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Il Niger revoca la licenza della francese Orano per una grande miniera di uranio

In un comunicato rilasciato lo scorso giovedì dalla multinazionale Orano viene confermato che il governo del Niger ha ritirato la licenza data a una controllata del colosso francese per lo sfruttamento della miniera di Imouraren. Si tratta di una delle miniere più ricche al mondo.

Le previsioni degli ultimi mesi affermano che, entro il 2040 e per effetto del rinnovato interesse di vari paesi per il nucleare, la domanda annuale di uranio arriverà a 100 mila tonnellate, una quantità doppia rispetto alla capacità estrattiva attuale. A Imouraren si stimano 200 mila tonnellate del prezioso metallo.

Ed è giusto definirlo prezioso metallo perché i prezzi, visto l’incremento della domanda, sono tornati a schizzare verso l’alto. Nel 2020, ogni libbra costava 25 dollari, mentre a inizio 2024 è stato toccato il picco di 106 dollari per libbra.

Anche se ora il valore dell’uranio si è stabilizzato più in basso (intorno agli 85 dollari) è comunque più alto del prezzo che aveva nel 2011, prima del disastro di Fukushima che ne ha poi fatto crollare i prezzi. Un crollo che nel 2015 aveva fermato anche le prospettive di sfruttamento del giacimento di Imouraren.

Infatti, può sembrare paradossale, ma la motivazione della revoca della concessione è la mancata ripresa dei lavori alla miniera. In una nota dell’11 giugno, il ministero delle Miniere di Niamey aveva annunciato il ritiro dei permessi se il sito non fosse entrato in attività entro il 19 giugno.

La Orano ha dichiarato che le infrastrutture sono state riaperte il 4 giugno, per accogliere le squadre di lavoratori. Non viene perciò compresa l’azione del governo nigerino, e infatti si riserva “il diritto di impugnare la decisione di revoca del permesso minerario davanti alle competenti giurisdizioni nazionali o internazionali“.

Anche se questa decisione non ha dunque messo in discussione le attività di estrazione già in essere, essa viene posta in relazione con la rottura diplomatica con gli ex colonizzatori. La giunta militare al potere dal luglio dello scorso anno ha fatto evacuare l’ambasciatore e le truppe francesi.

L’Orano gestisce altre due miniere, ma una è chiusa dal 2021, mentre quella di Somair nella regione settentrionale di Arlit continua a funzionare, seppur con dichiarati problemi logistici. La chiusura della frontiera con il Benin, giustificata dal nuovo governo con ragioni di sicurezza, ostacola l’esportazione della materia prima.

Tutta la situazione rappresenta un duro colpo per Parigi, che tra l’altro con Macron aveva puntato proprio sul rilancio della grandeur da potenza nucleare e geopolitica. Opzione messa progressivamente in crisi dal Niger, dalle proteste contro il sostegno a Israele, dalla ribellione dei kanak e dalle velleità belliciste espresse dall’Eliseo.

Euroatom ha calcolato che, nel 2022, un quarto dell’uranio naturale che arrivava in Europa proveniva dal Niger. Un elemento strategico, dunque, per tutta la UE, soprattutto ora che a Bruxelles vogliono far passare il nucleare per un’alternativa green.

Ma ci sono altri aspetti della vicenda che rimandano alla competizione globale. La società mineraria Azelik, di cui la maggioranza è riconducibile alla Cina, ha annunciato la ripresa dell’estrazione dell’uranio nel nord del paese, dove le attività si erano fermate dopo i fatti Fukushima, data la bassa redditività.

Per quanto riguarda Imouraren, da Al Jazeera alla BBC fino a Bloomberg, la Russia viene subito evocata come un interlocutore a cui Niamey potrebbe affidare il giacimento. Nel maggio scorso Le Monde aveva rivelato che un accordo segreto prevedeva la consegna di 300 tonnellate di yellow cake (concentrato di uranio) all’Iran.

In sostanza, il Niger continua a essere il punto debole dell’imperialismo europeo, e piano piano si sta inserendo in quel mondo multipolare che sta facendo saltare l’egemonia dell’intera catena imperialistica euroatlantica.

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