Dopo settimane di intense trattative, il PSOE e Junts per Catalunya hanno annunciato ieri l’accordo che dovrebbe garantire a Pedro Sánchez altri quattro anni alla Moncloa e inaugurare contemporaneamente una nuova stagione in cui «risolvere il conflitto storico sul futuro politico della Catalunya».
Il documento firmato dai due partiti a Bruxelles (dove Carles Puigdemont risiede dal 2017) pretende disegnare un ambizioso scenario di medio-lungo periodo nel quale la tenuta dell’accordo è però tutta da verificare.
Le divergenze sostanziali tra le due formazioni permangono intatte e il testo concordato le ribadisce eplicitamente: se da un lato si sottolinea che Junts per Catalunya proporrà un nuovo referendum d’autodeterminazione, dall’altro si avverte che il PSOE difenderà la piena applicazione dello Statuto d’autonomia del 2006 (escludendo così qualsiasi ipotesi d’indipendenza).
Dunque su cosa si è raggiunto l’accordo? Sostanzialmente Sánchez continuerà alla guida dell’esecutivo spagnolo in cambio di una amnistia per gli indipendentisti. Più di 4.000 tra militanti e semplici manifestanti sono interessati al provvedimento.
Ma i contorni dell’amnistia non sono ancora noti. Il testo firmato dal PSOE e da Junts afferma che si applicarà a tutti coloro che «prima e dopo la consulta del 2014 e il referendum del 20017, sono stati oggetto di decisioni e procedimenti giudiziari legati a questi avvenimenti».
Davanti ai giornalisti, Puigdemont ha affermato che il sostegno di Junts al governo del PSOE sarà subordinato in ogni momento al rispetto degli accordi via via raggiunti, a partire dall’amnistia.
Preso atto della reciproca sfiducia, i socialisti e Junts hanno inoltre sottoscritto la necessità di istituire un meccanismo internazionale, evitando così di parlare apertamente della figura di un mediatore, così come proposto originariamente da Puigdemont, al fine di seguire i negoziati.
L’accordo ha provocato un vero e proprio terremoto nello scenario politico spagnolo e catalano. Esquerra Republicana de Catalunya e En Comú Podem l’hanno salutato favorevolmente: i primi sono attestati da tempo sulla linea della gestione dell’autonomia regionale, i secondi scommettono da sempre su una Spagna plurinazionale la cui costruzione è ancora allo stato di mero progetto.
Secondo l’Assemblea Nacional Catalana invece, qualsiasi accordo di legislatura tra i partiti indipendentisti e il PSOE allontana l’indipendenza della Catalunya. L’ANC ha sottolineato anche le incongruenze dell’accordo: «ci sembra una presa in giro proporre un accordo politico che si vuole definire storico ma che è basato sulla semplice riproposizione delle posizioni di partenza delle parti negoziatrici».
Contraria anche la Candidatura d’Unitat Popular, il cui portavoce Xavier Pellicer ha dichiarato che «dopo che nove anni fa più di 2,3 milioni di persone hanno partecipato alla consulta sull’indipendenza, il nostro paese si trova alla fine di un ciclo politico. Junts ha fatto la stessa piroetta di ERC nella scorsa legislatura.
Il patto sottoscritto da Junts non è un accordo bensì un insieme di divergenze che lasciano fuori l’autodeterminazione. Sembra che il suo obiettivo sia più ricostruire i ponti con lo stato, nel quadro della Costituzione spagnola, che risolvere il conflitto con il nostro paese. […]
Con questo patto Junts lega il suo futuro al PSOE e si allontana dalle posizioni indipendentiste. Un patto che si è accordato a porte chiuse e che si è costruito attorno alla necessità di ottenere la fiducia al Congresso».
La CUP ha inoltre presentato alla camera catalana una mozione per rilanciare un nuovo referendum, nella convinzione che lo stato spagnolo accetterà di svolgere una nuova consulta sull’indipendenza solo se costretto dalla pressione popolare. La mozione degli indipendentisti e anticapitalisti, sulla quale ERC e Junts si sono astenuti, non è stata approvata.
La notizia dell’accordo ha inoltre infiammato la destra spagnola. Il Partido Popular ha equiparato l’accordo al tentativo di colpo di stato del 23 febbraio 1981 e ha convocato manifestazioni in tutte le principali città.
Secondo il leader dei popolari, Alerto Nuñez Feijóo, «la Spagna ha perso». A Madrid alcune migliaia di manifestanti si sono concentrati nei pressi della sede del PSOE per protestare contro “il traditore” Sánchez, colpevole di vendere la Spagna agli indipendentisti.
Un nutrito gruppo si è esibito ripetutamente nel saluto fascista e, dopo aver cercato di superare lo sbarramento posto a protezione della sede socialista e bruciato alcuni cassonetti, è stato disperso dalla polizia.
Dal canto loro, le associazioni dei giudici spagnoli hanno sostenuto che l’accordo può portare alla ‘fine della democrazia’, ribadendo così la loro posizione a difesa dell’unità della Spagna e intervenendo ancora una volta pesantemente nel dibattito politico in corso.
A riscaldare ulteriormente gli animi, due ulteriori fatti hanno animato la giornata. Nel primo pomeriggio di ieri uno sconosciuto ha sparato all’ex-presidente del PP catalano, poi transitato per Vox, Aleix Vidal-Quadras, procurandogli una doppia frattura della mandibola.
Già in serata dichiarato fuori pericolo dai medici, Quadras ha indicato nell’Iran il possibile mandante dell’agguato, a suo dire motivato dalla propria relazione con gli oppositori iraniani. I fatti però sono ancora tutti da accertare.
Il Tribunale Europeo per i Diritti Umani ha rifiutato il ricorso presentato da Pablo Hasel e ha sentenziato che la condanna per ‘apologia del terrorismo’, inflittagli dai tribunali spagnoli a causa dei testi delle proprie canzoni, non è sproporzionata.
Hasel aveva fatto appello alla libertà di pensiero e d’espressione ma il Tribunale Europeo ha sostenuto che questi diritti non sono stati violati.
Una delle critiche che la sinistra radicale e l’esquerra independentista muovono all’amnistia appena accordata è proprio quella di non includere casi come quello di Hasel. Il rapper comunista denuncia di essere finito in prigione per la propria ideologia e continua a scontare la lunga pena senza alcun pentimento.
In un poema che ha recentemente scritto in carcere si dice che i giorni di lotta, come il primo ottobre, torneranno, «come la brezza che precede lo tsunami incontrollabile».
Le prossime settimane chiariranno se l’accordo PSOE-Junts è destinato a consolidare la bonaccia indipendentista o se preclude invece a un nuovo tsunami.
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