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Ecuador atto finale: si chiude la cintura militare statunitense nella regione

L’Ecuador approva il trattato militare con gli Stati Uniti, “caldamente” consigliato da parte dei diplomatici a stelle e strisce che si sono affannati a visitare il Paese in queste settimane. Un accordo che segue l’intento di riprendere il controllo del continente, cercando di spezzare le esperienze progressiste degli ultimi decenni e garantendo uno spazio di manovra militare privo di presenze di altre potenze indesiderate.

Poco dopo l’assunzione della direzione del Comando Sur, il braccio militare USA che opera in America Latina, fu la stessa comandante Laura Richardson a dichiarare candidamente in conferenza stampa quanto fosse “strategico” per gli USA riprendere controllo di importanti materie prime, soprattutto il litio, togliendole ai rivali cinesi e russi offrendo il proprio supporto alle multinazionali yankee nella regione.

Ma la collocazione geografica del Paese lo rende strategico soprattutto per le sua acque territoriali che, grazie alla presenza delle isole Galapagos, si estendono per migliaia di chilometri nell’Oceano Pacifico di fatto collidendo con quelle di altri Paesi del Centro America come la Costa Rica, chiudendo una sorta di semicerchio che include Colombia e Panama.

Una posizione preziosa soprattutto rispetto al canale di Panama ma che ancor di più serve agli Usa per blindare i confini meridionali del proprio “giardino di casa” puntando a cancellare i posizionamenti politici indipendenti dalla volontà USA che i governi progressisti hanno messo in campo negli ultimi due decenni.

L’Ecuador è l’ultima parte di una collana di trattati militari stipulati negli ultimi anni tra i Paesi del Pacifico meridionale e gli Stati Uniti. Infatti sia il Perù che il Cile hanno rafforzato la propria collaborazione militare con il Nord America negli ultimi anni. Quest’ultimo, con un accordo di collaborazione militare stipulato nel 2016 e in gran parte segreto, ha avviato varie esercitazioni congiunte nel mare antartico. 

Il trattato

Il presidente Noboa ha firmato il trattato di “collaborazione militare” con gli USA, dopo che la Corte Costituzionale del Paese andino lo aveva giudicato costituzionale nelle scorse settimane.

La decisione della Corte ha impedito di fatto la discussione del trattato nell’Assemblea nazionale dove probabilmente si sarebbe arenato o sarebbe stato direttamente bocciato dato che il primo partito per numero di voti resta il progressista Revolución Ciudadana profondamente contrario.

Il trattato è infatti stato stipulato dal precedente governo del banchiere Lasso e mai discusso in Parlamento, sfruttando il semestre bianco generato dallo scioglimento delle camere che ha portato alle elezioni anticipate e all’attuale governo di Noboa. Un uso spregiudicato di leggi e istituzioni per temi così delicati. 

L’accordo in questione determina una collaborazione militare con la scusa di combattere il narcotraffico, permettendo operazioni militari USA sul suolo e sulle acque ecuadoriane. A questo si aggiunge una lunga lista di immunità e privilegi fiscali a tutti i militari e contrattisti statunitensi in missione nel paese. Sono previsti oltre 95 milioni di dollari in 5 anni, presenza di consiglieri militari nel Paese e programmi di addestramento per ecuadoriani negli Stati Uniti.

Non è il primo atto di cessione di sovranità del Paese, nella primavera dello scorso anno l’Ecuador ha di fatto ceduto il controllo sopra un’immensa porzione di acque territoriali ad un fondo finanziario con sede negli USA in cambio di uno sconto sul proprio debito pubblico. Azione salutata da molti come una rivoluzione della finanza verde: il greenwashing non copre solo la solita speculazione ma anche manovre di posizionamento strategico.  

L’Ecuador torna quindi ad aprire le proprie porte alla presenza statunitense, dopo che il decennio progressista diretto da Correa era riuscito a liberarsi della basa militare nordamericana sul proprio suolo, a togliere il controllo dell’ambasciata USA sui servizi segreti e polizia e ad abbassare drasticamente il livello di criminalità nel Paese attraverso una strategia che univa politiche sociali e rafforzamento delle istituzioni, raggiungendo sorprendentemente il secondo posto come Paese più sicuro del continente in pochi anni.

Per sancire in forma ancora più chiara il completo allineamento con il gendarme del continente, Noboa ha dichiarato che l’equipaggiamento delle forze armate attualmente di origine russa sarebbe stato devoluto al governo ucraino in cambio di 200 mila dollari di nuovo equipaggiamento made in USA. Una decisione che ha portato le relazioni diplomatiche con la Russia sull’orlo della rottura.

Nell’ultima settimana infatti il Cremlino ha bloccato le importazioni dall’Ecuador, generando perdite per milioni di dollari ai principali settori esportatori ecuadoriani, considerando che la Russia è il terzo partner commerciale del Paese. Il colpo è stato così duro che lo stesso presidente Noboa nelle ultime ora ha dovuto fare una acrobatica marcia indietro, smentendo la propria precedente dichiarazione. La sudditanza politica e il dilettantismo si pagano salati.

Il contesto di violenza e caos

La decisione della Corte sulla costituzionalità del trattato avviene durante la condizione di conflitto armato interno al Paese dichiarato il passato 9 gennaio e che determina uno stato di emergenza permanente con uso dell’esercito per operazioni di polizia interna.

A fronte però dei migliaia di operativi di queste settimane, soprattutto nei quartieri popolari, nessun leader delle bande narcos definite obiettivi militari è stato catturato.

Le operazioni hanno visto numerosi casi di violazione della dignità umana, dei diritti minimi delle persone con scene di tortura filmate dagli stessi militari in azione e persecuzione nei confronti della popolazione nera e con tatuaggi. Gli arresti di questi giorni vedono una spaventosa percentuale di minorenni.

In tutto ciò il leader della banda più grande del paese, alias Fito, evaso platealmente dal carcere a inizio gennaio sembrerebbe attualmente rifugiato in Colombia. Paese con la più alta presenza di intelligence, agenzie antidroga e forze armate statunitensi della regione e la cui principale banda narcos-criminale, il Clan del Golfo, è evoluzione diretta dei paramilitari creati per combattere la guerriglia ed eliminare fisicamente la sinistra del Paese.

Oggi quegli stessi cartelli, che dopo trent’anni di “guerra alla droga by USA” continuano ad essere i fornitori del 90% della cocaina consumata negli Stati Uniti, sarebbero i responsabili del caos ecuadoriano.

In questa situazione drammatica il governo porta avanti il suo progetto politico neoliberale bloccando il pagamento dei salari ai dipendenti pubblici e alzando l’IVA sotto pressione del FMI mentre condona evasioni fiscali di decine di milioni di dollari ai principali gruppi imprenditoriali del Paese.

In aggiunta si cerca di aggirare l’Assemblea Legislativa convocando un referendum che cerca di sancire l’immunità di fatto di polizia e militari e la creazione di tribunali indipendenti per giudicarne eventuali crimini ed il loro uso per fronteggiare problematiche interne. Apertamente ci si riferisce al narcotraffico ma è evidente che si mira a colpire le mobilitazioni sociali che negli scorsi anni hanno dimostrato in più momenti forza e capacità di bloccare il Paese bloccando alcune decisioni del governo.

Il paese andino sembra essere nell’occhio di un ciclone che è cresciuto in intensità negli ultimi anni e che si accompagna ad un crescente interesse mostrato da parte degli Stati Uniti e ai suoi bracci diplomatici (FMI e Ong dipendenti da fondi governativi) per le sue sorti.

Ciclone generato in modo sapiente dagli ultimi presidenti con obiettivi precisi: riaprire il Paese e le sue acque territoriali alla presenza militare statunitense; disarticolare il partito progressista di Correa che nonostante la repressione giudiziaria e l’estromissione da oltre 8 anni dal governo continua ad essere la prima forza politica del Paese; potenziare l’azione offensiva e repressiva dello Stato contro le organizzazioni sociali che negli ultimi anni sono riuscite a tenere in scacco e bloccare i vari governi neoliberali e le loro politiche.

Il braccio di ferro sulle Ande ecuadoriane continua ad andare avanti nonostante lo spadroneggiare dei cartelli del narcotraffico e la militarizzazione dello Stato. Le organizzazioni sociali del Paese sono però pronte ad opporsi a progetti di legge neoliberali proposti dal nuovo governo.

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