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Da Poltava in poi, decine di caduti della Nato in Ucraina

La guerra in Ucraina continua, ma la narrazione è totalmente cambiata. La certezza occidentale che Kiev avrebbe comunque indebolito al massimo la Russia si è rovesciata nel suo contrario. Lo stesso Zelenskij oggi parla solo di far finire presto la guerra, addirittura “entro la fine dell’anno”. E anche sull’inevitabile scambio tra territori perduti (il Donbass e la Crimea, fin dal 2014) è passato da “la Russia si deve ritirare” a un più modesto “il 30% del nostro territorio è troppo” (su cifre minori, invece…).

Uno dei pochi elementi di novità della guerra combattuta, negli ultimi giorni, sono stati alcuni bombardamenti di centri di addestramento che, come a Poltava, hanno fatto strage… di militari. Su questo episodio più noto, per un paio di giorni tutta l’informazione occidentale aveva preso per buona la prima versione ucraina (“una scuola e un vicino ospedale”). 

Poi – girando per notiziari più di dettaglio, sia dentro che fuori dall’orbita dello Sbu di Kiev – si è capito che si trattava di una struttura decisamente importante, il 179° Centro di Formazione interforze delle forze armate ucraine situato in via Zinkovskaya, in cui istruttori Nato formavano soldati addetti a qualcosa di più della guerra in trincea (droni, comunicazioni, guerra elettronica, ecc).

Soprattutto si è capito che i caduti erano molti più dei 40-50 ammessi in un primo momento. E che non si trattava soltanto di caduti ucraini, ma anche di istruttori occidentali. Qualcosa di più di un semplice “segnale” di insofferenza, tipo il singolo drone che è stato intercettato mentre puntava – si dice – sul Parlamento di Kiev (sarebbe la prima volta, in due anni e mezzo di guerra…).

Un’ammissione indiretta del carattere dirompente di questa serie di attacchi, anche sui reticenti media italiani,  è ricavabile per esempio dal Sole24Ore di ieri mattina, che riportava stralci di un comunicato dell’agenzia russa Tass senza contrapporgli, come al solito, l’opposta e “più credibile” versione ucraina:

Attacchi multipli russi hanno provocato la morte di centinaia di mercenari stranieri in Ucraina. E’ quanto afferma l’agenzia Tass che cita una fonte militare di alto livello.

Oltre 250 mercenari stranieri, tra cui 70 specialisti della difesa aerea francesi e rumeni, sono stati eliminati durante un attacco il 4 settembre a Krivoy Rog”, afferma la fonte.

E ancora: “Circa 500 specialisti, tra cui istruttori provenienti da Polonia, Francia, Germania e Svezia, sono morti o hanno riportato ferite dopo l’attacco del 3 settembre a un centro di addestramento delle forze armate ucraine a Poltava”, sostiene la fonte alla Tass aggiungendo che tra le vittime c’erano militari dell’esercito ucraino e del Servizio della Guardia nazionale, nonché “mercenari stranieri provenienti da Polonia, Francia, Germania e Svezia, che stavano addestrando truppe ucraine”.

A Konstantinovka, “circa 50 militanti francesi sono rimasti uccisi in un attacco con missili Iskander in una struttura temporanea per il dispiegamento di mercenari stranieri”.

La stessa fonte riferisce che almeno 50 soldati ucraini, tra cui 19 mercenari provenienti dal Regno Unito, sono rimasti uccisi in un raid effettuato il 2 settembre sempre con missili Iskander-M contro “il sito di dispiegamento temporaneo dei mercenari stranieri che stazionavano in un hotel nella città di Zaporizhzhia”.

Tradotto: l’esercito russo ha messo nel mirino i militari occidentali presenti in Ucraina, travestiti da “istruttori” o “mercenari” (sono decine le società occidentali che “assumono” soldati ben addestrati dagli eserciti Nato). E questo per far capire chiaramente ai vertici Usa e UE che l’eventuale consegna a Kiev di missili a più lungo raggio (oltre i 300 km) non sarà tollerata. Il prezzo umano, oltre a quello economico, per la Nato è destinato a salire di molto.

Conferme ancora più chiare arrivano dai siti di analisti militari di tutte le parti in causa, ma anche da Politico, che ha immediatamente notato come il ministro degli esteri di Stoccolma, Tobias Billstrom, protagonista quest’anno dell’ingresso della Svezia nella Nato, si è improvvisamente dimesso a sole 24 ore dal disastro di Poltava.

In quelle ore, d’altro canto, prendevano a circolare numerosi video in cui, tra i soccorritori ma anche tra i feriti, si potevano ascoltare diversi uomini parlare in svedese (non proprio una lingua diffusissima, nel mondo e in Ucraina).

Ma, come conclude anche Gianandrea Gaiani, di Analisi difesa, è “Difficile attendersi spiegazioni o ulteriori notizie in occasione del rimpatrio delle salme di quello che potrebbe essere il più alto tributo di sangue pagato dalla Svezia in un contesto bellico tenuto conto che truppe di Stoccolma sono state impegnate in diverse missioni ONU e anche nelle operazioni in Afghanistan dove morirono 5 militari svedesi

Un blogger militare ucraino piuttosto seguito rivelava che nell’edificio distrutto c’erano più di 2.000 uomini, di cui almeno 500 erano morti. E l’ex parlamentare Ihor Mosiychuk ha affermato le forze ucraine (senza menzionare gli “istruttori” stranieri) hanno perso più di 600 persone.

Altrettanto interessante è poi la notizia che in quelle stesse ore un tenente colonnello statunitense, Joshua Kamara, considerato una sorta di “leader naturale”, 45 anni, insignito della Legion d’Onore, della Stella di Bronzo e della Medaglia al Merito, oltre ad altri riconoscimenti, era morto nel campo militare dell’esercito statunitense a Poznan, in Polonia. Senza altre spiegazioni.

Contemporaneamente, secondo il servizio di Fox News (tv statunitense del gruppo Murdoch, non di qualche “putiniano” fuori ordinanza…), “La prova più evidente dell’efficacia dell’attacco missilistico su Poltava è stato lo sciame di aerei medici della NATO (USA, Germania, Polonia, Romania).

Stavano evacuando sia gli istruttori feriti che i corpi di quelli morti. In città come Berlino, convogli di ambulanze sorvegliati dalla polizia si sono precipitati negli ospedali entro sera”.

Che i militari Nato “non possano” morire in Ucraina è comprensibile. Sarebbe come ammettere che l’Alleanza è in guerra in prima persona. Quindi c’è il problema di “legalizzare” la morte di una certa quantità di militari, spostando il luogo del decesso e soprattutto la causa della morte. Anche i questo caso  Gaiani spiega che “A metà marzo di quest’anno il ministero della Difesa Russo ha reso noto che le forze russe avevano ucciso 5 .962 “mercenari” stranieri sui 13.287 arrivati in Ucraina.

Il bilancio aggiornato, ripreso dall’agenzia TASS riferiva che tra i caduti vi erano 1.497 polacchi su 2.960, il contingente più numeroso di combattenti stranieri. Seguivano i georgiani i dati forniti con 561 caduti su 1.042, 491 statunitensi su 1.113, 422 dei 1.005 combattenti canadesi, 360 degli 822 britannici, 147 dei 356 francesi e 33 dei 90 italiani presenti.

Dalla Romania sono arrivati in Ucraina 784 “mercenari” di cui 349 sono stati uccisi, dalla Croazia 335 arrivati e 152 uccisi, dalla Germania 88 caduti su 235, dalla Colombia 217 morti su 430 volontari mentre dal Brasile sono giunti 268 combattenti di cui 136 caduti.

Tra i paesi africani, il maggior numero di mercenari proviene dalla Nigeria: 97 (47 dei quali uccisi) seguita dall’Algeria (28 morti si 60 arruolati) mentre 25 australiani sono stati uccisi dei 60 giunti in Ucraina insieme a 6 dei 7 neozelandesi.

Superfluo sottolineare che tali numeri non sono verificabili da fonti neutrali e quasi nessuna nazione occidentale ha fornito informazioni circa i propri “volontari” recatisi a combattere in Ucraina (ne hanno riferito sporadicamente fonti in Polonia e Repubblica Ceca) così come nessun dato ufficiale è mai emerso in Occidente circa i caduti tra le fila dei volontari.

Occorre però diversificare i caduti tra combattenti che hanno aderito alla chiamata alle armi di Kiev con l’istituzione della Legione Internazionale e le perdite tra istruttori, consiglieri militari o contractors impiegati per soli compiti di formazione e addestramento.

Per i governi europei le vittime tra questi ultimi hanno certo un peso maggiore anche in termini politici poiché si tratta di personale inviato in Ucraina a supporto di programmi governativi nell’ambito delle forniture militari a Kiev.

Il gioco a nascondino sulle perdite umane dell’Occidente in Ucraina è stato possibile sui piccoli numeri, ma diventa affannoso quando le cifre salgono. Ed è noto, a far data dalla guerra in Vietnam, che il pubblico statunitense – per non parlare di quello europeo, convinto ancora di “vivere in pace”, non ama vedere “i propri ragazzi” tornare nelle body bag.

E alla Casa Bianca come a Bruxelles lo sanno bene…

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