C’è una evidente e inquietante distorsione fisiologica nelle “leggi contro l’odio” introdotte negli Stati Uniti a tutela di Israele e dei suoi apparati all’estero. Una richiesta questa più volte esplicitata dalle autorità israeliane e dalle associazioni ad esse collegate nei vari paesi e che vari governi, quello USA ma anche alcuni europei, hanno attuato in totale obbedienza.
E’ il caso di Samuel Seligson, un videoreporter indipendente di New York che è stato arrestato con l’accusa di crimine d’odio dopo aver filmato una protesta pro-palestinese all’inizio dell’estate, durante la quale gli attivisti hanno scagliato vernice rossa contro le case dei vertici del Brooklyn Museum. Seligson non era coinvolto negli atti di vandalismo, ma è accusato di aver viaggiato in auto con i manifestanti e di essere entrato con loro in una proprietà privata.
Seligson era già stato arrestato a maggio durante un’altra manifestazione a favore dei palestinesi. Ha dichiarato all’U.S. Press Freedom Tracker di aver seguito in livestreaming la manifestazione mentre la polizia effettuava gli arresti e di essersi identificato come giornalista. Un portavoce del procuratore distrettuale di Brooklyn ha dichiarato che il caso è stato chiuso.
Leena Widdi, legale di Seligson, ha dichiarato che gli agenti del Dipartimento di Polizia di New York hanno fatto irruzione due volte nell’appartamento di Brooklyn del reporter la scorsa settimana, prima che Seligson si costituisse.
“Samuel è stato accusato di un presunto comportamento protetto dal Primo Emendamento e coerente con il suo lavoro di membro accreditato della stampa”, ha detto Widdi ad AP. “Ciò che è ancora più preoccupante, tuttavia, è che questo membro della stampa è stato accusato di un crimine d’odio”.
L’avvocata ha descritto l’arresto e l’uso di uno statuto per i crimini d’odio come un “terribile” eccesso di potere da parte della polizia nei confronti di un giornalista con un accredito stampa rilasciato dalla città. Seligson, che tra l’altro è ebreo, ha venduto i suoi filmati ai principali organi di stampa statunitensi, tra cui Reuters e ABC News.
Mentre a New York scoppiavano feroci proteste contro la guerra di Israele a Gaza, la polizia è stata messa sotto accusa per il trattamento riservato ai manifestanti e ai giornalisti. A maggio, gli agenti sono stati accusati di aver affrontato e arrestato due fotoreporter che stavano coprendo un accampamento in un’università statale. I vertici della polizia hanno anche attaccato i giornalisti sui social media, accusando un reporter freelance di “inventare false narrazioni” sul trattamento riservato ai manifestanti.
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