“Alti funzionari del governo e della sicurezza israeliani hanno supervisionato un’operazione di sorveglianza durata nove anni che ha preso di mira la CPI e i gruppi per i diritti dei palestinesi per cercare di ostacolare un’indagine sui crimini di guerra”. La rivelazione arriva da un’indagine congiunta di Yuval Abraham e Meron Rapoport, di Local Call +972, In collaborazione con Harry Davies e Bethan McKernan del The Guardian.
Da quanto emerge dall’inchiesta l’operazione “multi-agenzia”, che risale al 2015, ha visto la comunità di intelligence israeliana sorvegliare regolarmente l’attuale procuratore capo della Corte Karim Khan, il suo predecessore Fatou Bensouda e decine di altri funzionari della CPI e delle Nazioni Unite.
L’intelligence israeliana ha anche monitorato il materiale che l’Autorità Palestinese ha presentato all’ufficio del procuratore e ha sorvegliato i dipendenti di quattro organizzazioni palestinesi per i diritti umani le cui denunce sono al centro dell’indagine.
Secondo le fonti dei giornalisti, “l’operazione segreta ha mobilitato i più alti rami del governo israeliano, la comunità dei servizi segreti e i sistemi legali civili e militari al fine di far deragliare l’indagine”.
Di fatto, l’intero apparato di potere israeliano.
Le informazioni di intelligence ottenute attraverso la sorveglianza sono state trasmesse a un gruppo segreto di avvocati e diplomatici del governo israeliano, che si sono recati all’Aia per incontri riservati con funzionari della Corte penale internazionale nel tentativo di “fornire a [il procuratore capo] informazioni che le avrebbero fatto dubitare delle basi del suo diritto di occuparsi di questa questione”.
L’intelligence è stata utilizzata anche dall’esercito israeliano per aprire retroattivamente indagini su incidenti che interessavano la CPI, per cercare di dimostrare che il sistema legale israeliano è in grado di chiedere conto del proprio operato.
Il Mossad, l’agenzia di intelligence di Tel Aviv, ha condotto un’operazione parallela che ha cercato di ottenere informazioni compromettenti su Bensouda e sui suoi familiari più stretti, nel tentativo di sabotare l’indagine della CPI.
L’ex capo dell’agenzia, Yossi Cohen, ha tentato personalmente di “arruolare” Bensouda e di manipolarla affinché assecondasse i desideri di Israele.
L’indagine si basa su interviste a più di due dozzine di attuali ed ex funzionari dell’intelligence e del governo israeliano, ex funzionari del CIC, diplomatici e avvocati che hanno familiarità con il caso della CPI e con gli sforzi di Israele per minarlo.
“Secondo queste fonti, inizialmente l’operazione israeliana ha tentato di impedire alla Corte di aprire un’indagine penale completa; dopo che un’indagine completa è stata avviata nel 2021, Israele ha cercato di assicurarsi che non arrivasse a nulla”.
Se questo è il precedente, possiamo solo lontanamente immaginare fino a che punto si possa essere spinta la guerra sporca dell’intelligence israeliana contro l’attuale azione legale lanciata dal SudAfrica alla Corte di Giustizia Internazionale dell’Aja.
E non si tratterebbe di “servizi segreti deviati”, agenti motu proprio all’interno del sistema di poteri sionista, perché “Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu si sarebbe interessato molto all’operazione, inviando persino alle squadre di intelligence ‘istruzioni’ e ‘aree di interesse’ per il monitoraggio dei funzionari della CPI. Una fonte ha sottolineato che Netanyahu era ‘ossessionato, ossessionato, ossessionato’ dallo scoprire quali materiali ricevesse la CPI”.
Il Primo Ministro aveva buone ragioni per essere preoccupato: pochi giorni fa, Khan ha annunciato che il suo ufficio sta cercando di ottenere mandati di arresto per Netanyahu e il Ministro della Difesa Yoav Gallant, così come per tre leader delle ali politiche e militari di Hamas, in relazione a presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi il 7 ottobre o successivamente.
L’annuncio ha chiarito che ulteriori mandati – che teoricamente espongono “i ricercati” all’arresto nel caso in cui si rechino in uno dei 124 Stati membri della Corte penale internazionale – potrebbero essere emessi.
Per i vertici di Israele, l’annuncio di Khan non è stata una sorpresa. Negli ultimi mesi, la campagna di sorveglianza contro il procuratore capo “è salita in cima all’agenda”, secondo una fonte anonima, dando così al governo una conoscenza anticipata delle sue intenzioni.
Possiamo supporre che Khan non fosse completamente all’oscuro di tali manovre.
Nelle sue dichiarazioni, Khan ha infatti lanciato un avvertimento criptico: “Insisto che tutti i tentativi di ostacolare, intimidire o influenzare impropriamente i funzionari di questo tribunale devono cessare immediatamente”.
Affermano i giornalisti “ora siamo in grado di rivelare i dettagli di parte di ciò contro cui stava mettendo in guardia: La “guerra” di nove anni di Israele contro la Corte penale internazionale”.
A differenza della Corte internazionale di giustizia (CIG), che si occupa della legalità delle azioni degli Stati – e che la scorsa settimana ha emesso una sentenza che invita Israele a fermare la sua offensiva nella città più meridionale di Gaza, Rafah, nel contesto della petizione del SudAfrica che accusa Israele di aver commesso un genocidio nella Striscia – la CPI si occupa di individui specifici sospettati di aver commesso crimini di guerra.
Israele ha a lungo sostenuto che la CPI non ha la giurisdizione per perseguire i leader israeliani perché Israele non è un firmatario dello Statuto di Roma che ha istituito il tribunale, e la Palestina non è uno Stato membro a pieno titolo delle Nazioni Unite.
Tuttavia, la Palestina è stata riconosciuta come membro della CPI al momento della firma della convenzione nel 2015, dopo essere stata ammessa all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite come Stato osservatore non membro tre anni prima.
L’ingresso della Palestina nella Corte penale internazionale
L’ingresso della Palestina nella Corte penale internazionale è stato condannato dai leader israeliani come una forma di “terrorismo diplomatico”. “È stato percepito come il superamento di una linea rossa, e forse la cosa più aggressiva che l’Autorità Palestinese abbia mai fatto nei confronti di Israele nell’arena internazionale”, ha spiegato un funzionario israeliano.
Subito dopo essere diventata membro della Corte, l’Autorità palestinese ha chiesto all’ufficio del procuratore di indagare sui crimini commessi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, a partire dalla data in cui lo Stato di Palestina ha accettato la giurisdizione della Corte: 13 luglio 2014.
Fatou Bensouda, all’epoca procuratrice capo, ha avviato un esame preliminare per determinare se i criteri per un’indagine completa potessero essere soddisfatti.
Ed è subito scattata la contro-mossa di Israele.
“Temendo le conseguenze legali e politiche di un’eventuale azione penale, Israele si è affrettato a preparare squadre di intelligence dell’esercito, dello Shin Bet (intelligence interna) e del Mossad (intelligence estera), insieme a una squadra segreta di avvocati militari e civili, per guidare lo sforzo di impedire un’indagine completa della Corte penale internazionale. Tutto questo è stato coordinato dal Consiglio di Sicurezza Nazionale (NSC) di Israele, la cui autorità deriva dall’Ufficio del Primo Ministro”.
“Tutti, l’intero establishment militare e politico, erano alla ricerca di modi per danneggiare il caso dell’Autorità palestinese”, ha detto una fonte dell’intelligence.
E se l’esercito formalmente non era della partita, aveva tutto l’interesse affinché questo progetto fosse portato avanti.
“Ci è stato detto che gli alti ufficiali hanno paura di accettare incarichi in Cisgiordania perché temono di essere perseguiti all’Aia”, ha ricordato un’altra fonte.
Ma i bersagli di Israele erano le stesse organizzazioni palestinesi per i diritti umani.
Secondo numerose fonti, il Ministero degli Affari strategici israeliano, il cui obiettivo dichiarato all’epoca era quello di combattere la “delegittimazione” di Israele, era coinvolto nella sorveglianza delle organizzazioni palestinesi per i diritti umani che presentavano rapporti alla Corte penale internazionale.
Gilad Erdan, all’epoca capo del ministero e ora rappresentante di Israele presso le Nazioni Unite, ha recentemente descritto la ricerca di mandati di arresto per i leader israeliani da parte della CPI come “una caccia alle streghe guidata dal puro odio per gli ebrei”.
Israele sorvegliava gli scambi privati di Bensouda con funzionari palestinesi sul caso dell’Autorità palestinese e condivisi ampiamente all’interno della comunità di intelligence israeliana.
E qui emerge un altro particolare a cui il grande pubblico è abituato e che richiama l’immaginario del film poliziesco, ma questa volta non si tratta di una qualche oscura organizzazione criminale particolarmente complessa.
“L’ex procuratore non è stato l’unico bersaglio. Decine di altri funzionari internazionali legati all’indagine sono stati sorvegliati allo stesso modo. Una delle fonti ha detto che c’era una grande lavagna con i nomi di circa 60 persone sorvegliate – metà palestinesi e metà di altri Paesi, compresi funzionari delle Nazioni Unite e personale della CPI all’Aia“.
Oltre a monitorare il materiale presentato dall’Autorità palestinese alla Corte penale internazionale, l‘intelligence israeliana ha monitorato anche gli appelli e i rapporti dei gruppi per i diritti umani che includevano testimonianze di palestinesi che avevano subito attacchi da parte di coloni e soldati israeliani; Israele ha quindi sorvegliato anche questi testimoni.
Specifica l’inchiesta: “secondo le fonti, gli obiettivi principali della sorveglianza erano quattro organizzazioni palestinesi per i diritti umani: Al-Haq, Addameer, Al Mezan e il Centro palestinese per i diritti umani (PCHR). Addameer ha inviato appelli alla Corte penale internazionale sulle pratiche di tortura contro prigionieri e detenuti, mentre gli altri tre gruppi hanno inviato nel corso degli anni numerosi appelli riguardanti l’impresa di insediamento di Israele in Cisgiordania, le demolizioni punitive di case, le campagne di bombardamento a Gaza e specifici alti dirigenti politici e militari israeliani.”
Delegittimare la campagna BDS
Ma gli obiettivi israeliani non erano rivolti solo alle organizzazioni palestinesi e alle loro denunce, ma anche al fatto che queste potessero essere “usate” per legittimare la campagna di Boicottaggio, Dis-investimento e Sanzioni nei confronti dello Stato d’Israele.
Continuano i giornalisti: “una fonte dell’intelligence ha detto che il motivo per sorvegliare le organizzazioni è stato dichiarato apertamente: danneggiano la posizione di Israele nell’arena internazionale“.
“Ci è stato detto che si tratta di organizzazioni che operano nell’arena internazionale, che partecipano al BDS e che vogliono danneggiare Israele dal punto di vista legale, quindi vengono monitorate anche loro”, ha detto la fonte. “È per questo che ci stiamo impegnando. Perché può danneggiare persone in Israele – ufficiali, politici”.
E qui è il punto politico di fondo, l’azione intendeva evitare l’isolamento israeliano attraverso la perdita di consenso a causa del suo operato, che tutto l’establishment politico-militare sionista sapeva benissimo essere criminale e quindi passibile di conseguenze legali per il diritto internazionale.
Un vero e proprio “Stato canaglia”, insomma, che cerca di farla franca con ogni mezzo.
Naturalmente l’azione di delegittiminazione di Israele nei confronti dei gruppi palestinesi per i diritti umani era quella di farli considerare “organizzazioni terroristiche”.
Una tecnica non diversa da quegli Stati del blocco euro-atlantico nei confronti di chi si oppone al genocidio, dove, come in Francia vieni indagato per “apologia di terrorismo” anche il portavoce del maggior gruppo parlamentare dell’opposizione.
E qui emerge un altro particolare, l’uso del software spia Pegasus, al centro di uno scandalo internazionale.
Non è un segreto che gli strumenti tecnologici israeliani per il controllo dei palestinesi, vengano venduti senza troppe domande sul loro utilizzo agli acquirenti sul mercato internazionale.
Riferiscono i giornalisti che “secondo una fonte dell’intelligence, lo Shin Bet – che ha dato la raccomandazione iniziale di mettere fuori legge i sei gruppi – ha sorvegliato i dipendenti delle organizzazioni e le informazioni raccolte sono state utilizzate da Gantz quando le ha dichiarate organizzazioni terroristiche. All’epoca, un’indagine di Citizen Lab aveva individuato il software spia Pegasus, prodotto dall’azienda israeliana NSO Group, sui telefoni di diversi palestinesi che lavoravano in queste ONG.”
La cooperazione tra intelligence ed avvocati israeliani per far fallire le indagini
Secondo fonti dell’intelligence, un ulteriore uso delle informazioni ottenute tramite la sorveglianza è stato quello di aiutare gli avvocati coinvolti in conversazioni segrete con i rappresentanti dell’ufficio del procuratore dell’Aja.
Questi avvocati si avvalevano delle informazioni fornite loro dell’intelligence.
In questa fase, Bensouda era ancora impegnata in un esame preliminare prima della decisione di aprire un’indagine formale. Una fonte dell’intelligence ha detto che lo scopo delle informazioni ottenute attraverso la sorveglianza era “far sentire a Bensouda che i suoi dati legali non erano affidabili”.
Dato che Israele si è rifiutata di riconoscere l’autorità e la legittimità del tribunale, tuttavia, per la delegazione era fondamentale che questi incontri rimanessero segreti. Una fonte che ha familiarità con gli incontri ha detto che i funzionari israeliani hanno ripetutamente sottolineato alla CPI che “non possiamo mai rendere pubblico che stiamo comunicando con voi”.
Gli incontri tra Israele e la CPI si sono conclusi nel dicembre 2019, quando l’esame preliminare di Bensouda, durato cinque anni, ha concluso che esisteva una base ragionevole per ritenere che sia Israele che Hamas avessero commesso crimini di guerra.
Tuttavia, anziché avviare immediatamente un’indagine completa, il procuratore ha chiesto ai giudici della Corte di pronunciarsi sulla giurisdizione di esaminare le accuse a causa di “questioni legali e fattuali uniche e altamente contestate” – che alcuni hanno visto come un risultato diretto dell’attività di Israele.
Nel 2021, i giudici della Corte hanno stabilito che la CPI ha giurisdizione su tutti i crimini di guerra commessi da israeliani e palestinesi nei Territori palestinesi occupati, così come sui crimini commessi dai palestinesi in territorio israeliano. Nonostante sei anni di sforzi israeliani per impedirlo, Bensouda ha annunciato l’apertura di un’indagine penale formale.
Ma si trattava di una conclusione tutt’altro che scontata. Pochi mesi prima, la procuratrice aveva deciso di abbandonare l’esame dei crimini di guerra britannici in Iraq perché convinta che la Gran Bretagna avesse intrapreso un’azione “genuina” per indagare su di essi.
Secondo alti giuristi israeliani, Israele si è aggrappato a questo precedente e ha avviato una stretta collaborazione tra l’operazione di raccolta di informazioni e il sistema giudiziario militare.
Secondo le fonti, uno degli obiettivi principali dell’operazione di sorveglianza israeliana era quello di consentire ai militari di “aprire indagini retroattive” sui casi di violenza contro i palestinesi che arrivano all’ufficio del procuratore dell’Aia.
In questo modo, Israele intendeva sfruttare il “principio di complementarità”, che afferma che un caso è inammissibile davanti alla Corte penale internazionale se è già oggetto di indagini approfondite da parte di uno Stato che ha giurisdizione su di esso.
Il 7 ottobre cambia tutto
Nel giugno 2021, Khan ha sostituito Bensouda come procuratore capo, e molti nel sistema giudiziario israeliano speravano che questo sarebbe stato un voltar pagina. Khan è stato percepito come più cauto del predecessore e si è ipotizzato che avrebbe scelto di non dare priorità alle indagini esplosive ereditate da Bensouda.
In un’intervista del settembre 2022, in cui ha anche rivelato alcuni dettagli sul “dialogo informale” di Israele con la CPI, Schondorf – del Ministero della Giustizia israeliano – ha elogiato Khan per aver “spostato la traiettoria della nave”, aggiungendo che sembrava che il procuratore si sarebbe concentrato su questioni più “mainstream”, perché il “conflitto israelo-palestinese è diventato una questione meno urgente per la comunità internazionale”.
Nel frattempo, il giudizio personale di Khan è diventato il principale obiettivo di ricerca dell’operazione di sorveglianza israeliana: l’obiettivo era “capire cosa pensasse Khan”, come ha detto una fonte dell’intelligence. E se inizialmente la squadra del procuratore non sembra aver mostrato molto entusiasmo per il caso della Palestina, secondo un alto funzionario israeliano, “il 7 ottobre ha cambiato questa realtà”.
L’intelligence israeliana ha seguito da vicino la visita di Khan dopo il 7 ottobre per cercare di “capire quale materiale gli stessero fornendo i palestinesi”, come ha detto una fonte israeliana. “Khan è l’uomo più noioso al mondo su cui raccogliere informazioni, perché è dritto come un righello”, ha aggiunto la fonte.
A febbraio, Khan ha rilasciato una dichiarazione a parole forti su X, esortando di fatto Israele a non lanciare un assalto a Rafah, dove più di 1 milione di palestinesi stavano già cercando rifugio. Ha anche avvertito: “Coloro che non rispettano la legge non devono lamentarsi dopo, quando il mio ufficio agisce”.
E qui emerge anche il ruolo degli Stati Uniti.
Come per il suo predecessore, l’intelligence israeliana ha sorvegliato anche le attività di Khan con i palestinesi e altri funzionari del suo ufficio. La sorveglianza di due palestinesi che conoscevano le intenzioni di Khan ha informato i leader israeliani del fatto che il procuratore stava prendendo in considerazione un’imminente richiesta di mandati d’arresto per i leader israeliani, ma era “sotto una tremenda pressione da parte degli Stati Uniti” per non farlo.
Alla fine, il 20 maggio, Khan ha dato seguito alla sua minaccia. Ha annunciato la richiesta di mandati di arresto per Netanyahu e Gallant, dopo aver constatato che ci sono ragionevoli motivi per ritenere che i due leader siano responsabili di crimini come lo sterminio, la fame e gli attacchi deliberati ai civili.
Khan ora deve anche valutare se gli israeliani dietro le operazioni volte a minare la CPI abbiano commesso reati contro l’amministrazione della giustizia.
Nel suo annuncio del 20 maggio ha avvertito che il suo ufficio “non esiterà ad agire” contro le minacce in corso contro il tribunale e le sue indagini. Tali reati, per i quali i leader israeliani possono essere perseguiti indipendentemente dal fatto che Israele non è un firmatario dello Statuto di Roma, potrebbero potenzialmente comportare una pena detentiva.
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Nuccio Viglietti
Parrebbe strano che coloro controllano magistrature di ogni paese occidentale… no si preoccupassero di indirizzare pure questa corte internazionale… del resto già abbastanza eterodiretta ed inaffidabile di suo come dimostrano passate imputazioni di Milosevic ed attuali di Vladimir Putin!…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/