mano nella mano con l’ultradestra europea e nordamericana, sono apparsi emulatori latinoamericani che, attraverso campagne mediatiche e confusione deliberata instillata nei settori popolari, possono arrivare a governare o lo stanno già facendo in alcuni paesi. Il capitalismo, ancora una volta, si nutre di espressioni fasciste per schiacciare i popoli.

Tuttavia, l’ALBA-TCP è ancora in piedi e tutto ciò che è stato sperimentato in questi anni a livello di alleanza fraterna tra i popoli, nel calore della presenza solidale del Venezuela bolivariano, di Cuba e della Bolivia, insieme ad altri governi progressisti, non è stato vano. Il popolo sa, l’ha vissuto, che c’è un altro mondo diverso da quello offerto dal capitalismo ed è per questo che in ogni paese continuano a ripetersi lotte e sfide al potere costituito.

La porta aperta da quella storica giornata del 5 novembre 2005, che allo stesso tempo è stata la conclusione di centinaia di manifestazioni contro l’ALCA, portate avanti nel corso di diversi anni, dimostra che l’unica ricetta per respingere i nemici attuali (molto simili a quelli di ieri) è la mobilitazione e il coordinamento degli sforzi in tutti gli scenari possibili. ma avendo la strada come vettore principale.

Come ha ripetuto Chávez: “Non si tratta di vincere o morire, dovremo vincere“.

*Direttore di Resumen Latinoamericano

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