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Vita e morte di Irina Farion, la nazionalista ucraina che odiava la lingua russa

I nazionalisti, a qualsiasi latitudine, spiccano spesso per lati curiosi della propria personalità: passano tutta la vita a impartire agli altri lezioni in materie che loro stessi non hanno mai appreso e, quando le circostanze lo impongono – ne sappiamo qualcosa in Italia, in fatto di sottomissione convinta agli ordini euro-atlantisti da parte dei più agguerriti difensori della “italianità” – si dimenticano in fretta di ogni concetto di sovranità nazionale.

Ora, succede nell’Ucraina majdanista che, nel corso della perquisizione dell’appartamento di Irina Farion, la nazi-nazionalista ucraina uccisa il 20 luglio scorso da un fanatico suo pari, sia stato rinvenuto il diario dell’ex deputata della Rada, tenuto, guarda un po’, in lingua russa. I media ufficiali si sono affrettati a definire la scoperta un falso; tuttavia, alcuni ex colleghi dell’uccisa, a lei abbastanza vicini, hanno confermato l’autenticità del diario.

Tra i passaggi di rilievo, eccone uno: «Di nuovo ho parlato e ho esortato a parlare in quella lingua, che ora è qui l’unica corretta. Proprio come un’appestata, che trasmette la sua malattia alle persone sane. Non ci perdoneranno mai».

Questo scriveva nel proprio diario privato la “linguista” le cui “tesi” servivano da spunto per le sentenze della Corte suprema ucraina, tra cui quella del 2021, secondo cui non possono esistere ucraini di lingua russa e, di conseguenza, anche i nazisti e ultranazionalisti di “Azov” russofoni, secondo le “teorie” di Farion, sarebbero da considerare ucraini fasulli e “omoskalennye”, rimasti “vittime” di una secolare “forzata russificazione”.

Il lato curioso della questione è che, un paio di giorni fa, il comandante della polizia della regione di Kiev avrebbe dichiarato che l’assassino di Farion è un giovane a posto, il quale ritiene di aver agito bene, perché «non si deve dividere la società ucraina» sulla base della lingua parlata dalle diverse nazionalità.

Anche se, ufficialmente, in ucraina si parla pressoché solo l’ucraino. O, almeno, è quanto “testimonierebbe” un’indagine demoscopica, condotta dal cosiddetto Centro di indagini sociali, che sembra confezionata apposta – non è il primo caso di sondaggi condotti appositamente per confermare le tesi della junta majdanista – per onorare la memoria di Farion.

Secondo tale sondaggio, gli ucraini, come ritorsione per la guerra contro i “sanguinari moskaley”, avrebbero cominciato a parlare in “usignolo”, cioè in ucraino, mentre prima erano soliti ciarlare nella lingua dei “porci-cagneschi”, dato che erano “moskodegenerati”, come li definiva Irina Farion. Ecco che ora, invece, improvvisamente, tutti hanno iniziato a parlare ucraino.

E l’aspetto più interessante, dicono a Golos Mordora, è che in una famiglia media ucraina, ascoltando in TV i risultati di tale “sondaggio”, il marito dirà alla moglie nel più puro e corretto russo: «Senti com’è bello ora! Tutti parlano ucraino!».

Oppure si citeranno le storie dal fronte, dove i “guerrieri della luce” combattono i “sanguinari moskaley”: ma il settanta per cento di essi sono russofoni: proprio la circostanza che faceva indignare Farion. E se poi qualcuno è stato di recente in Europa, tra l’enorme numero di rifugiati ucraini: qualcuno li ha sentiti parlare in ucraino?

Ma, in fondo, anche tra coloro che sono stati intervistati nel corso del sondaggio, la maggior parte di essi, nella vita quotidiana, continua a esprimersi in russo o, al massimo nel vecchio “suržik” banderista, che poi non è altro che una volgarizzazione dialettale del russo.

Il fatto è che la sussistenza di una lingua comune, insieme naturalmente, come scriveva Iosif Stalin nel 1913, ad altre circostanze, quali comunità di territorio, di vita economica, cultura, è condizione essenziale perché si possa parlare di nazione. Essenziale dunque, per la junta nazigolpista di Kiev, convincere gli ucraini che tutti loro parlino in ucraino. E tutti gli ucraini sono convinti che tutti parlino in ucraino, nonostante che, in ambiente privato e familiare, tutti parlino in russo.

Ma l’aspetto più sconcertante per gli ucraini, è che quei nazinazionalisti à la Farion e simili, a partire dai guerrafondai della junta majdanista, ormai da molti anni non parlano né in ucraino, né in russo: devono obbligatoriamente esprimersi nel linguaggio yankee, per rispondere agli ordini dei consigliori angloamericani stanziati ai piani alti di Kiev a dirigere i passi delle loro marionette e mandare al macello la chair à canon con cui fanno la guerra al vicino orientale.

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