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Luci e ombre del viaggio di Xi in Europa

Xi Jinping è tornato in Europa a distanza di quasi cinque anni dalla sua ultima visita nel vecchio continente. L’agenda del presidente (dal 5 al 10 maggio in Francia, Serbia e Ungheria ) ha rivelato sia le profonde differenze di politica estera tra i governi europei, sia quelle tra questi ultimi e gli Stati Uniti.

Sebbene in misura diversa, ciò che accomuna Parigi, Belgrado e Budapest è infatti il non completo allineamento alla strategia del “de-risking” della Commissione Europea e Washington, ed è proprio su questo che Xi ha fatto leva per rivolgersi all’Europa, provando a “depoliticizzare” i rapporti economici e commerciali dell’Ue con la Cina.

Francia, l’autonomia strategica di Macron

Xi ha sempre visto di buon occhio l’approccio euro-securitario del presidente francese, Emmanuel Macron, che ha come obiettivo quello di costruire una “autonomia strategica” per l’Europa. La soluzione francese di sicurezza e difesa europea allontanerebbe l’Unione dagli Stati Uniti, la renderebbe più indipendente in termini strategici e la trasformerebbe in un interlocutore autonomo.

Dunque, nel bilaterale Xi-Macron ampio spazio è stato dato alle questioni internazionali. I due governi hanno tra l’altro pubblicato una dichiarazione congiunta sul conflitto a Gaza nella quale si chiede il cessate il fuoco e il rilancio della soluzione dei due Stati (Israele e Palestina).

A Pechino, Macron vanta il titolo di “vero interlocutore europeo”, è questo il motivo per cui la missione di Xi è partita proprio da Parigi. Assieme a Macron Xi ha partecipato a un trilaterale con la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, durante il quale sono stati affrontati temi maggiormente di natura commerciale, energetica e industriale.

In attesa del verdetto dell’inchiesta della Commissione sui “sussidi illegali” alle auto elettriche cinesi importate nella Ue – che potrebbe portare a un aumento dei relativi dazi già dal prossimo mese di luglio – la Presidente von der Leyen ha espresso ancora una volta la preoccupazione dell’esecutivo comunitario per l’eccesso di capacità produttiva dell’industria cinese e per la dipendenza dalla Cina per materie prime critiche.

La Cina e la Francia hanno firmato una serie di accordi di cooperazione tra agenzie governative in settori tra i quali l’aviazione, l’agricoltura, lo sviluppo ecologico e la cooperazione tra PMI. È stata inoltre rafforzata la cooperazione Parigi-Pechino nel settore agricolo e nell’intelligenza artificiale.

Serbia, via i dazi dal 95 per cento dell’interscambio

Il 7 maggio 1999 la NATO, nell’ambito dell’operazione “Allied Force” contro la Jugoslavia, bombardò l’ambasciata cinese a Belgrado, uccidendo tre giornalisti cinesi. Quando Xi ha incontrato il presidente Aleksandar Vučić ricorreva esattamente il XXV anniversario di quel tragico evento.

Per la Cina, è stata un’occasione per mandare un messaggio agli Stati Uniti e alla Nato, ribadendo l’invito ad abbandonare la “mentalità da guerra fredda”. Secondo Pechino, la mentalità del secolo scorso non si presta al superamento delle attuali sfide globali, ma, al contrario, alimenta divisione e antagonismo.

Xi Jinping ha espresso l’approccio “alternativo” della Cina in una serie di documenti programmatici, tra cui “A Global Community of Shared Future: Proposals and Actions” pubblicato a settembre dello scorso anno.

Dunque, da un lato la critica alla NATO – e a Washington – dal luogo simbolo par excellence, e dall’altro la dimostrazione degli ottimi rapporti con Belgrado. Anche da un punto di vista economico e commerciale, Xi e Vučić hanno firmato 29 importanti accordi. In particolare, all’interno del partenariato denominato “futuro condiviso”, i due paesi hanno concluso un accordo di libero scambio, che entrerà in vigore il 1° luglio, che prevede l’eliminazione dei dazi su quasi il 95 per cento delle esportazioni della Serbia verso la Cina, nonché l’aumento delle esportazioni di prodotti cinesi.

Ungheria, avamposto della via della Seta nella Ue

In seguito all’uscita dell’Italia dalla Belt and Road Initiative (Bri), l’Ungheria resta uno dei pochi paesi europei all’interno del progetto strategico cinese. Le riunioni tra il premier Viktor Orbán e Xi hanno toccato temi di natura commerciale, industriale e infrastrutturale.

In particolar modo, nell’ambito della Bri è prevista la ricostruzione della ferrovia che collega Belgrado a Budapest (2,1 miliardi di dollari in gran parte finanziati da Pechino) e l’apertura di due stabilimenti di auto elettriche (di BYD e Great Wall Motors, quest’ultimo non ancora ufficializzato).

Ad oggi, l’iniziativa della nuova via della Seta continua in Europa a livello bilaterale attraverso quei paesi, come l’Ungheria, che non sono allineati con Washington per quanto riguarda la politica sulla Cina. Xi e Orbán, in questa occasione, hanno firmato una serie di accordi commerciali su infrastrutture, ferrovie, energia nucleare, economia digitale e intelligenza artificiale.

Tra i tanti progetti vi è la realizzazione dell’impianto per le batterie a litio di CATL e di una linea ferroviaria che collegherà Budapest all’aeroporto. In vista della presidenza di turno ungherese dell’Unione europea (dal prossimo 1° luglio) il legame tra i due paesi è stato elevato a partnership strategica “per ogni stagione”.

Dove vanno Pechino e Bruxelles

Il viaggio di Xi e gli incontri bilaterali hanno offerto una visione d’insieme della politica estera di Pechino nei confronti dell’Europa. Da un lato, la Cina nel dopo-pandemia ha messo in campo un grosso sforzo diplomatico per ristabilire i legami con un’Unione Europea nel complesso decisamente diffidente nei confronti di Pechino.

Dall’altro lato, nelle relazioni con Bruxelles continua a pesare come un macigno il posizionamento della Cina nei confronti della guerra in Ucraina – che dalla Cina viene definita “crisi”.

È indubbio che la Cina abbia pianificato il tour europeo per raggiungere obiettivi strategici. Nello specifico, (1) sanare le relazioni con l’Europa danneggiate dalla quasi-alleanza sino-russa; (2) mitigare l’agenda di sicurezza economica dell’UE nei confronti della Cina; (3) e dare prova dei solidi legami di Pechino con i suoi partner storici Serbia e Ungheria.

Se limitatamente a quest’ultimo punto il viaggio di Xi può ritenersi un successo, per raggiungere i primi due obiettivi non può essere bastata la trasferta del presidente. Infatti finché continuerà la guerra in Ucraina, le strette relazioni con Mosca – che Pechino non intende allentare, perché animate dal comune timore per i “regime change” promossi dagli Usa – non potranno che continuare a influire molto negativamente su quelle tra Pechino e Bruxelles.

Mentre per quanto riguarda il cosiddetto “de-risking”, bisognerà attendere le prossime settimane e i primi risultati dell’inchiesta della Commissione sulle auto elettriche per capire che risultati avrà ottenuto il pressing di Pechino.

Le relazioni tra Cina e UE sono sempre in divenire e il dialogo tra Pechino e Bruxelles in corso, per questo l’importanza delle visite di Stato del Presidente Xi sta nell’aggiungere tasselli al grande puzzle delle relazioni sino-europee per giungere ad un livello di cooperazione tale da sradicare il concetto di “minaccia cinese”.

A differenza del dialogo con gli Stati Uniti però, quello con l’Ue è bidirezionale e differenziato a seconda delle politiche da trattare. Infatti, sebbene ufficialmente esista una posizione europea sulla Cina (in linea con quella di Washington), gli stati membri costruiscono relazioni diplomatiche, economiche e commerciali bilaterali con la Cina, in quanto la politica estera resta appannaggio degli stati membri.

A dicembre scorso, il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) ha pubblicato una sintesi intitolata “EU China Relations” che, riprendendo le parole della Commissione Europea nello Strategic Outlook del 2019, esordisce così: “L’UE vede la Cina come un partner per la cooperazione, un concorrente economico e un rivale sistemico.”

I principali terreni di scontro sono la posizione della Cina sulla guerra d’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina, il mercato, gli investimenti, i diritti umani e i principali temi di politica estera e di sicurezza.

Per Pechino, però, gli aggettivi usati dall’Ue per definire la Cina sono incoerenti con la realtà dei fatti. Invero, come afferma il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, queste etichette – partner, concorrente e rivale sistemico – causano inutili distrazioni e contribuiscono a incrinare i rapporti.

«È come guidare fino ad un incrocio e trovare le luci rosse, gialle e verdi tutte accese allo stesso tempo. Come si fa a proseguire?», ha dichiarato Wang. Al contrario, per la Cina l’unica etichetta corretta è quella di “partner” poiché lo sviluppo dei Paesi è vantaggio reciproco e il multilateralismo è la chiave per facilitare il dialogo tra civiltà differenti.

* da Rassegna Cina

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