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Via libera al recupero della petroliera attaccata dagli Houthi

È finita finalmente la vicenda riguardante la Sounion, la petroliera battente bandiera greca che è stata colpita dagli Houthi il 21 agosto scorso. La nave, bersagliata da droni e missili, è stata evacuata dal suo equipaggio, ma è rimasta ancorata in acque internazionali per una settimana.

L’agenzia britannica per la sicurezza marittima Ukmto, sotto la Royal Navy, aveva reso noto che erano identificabili almeno tre incendi sull’imbarcazione. La questione cominciava a diventare una questione più grande a causa delle 150 mila tonnellate di greggio trasportate dalle Sounion.

La preoccupazione è che potesse avvenire qualche fuoriuscita del combustibile, causando una vera e propria tragedia ambientale. Dopo varie pressioni internazionali, dunque, gli Houthi hanno infine deciso di consentire le operazioni di recupero della nave (non una tregua, come hanno tenuto a specificare).

È stata la missione dell’Iran presso le Nazioni Unite a dare l’annuncio di questa decisione. “Date le preoccupazioni umanitarie e ambientali“, si legge in un suo comunicato, “Ansarallah (il nome di chi in Occidente è conosciuto come ribelli Houthi, anche se controllano quasi tutto lo Yemen, ndr) ha accettato questa richiesta“.

In precedenza, c’era già stato un tentativo di recuperare la petroliera. Patrick Ryder, portavoce del Pentagono, ha infatti dichiarato che già martedì due rimorchiatori inviati da una terza parte hanno dovuto poi rinunciare all’operazione, in seguito agli avvertimenti sul rischio di un attacco da parte degli Houthi.

Per gli iraniani però la “prevenzione di una fuoriuscita di petrolio nel Mar Rosso derivano dalla negligenza di alcuni paesi”, non dagli Houthi. Ryder ha invece condannato quelli che ha definito come “atti di terrorismo sconsiderati“, anche in relazione all’intero ecosistema del Mar Rosso e del Golfo di Aden.

Nessun commento del genere è stato fatto quando sono stati colpiti i depositi di carburante del porto di Hodeidah, non molto lontano da dove si trovava la Sounion, e un po’ ne è finito in mare. Senza considerare che da quel porto passano la maggior parte degli aiuti alimentari e delle fonti di energia per gli ospedali del nord dello Yemen.

Ad ogni modo, le informazioni riguardo una possibile fuoriuscita di petrolio sono state contrastanti, fino a quando mercoledì dalla missione Aspides ha negato che ciò fosse accaduto fino ad allora (e quindi prima del tentativo di recupero ricordato dal Pentagono). Ma, come detto, ora Ansarallah ha garantito che non colpirà i rimorchiatori.

Proprio le navi di Aspides, a cui inizialmente non era stata richiesta alcuna scorta, è stata chiamata per il soccorso della nave colpita, poi effettuato da un’unità francese che ha portato l’equipaggio a Gibuti. Ricordiamo che è l’Italia a guidare la missione militare europea.

Proprio due giorni fa c’è stata una lunga telefonata tra il segretario di Stato statunitense Blinken e il ministro degli Esteri italiano Tajani, e tra i nodi centrali c’è stata proprio la situazione nel Mar Rosso. Le iniziative sia europea sia anglo-americana non stanno riuscendo a dissuadere gli Houthi dagli attacchi.

Le forze navali a-stelle-e-strisce sono guidate dal viceammiraglio George Wikoff. Il 7 agosto, in maniera critica rispetto ai risultati raggiunti, aveva dichiarato: “abbiamo certamente degradato la loro capacità. Non c’è dubbio su questo. Abbiamo degradato le loro capacità. Tuttavia, li abbiamo fermati? No“.

Wikoff ha anche aggiunto una frase significativa: “si pensava che gli Houthi fossero un problema locale, micro-regionale, e non globale come sono diventati“. Un altro esempio di come i “gendarmi del mondo” occidentali non sono più tali, e di come la vicenda palestinese abbia acquisito un peso negli equilibri dell’intero pianeta.

Le parole di Wikoff e l’inefficacia di Aspides sono l’ennesimo segnale del fallimento della postura guerrafondaia euroatlantica. Postura che va peggiorando con la perdita di egemonia mondiale, a cui l’Occidente non vuole rinunciare, rischiando anche la conflagrazione di conflitti sempre più ampi e mortali.

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