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Iraq: prove di invasione turche

Negli ultimi due giorni la Turchia si è data molto da fare nel governatorato di Duhok, che appartiene alla Regione del Kurdistan iracheno, attaccando con colpi di artiglieria la città di Deraluk e colpendo il villaggio di Miska, nel sotto-distretto di Kani Masi.

In un villaggio del distretto di Al-Amadiya, nel nord del governatorato, ha invece ingaggiando scontri a fuoco con membri del braccio armato del PKK, costringendo i residenti ad abbandonare il territorio.

In base a quanto riportato dal KNK (Congresso Nazionale del Kurdistan) nel comunicato del 28 giugno scorso, ci sarebbero segnali di un piano di invasione da parte dell’esercito turco nella regione del Kurdistan iracheno perché “l’aumento dei convogli di camion e veicoli blindati che attraversano varie regioni sottolinea l’escalation delle tensioni. 

Secondo quanto riferito, le truppe sono state viste muoversi attraverso i villaggi nel governatorato di Dohuk”. 

Dall’inizio dell’anno fino al 31 maggio, sempre per voce del KNK , Ankara ha condotto 833 attacchi aerei sul suolo della regione del Kurdistan iracheno e su Mosul. 

Domenica 30 giugno ha ucciso sette membri del PKK, colpendoli sia in Siria che in Iraq, violando apertamente la sovranità dei due Stati, come d’altronde fa da anni.

A seguito degli accordi siglati lo scorso aprile tra Baghdad e Ankara, Erdogan aveva annunciato l’intenzione di intraprendere in estate azioni militari in Iraq e in Siria contro il PKK. Il Presidente turco era uscito soddisfatto dagli incontri avuti con il Primo Ministro del governo federale iracheno, Mohammed Shia Al Sudani, e con il Primo Ministro del governo del Kurdistan iracheno, Masrour Barzani, perché  aveva sostanzialmente ottenuto l’autorizzazione a portare avanti la sua offensiva nelle zone del Kurdistan iracheno dove si trovano membri e basi del PKK. Aveva anzi auspicato che si potessero effettuare le operazioni militari in modo congiunto, assicurazione ricevuta da Erbil e che probabilmente arriverà anche da Baghdad.

L’Iraq si trova infatti in una posizione vulnerabile rispetto alla Turchia poiché, fra le tante questioni che legano i due Paesi, la più importante è quella relativa alle risorse idriche.

La Turchia è in grado di gestire il flusso d’acqua di cui l’Iraq ha disperatamente bisogno, afflitta com’è dai cambiamenti climatici. avendo costruito le dighe sui fiumi Tigri e Eufrate, che bagnano anche l’Iraq. L’Iraq ha sempre accusato il vicino di aver ridotto dell’80% le risorse idriche del Paese.

Gli accordi firmati ad aprile cercano di dirimere questa controversia ma Baghdad deve pagare un prezzo di fedeltà a Ankara sul versante anti-PKK. In questo modo si spiega perché nessuna voce governativa si sia alzata, nemmeno dalle parti del Kurdistan iracheno, dopo due giorni di attacchi turchi.

A farsi sentire è stato però il PUK (Unione Patriottica del Kurdistan) che, secondo  quanto riportato da ANF News, è intervenuto denunciando il silenzio di Erbil e Baghdad, a dimostrazione della debolezza dello Stato iracheno. Ha dunque chiesto che venissero prese delle azioni per fare cessare queste manovre poiché “l’unico obiettivo turco è di minare la sicurezza e la stabilità del Paese e violare la sovranità dell’Iraq”.   

Il progetto di Erdogan di eliminare ogni cellula del PKK e dei suoi affiliati fuori dai confini nazionali non si limita all’Iraq ma guarda anche alla regione del Rojava, nella parte settentrionale della Siria, dove gli attacchi turchi non cessano mai e, se Ankara deciderà di portare avanti il suo piano, si aprirà una nuova stagione di intensi scontri. E’ infatti fondamentale per la Turchia spezzare quella linea di continuità che unisce l’Amministrazione Autonoma del Rojava con quella del distretto di Shengal, nel nord dell’Iraq e al confine proprio con il Rojava, dove risiedono gli ezidi. il popolo vittima del genocidio dell’ISIS nell’agosto del 2014. 

I movimenti di questi giorni nel Kurdistan iracheno fanno pensare che la Turchia voglia dare seguito all’annuncio di aprile. Bisognerà vedere con quale portata militare agirà per capire se Erbil e Baghdad resteranno a guardare senza battere ciglio, nonostante i danni che verranno causati ai territori e ai residenti delle zone colpite. Su questo piano il KDP (Partito Democratico del Kurdistan), il partito al governo del Kurdistan iracheno, deve fare bene i propri calcoli perché il 20 ottobre prossimo si terranno, dopo continui rinvii, le elezioni nella regione e per la prima volta il KDP sembra vacillare.

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