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La Lega Araba vuole l’intervento dell’ONU per fermare il genocidio dei palestinesi

Si è aperto ieri il summit annuale della Lega Araba a Manama, in Bahrein, che ovviamente quest’anno ha al centro del dibattito la situazione di Gaza. Le posizioni dei vari membri sono assai differenziate nei confronti di Israele e del sostegno alla causa palestinese, ma quest’anno potrebbero raggiungere un’intesa molta concreta.

Infatti, sulla piattaforma online del giornale egiziano Al Ahram è stata diffusa la notizia che nella dichiarazione finale dell’incontro ci sarà un appello per “dispiegare forze di protezione internazionale e di mantenimento della pace sotto il controllo delle Nazioni Unite nei territori palestinesi occupati”.

Non più solo sostegno umanitario tramite l’UNRWA, ma si chiederebbe ora la presenza armata dei caschi blu. Essi dovrebbero garantire la cessazione dei combattimenti “fino al raggiungimento della soluzione dei due Stati”, che rimane l’opzione perseguita dalla Lega Araba.

Nella dichiarazione è prevista anche la richiesta del ritiro delle forze di Tel Aviv dalla Striscia di Gaza e la riapertura di tutti i valichi per garantire gli aiuti che sono stati bloccati (e spesso distrutti) sia dalle truppe sia dai coloni sionisti. Viene inoltre domandato il rilascio di prigionieri e detenuti, da entrambe le parti, sembra.

Nel testo sarebbe poi ribadito il “rifiuto categorico di qualsiasi tentativo di sfollare con la forza i palestinesi dalle loro terre nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est”. Allo stesso tempo, sono respinte le ragioni del “terrorismo”, così come è sottolineata la necessità di “tagliare le sue fonti di finanziamento”.

Una posizione del genere si sentiva già nell’aria dopo le parole del segretario generale della Lega Araba, Ahmed Aboul Gheit, durante il Consiglio degli Esteri che ha preceduto il summit ora in corso. Sul massacro dei palestinesi aveva detto: “il mondo dovrebbe essere pronto a dichiararlo chiaramente come pulizia etnica”.

Parole dure che vanno di pari passo alla votazione dell’Assemblea ONU per l’ingresso ufficiale della Palestina. Ma oltre a questo, vi è sicuramente anche una forte spinta da parte del Cairo, tra i mediatori delle trattative tra Tel Aviv e la resistenza palestinese.

Lo scorso fine settimana l’Egitto aveva dato l’annuncio di volersi unire alla causa intentata dal Sudafrica per genocidio, presso la Corte Internazionale di Giustizia. Nei giorni scorsi le relazioni con Israele sono arrivate al punto più basso dai tempi del trattato di pace del 1979.

Sameh Shoukry, ministro degli Esteri egiziano, ha criticato l’occupazione sionista del valico di Rafah, che ha portato Israele al “pieno controllo sul confine con l’Egitto per la prima volta da quando ha ritirato i suoi soldati e coloni dalla Striscia nel 2005”.

Il Wall Street Journal ha riportato che Il Cairo sta valutando la possibilità di declassare i rapporti diplomatici con Tel Aviv. Proprio ieri, inoltre, due fonti di sicurezza egiziana hanno diffuso l’informazione per cui l’Egitto abbia respinto la proposta israeliana per il coordinamento della riapertura del valico di Rafah.

Non sembra quindi casuale che sia stato proprio un giornale egiziano a diffondere in anticipo la notizia del contenuto della dichiarazione finale della Lega Araba. Esso diventa un altro strumento di pressione, in un gioco complesso che ha al centro la Palestina, ma che riguarda gli equilibri di tutto il Medio Oriente.

Gli Accordi di Abramo e la progressiva normalizzazione dei rapporti del settore era finita in un’impasse già con l’operazione russa in Ucraina, e tanto più con l’escalation successiva al 7 ottobre. Ma ora gli Stati Uniti vogliono riprendere questa strada, per rilanciare il contrasto all’Iran una volta finito il massacro dei palestinesi.

Anche la Cina ha tentato di porsi come alternativa di mediazione, ma rimane il convitato di pietra di tutta la faccenda: il ‘cane pazzo’ Israele. Non si può fare alcun avanzamento finché Tel Aviv uccide, bombarda e spinge da una parte all’altra centinaia di migliaia di sfollati.

Con l’ennesimo annuncio di forniture militari a Israele, Washington mostra come non abbia alcuna vera intenzione di porsi di traverso alle mire israeliane. Allo stesso tempo, però, Israele non risponde più a nessuno: né alla filiera euroatlantica, né all’ONU.

Dopo aver finanziato e foraggiato l’apartheid, l’occupazione, il massacro, come è già successo in passato con i talebani e con l’ISIS, i fascisti sionisti sono sfuggiti di mano agli USA. La resistenza palestinese non è solo la difesa dei diritti del suo popolo, ma è anche l’unica opzione che significa fermare un elemento di accelerazione della “guerra mondiale a pezzi”.

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