Questo interessante caso-studio, pubblicato da David Fickling su Bloomberg.com, esplora il declino della leadership americana nel settore della produzione di polisilicio da fotovoltaico, un materiale essenziale per l’industria dei pannelli solari, evidenziando il confronto tra Hemlock (Michigan) e Leshan (Cina).
Emblematica è la storia di Hemlock Semiconductor, che ha perso terreno nel mercato del polisilicio per il fotovoltaico a causa di costi energetici elevati, lentezza negli investimenti e un generale disinteresse della politica statunitense per lo sviluppo dell’energia solare.
Nel frattempo, la Cina ha visto un’esplosione di piccole fabbriche di polisilicio che, pur inizialmente inefficienti, sono riuscite a prosperare grazie a politiche governative determinate e di ampio respiro. Dopo il crollo dei prezzi del polisilicio nel 2011 e le accuse pretestuose di dumping contro la Cina, gli USA hanno imposto dazi sulle importazioni cinesi, ma la Cina ha risposto con tariffe sul polisilicio americano, danneggiando imprese come Hemlock.
Il risultato è stato l’emergere dell’industria cinese come leader del settore, mentre quella americana ha chiuso fabbriche e perso competitività.
Al di là della testimonianza di come la Cina sia riuscita, in questo settore, a battere l’Occidente nel suo stesso gioco, questa storia mette in discussione il mito del liberismo commerciale che è stato a lungo predominante in Occidente, e getta luce sull’ipocrisia che per molti anni ha dominato le politiche commerciali statunitensi ed europee.
Oltre ogni retorica, infatti, gli Stati Uniti già nel 2011 hanno dovuto adottare dazi e misure protezionistiche quando si sono trovati incapaci di competere con i prezzi cinesi. Il paradosso è che, mentre in Occidente si sostiene l’importanza di un mercato aperto, i governi intervengono quando i loro interessi economici vengono messi a rischio.
Buona lettura.
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Tutto inizia con un cristallo.
Per realizzare le celle solari che si prevede diventeranno la più grande fonte di elettricità al mondo entro il 2031, prima devi sciogliere la sabbia fino a farla sembrare pezzi di grafite. Successivamente, la si raffina fino a ridurre le impurità a un solo atomo ogni 100 milioni — una forma di silicio elementare conosciuta come polisilicio. È così vitale per la produzione di pannelli solari che può essere paragonato al ruolo del petrolio greggio nella produzione di benzina.
Il polisilicio viene quindi estratto in un vasto cristallo, somigliante a una scultura in acciaio di Jeff Koons a forma di salsiccia, prima di essere affettato in wafer sottili come il salame. Questi vengono poi trattati, stampati con elettrodi e infine posti a strati alternati a lastre di vetro.
Il processo di base è cambiato poco da quando la prima cella fu inventata – nel 1954 – da scienziati dei Bell Laboratories nel New Jersey, che cercavano di capire se il silicio potesse essere utilizzato per alimentare i processori dei computer. “Potrebbe segnare l’inizio di una nuova era”, scrisse all’epoca il New York Times in un articolo di prima pagina che annunciava la scoperta, “che porterà infine alla realizzazione di uno dei sogni più cari dell’umanità — l’utilizzo dell’energia quasi illimitata del sole per gli usi della civiltà.”
I sette decenni successivi raccontano la straordinaria storia di come l’America abbia sperperato la sua invenzione del fotovoltaico, o PV, al punto che non si riprenderà mai. Fino a poco tempo fa, nel 2010, una piccola città del Michigan centrale era il più grande produttore di polisilicio solare al mondo. Oggi, gli Stati Uniti sono a malapena nel gioco, e oltre il 90% del totale proviene dalla Cina.
Le esportazioni di tecnologie pulite di quel paese “minacciano di danneggiare significativamente i lavoratori, le imprese e le comunità americane”, ha dichiarato il presidente Joe Biden il 14 maggio, annunciando dazi del 50% sulle celle solari cinesi.
Washington incolpa la dominazione cinese nell’industria solare sulla base di quelle che vengono comunemente definite “pratiche commerciali sleali.” Ma questo è solo un mito confortante. Il vantaggio della Cina non deriva da un complotto cospiratorio concepito da un governo autoritario. Non è stato guidato da produttori statali, prestiti sovvenzionati a fabbriche, dazi su moduli importati o furto di competenze tecnologiche straniere.
Invece, è derivato da aziende private convinte di un futuro luminoso, che investono aggressivamente e attraggono talenti globali in un’industria fiorente — esattamente il mix imprenditoriale che ha reso gli Stati Uniti una potenza industriale.
Il declino dell’America come superpotenza solare è una tragedia di errori, dove una leadership aziendale miope, finanziamenti timidi, compiacenza oligopolistica e caos politico hanno permesso agli Stati Uniti e all’Europa di trascurare le proprie industrie pulite. Questo ha lasciato un divario enorme che è stato riempito da start-up cinesi, che spuntano come piantine in una radura forestale. Se le democrazie ricche vogliono vincere la rivoluzione della tecnologia pulita, devono imparare le lezioni di ciò che è andato storto, piuttosto che confortarsi con favole.
Per capire cosa è successo, ho visitato due luoghi: Hemlock, Michigan, una piccola comunità di 1.408 persone che un tempo produceva circa un quarto del polisilicio da fotovaltaico del mondo, e Leshan, Cina, che ora ospita alcune delle più grandi fabbriche di polisilicio del mondo. Le somiglianze e le differenze tra le città raccontano la storia di come gli Stati Uniti abbiano vinto la battaglia tecnologica del ventesimo secolo — e di come rischino di smarrirsi nelle decadi a venire.
Visitando la Città nel Bosco
Se possiedi un telefono cellulare, un computer, un’auto o un elettrodomestico, è probabile che ci sia un po’ di Hemlock nella tua casa in questo momento. Hemlock Semiconductor Corp. produce circa un terzo del polisilicio da chip del mondo, che finisce quasi in ogni dispositivo elettronico sul pianeta. Il polisilicio solare è semplicemente il parente povero di quello di cui sono fatti i chip per computer: mentre le impurità di una parte ogni 100 milioni sono considerate accettabili per i pannelli solari, i microprocessori devono essere puri fino a una parte ogni 10 trilioni.
Il costante flusso di camion cisterna chimici che vanno e vengono dall’impianto è l’unico segno che un nodo vitale dell’economia globale è nascosto tra i campi di soia, mais e mirtilli di Hemlock, punteggiati di fienili rossi, case in legno e pennoni. Due ore a nord di Detroit e all’interno del Lago Huron, la sua strada principale ospita un hard discount, una lavanderia a gettone, un concessionario Ford, una clinica veterinaria, un pugno di negozi di liquori e ristoranti a catena, una taverna e molto poco altro.
È praticamente il più vicino che si possa arrivare al cuore dell’America. L’ex presidente Donald Trump ha vinto la contea di Saginaw, a lungo un bastione democratico, con 1.074 voti alle elezioni presidenziali del 2016. Quattro anni dopo, Biden l’ha ripresa con un margine di 303 voti. Hemlock fa parte dell’8° distretto congressuale del Michigan, il punto di svolta dell’intera Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti. Attualmente, esattamente 217 seggi sono più inclini ai Democratici, e 217 più inclini ai Repubblicani.
Hemlock Semiconductor mantiene un profilo basso in questa zona rurale. Guidando oltre i boschi di pini di Tsuga (Hemlock, in lingua inglese – NdT) che danno il nome alla città, sei quasi al cancello dell’impianto di circa 800 acri (tre chilometri quadrati) prima di notare le sue torri di distillazione, magazzini e un basso ronzio industriale. L’azienda ha rifiutato le richieste di Bloomberg di visitare l’impianto o di intervistare dirigenti.
Le persone in città apprezzano la fabbrica di semiconduttori come fornitore di oltre 1.300 posti di lavoro, insieme a finanziamenti per la fiera cittadina e il consiglio scolastico — anche se è sempre stata un po’ opaca. Katherine Ellison, una storica locale, è cresciuta negli anni ’80 a due strade di distanza dall’impianto, soprannominato “La Città nel Bosco” dai suoi amici. “Ti imbattevi in questa enorme struttura illuminata di notte”. mi ha detto. “Le persone che non erano di qui chiedevano: ‘Cos’è?’”
Le operazioni sono iniziate molto prima che l’energia solare fosse presa seriamente. L’anno era il 1961, un periodo in cui i fondatori della Intel Corp. stavano cercando di utilizzare il polisilicio per costruire i primi circuiti integrati da utilizzare nel programma spaziale Apollo. Sembrava un affare ideale per la Dow Corning, una joint venture di lunga data tra la Dow Chemical Co. e la Corning Inc., specializzata in sostanze chimiche a base di silicio come colle, sigillanti e impianti mammari.
La Dow si era affermata negli anni ’90 a Midland, nelle vicinanze, per sfruttare i ricchi giacimenti sotterranei di vari tipi di acido che potevano essere raffinati in sostanze chimiche utili. I treni che andavano e venivano disturbavano il delicato processo di purificazione del polisilicio, quindi fu stabilito un nuovo impianto in una fattoria isolata a Hemlock, 14 miglia (22,5 chilometri) a sud.
Non è mai stato un affare facile. La Legge di Moore — la celebre regola dell’innovazione che ha trasformato i computer da dispositivi costosi delle dimensioni di una stanza negli anni ’50 in microchip accessibili che possono stare sulla punta di un dito — ha anche richiesto costanti riduzioni nei costi e nei volumi di polisilicio in uso, rendendo difficile per le aziende realizzare profitti costanti. “Più è puro, meno ne hai bisogno”, mi ha detto Denise Beachy, presidente di Hemlock dal 2014 al 2016.
Già nel 1984, uno studio per il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti notava che Hemlock era “un vecchio impianto ad alto costo” dove la Dow Corning era “riluttante a investire.” Con la joint venture che non voleva spendere soldi, un nuovo capitale fu introdotto nello stesso anno vendendo circa un terzo dell’azionariato della fabbrica alla giapponese Shin-Etsu Handotai Co. e alla Mitsubishi Materials Corp.
Le cose hanno cominciato a cambiare intorno all’anno 2000, perché le crescenti preoccupazioni riguardo al cambiamento climatico si sono sovrapposte a un aumento dei prezzi del petrolio e alla prospettiva di sussidi per le rinnovabili. I pannelli solari erano tradizionalmente così costosi che venivano utilizzati solo per applicazioni altamente specializzate come le sonde spaziali, oltre a orologi e calcolatrici tascabili che consumano poca energia. All’improvviso, all’inizio degli anni 2000, il solare ha iniziato a sembrare un modo competitivo per produrre energia.
Di conseguenza, il polisilicio da fotovoltaici — realizzato fino ad allora con materiale scartato dai produttori di chip — sembrava poter diventare una merce preziosa di per sé. Praticamente dall’oggi al domani, è passato dall’essere un settore isolato a un’industria in espansione.
La crescita non si è ancora fermata. Dal 2005, le installazioni annuali di pannelli solari sono aumentate a un tasso medio annuo di circa il 44%. Quest’anno, la capacità dei nuovi moduli installati globalmente ogni tre giorni è approssimativamente equivalente a quella esistente nel mondo intero alla fine del 2005.
Hemlock ha inizialmente cavalcato quest’onda. Nel 2005, ha annunciato un piano da 400 a 500 milioni di dollari per aumentare la produzione nell’impianto del 50%. Diciotto mesi dopo, ha promesso altri 1 miliardo di dollari per aggiungere un ulteriore 90%. Un ulteriore miliardo è stato annunciato in mezzo alla crisi finanziaria del 2008, insieme a un altro 1,2 miliardi di dollari per un impianto separato a Clarksville, nel Tennessee.
Quei numeri sembrano grandi — ma erano insufficienti per tenere il passo con la domanda.
Ci sono diverse ragioni per questo. Prima di tutto, Hemlock era di proprietà di una joint venture tra due aziende chimiche americane e due giapponesi, che producono tra l’altro tutto, dai cavi a fibra ottica al vetro per smartphone, dalla plastica agli insetticidi, dalle capsule per farmaci all’oro in lingotti. Questi assetti sono notoriamente complessi, il che può compromettere la loro capacità di adattarsi rapidamente alle condizioni in cambiamento. Qualsiasi nuova spesa necessaria doveva essere approvata da quattro consigli aziendali, nessuno dei quali vedeva il polisilicio solare come una priorità.
A rendere le cose ancora più difficili, quando l’energia solare ha iniziato a decollare alla fine degli anni ’90, l’azionista principale di Hemlock, la Dow Corning, si trovava nel bel mezzo di un decennio di protezione dalla bancarotta — il risultato di cause legali da parte di donne che avevano scoperto di essere state danneggiate dai suoi impianti mammari in silicone.
Un altro fattore era l’energia. Fino al 40% del costo di produzione del polisilicio è costituito dall’energia, e l’impianto di Hemlock è il più grande consumatore di elettricità in un singolo sito nel Michigan — una statistica notevole, considerando che lo stato include anche le immense fabbriche della General Motors Co. e della Ford Motor Co. a Detroit.
I costi dell’elettricità a livello locale sono relativamente alti. L’espansione del 2008 a Hemlock è andata avanti solo dopo che il governatore dello stato, Jennifer Granholm — ora segretaria dell’energia di Biden — ha firmato una legge che concedeva crediti d’imposta all’impianto per proteggerlo dagli aumenti dei prezzi dell’elettricità. Clarksville è stata proposta per un nuovo impianto grazie al suo accesso a energia a basso costo fornita dalla Tennessee Valley Authority, un progetto idroelettrico dell’era del New Deal.
Oltre a tutto ciò, tuttavia, la riluttanza a investire in modo più aggressivo era guidata dalla convinzione che il polisilicio fosse, e sarebbe sempre rimasto, un oligopolio comodo. Fino ai primi anni 2000, la materia prima per tutti i chip e i pannelli solari del pianeta era prodotta in appena 10 impianti negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone. Erano sotto il controllo di sette aziende, delle quali Hemlock era di gran lunga la più grande. Questo forniva il tipo di sicurezza di prezzo simile a un cartello goduto dall’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC).
I produttori di pannelli solari che dipendevano dalle sette aziende per il loro polisilicio odiavano la situazione — così come chiunque volesse vedere i costi dell’energia solare ridursi e la sua scala aumentare. “L’offerta di materia prima è rimasta molto indietro rispetto alle richieste del settore”, lamentava un rapporto del 2007 sul settore, che attribuiva la carenza al comportamento oligopolistico dei grandi produttori.
Di conseguenza, ogni speranza che l’energia solare potesse aiutare il mondo ad evitare un disastroso riscaldamento globale sembrava futile. In un importante rapporto del 2006 per il governo del Regno Unito, l’economista Nicholas Stern prevedeva che sarebbero serviti decenni affinché l’energia rinnovabile diventasse competitiva con i combustibili fossili.
Questo non preoccupava i produttori di polisilicio, che stavano operando a piena capacità e godendo della scarsità che permetteva loro di aumentare i prezzi per i consumatori. Il risultato fu una letargia fatale. “Hemlock è straordinariamente redditizia”, si vantava Jim Flaws, direttore finanziario di Corning, in una call con gli investitori nel 2009.
Dalla Vendita di pesce ai combustibili
Nella provincia sud-occidentale del Sichuan in Cina, a metà anni 2000, Liu Hanyuan stava cercando nuove opportunità di investimento. Era nato in una famiglia di contadini a Meishan, una piccola città sulle ampie rive del fiume Min. Dopo aver lasciato la scuola all’inizio degli anni ’80 — in un periodo in cui le riforme di Deng Xiaoping iniziavano a permettere l’imprenditorialità nel settore agricolo controllato dallo stato — inventò una rete a gabbia che poteva essere sospesa in acque a flusso rapido per allevare pesci e prese in prestito 69 dollari (500 yuan) da suo padre per commercializzarla.
La tecnica ebbe successo. In cerca della prossima opportunità, Liu iniziò a produrre mangimi per pesci in un macinino da cucina per venderli ad altri agricoltori. Andò persino meglio: c’era un enorme mercato per tali pellet mentre la produzione ittica cresceva a tassi a due cifre, durante gli anni ’80 e ’90, per soddisfare l’apparente insaziabile appetito della Cina per i frutti di mare.
Nel 2002, la rivista Forbes nominò Liu la nona persona più ricca del paese e divenne un delegato abituale della Conferenza Politica Consultiva del Popolo Cinese, un quasi-parlamento composto da persone politicamente connesse e di spicco. La sua azienda, Tongwei Co., registrò 1,5 miliardi di dollari (10 miliardi di yuan) di fatturato nel 2008.
Ma stava arrivando un rallentamento. A metà anni 2000, quasi tutta l’acqua utilizzabile per gli allevamenti di pesci era stata sfruttata, e il nuovo tycoon doveva trovare fonti alternative di crescita. Una di queste si trovava a valle rispetto alla città natale di Liu, a Leshan.
Leshan sarebbe una città cinese insignificante se non fosse per una grande statua di Buddha e alcune delle più grandi fabbriche di polisilicio del mondo.
Come Hemlock, Leshan si trova sopra un mare preistorico, rendendola ricca di vari tipi di acido e un naturale centro per l’industria chimica. A differenza di Hemlock, è benedetta da un’abbondanza di elettricità a basso costo. Il Sichuan è il luogo in cui i tributari dello Yangtze precipitano dalle pendici dell’Himalaya in una caduta ripida, prima di iniziare a scendere verso il mare.
Leshan stessa, la cui popolazione di 1,5 milioni la rende una “piccola città” in termini cinesi, è sede di una delle statue di Buddha più grandi del mondo. Alta come un edificio di 17 piani, la figura seduta è stata scolpita da una scogliera nell’VIII secolo da monaci, sperando che proteggesse le imbarcazioni fluviali dalle rapide insidiose dove i fiumi Min e Dadu si mescolano. La Diga delle Tre Gole, il più grande progetto idroelettrico del mondo, si trova più a valle. È una città vivace ma malandata, che sfrigola nel caldo umido e piovoso dell’estate del Sichuan, con appena un barlume del sole di cui dipende l’industria solare di Leshan.
All’inizio degli anni 2000, il Sichuan produceva molta più elettricità di quanta le fabbriche locali potessero consumare. Questo la rendeva un sito eccellente per il settore energivoro del polisilicio. Nel frattempo, a valle di Leshan, un impianto chimico che produceva plastica PVC cercava modi per utilizzare i suoi materiali di scarto.
Liu, che era stato curioso riguardo all’industria dei semiconduttori per anni, vide un’opportunità per rompere il dominio dei produttori di polisilicio occidentali mentre assorbiva questi sottoprodotti chimici. Nel 2007 investì 428 milioni di dollari (3 miliardi di yuan) nell’impianto e poi firmò un contratto con Trina Solar Co., un produttore di pannelli quotato negli Stati Uniti con sede vicino a Shanghai, come cliente di riferimento.
Non era l’unico ad avere avuto quell’idea. Il boom commerciale della Cina durante gli anni 2000 era guidato da vaste fabbriche che assemblavano elettronica per aziende straniere a prezzi stracciati. I produttori di pannelli fotovoltaici videro un’opportunità per sfruttare la globalizzazione, nello stesso modo in cui i produttori a contratto – come la taiwanese Hon Hai Precision Industry Co., o Foxconn – stavano conquistando il mercato nell’assemblaggio degli iPhone.
Come tutte le altre aziende che producevano pannelli solari, queste aziende si sentirono rapidamente insoddisfatte dell’oligopolio che produceva polisilicio. Con i prezzi che schizzavano alle stelle alla fine degli anni 2000, c’era un buon guadagno da fare per chiunque potesse produrre a prezzi inferiori di Hemlock e dei suoi rivali.
Il risultato fu una corsa alla conquista del territorio. Piccole fabbriche di polisilicio solare, ad alto costo, spuntarono in città e paesi in tutta la Cina. A un certo punto, il paese aveva fino a 80 produttori, molti dei quali con atteggiamenti lassisti nei confronti dell’inquinamento. Erano molti più di quanti il paese, o il mondo, avesse bisogno.
Nel 2008, la Cina aveva una capacità di produzione di 20.000 tonnellate di polisilicio e ulteriori 80.000 in costruzione, secondo i dati del governo. Ma solo 4.000 tonnellate furono prodotte in quell’anno, indicando un’offerta ben al di sopra della domanda.
Un crollo era inevitabile. Nella lunga sbornia dopo la crisi finanziaria del 2008, i governi in difficoltà in Europa iniziarono a ritirare i sussidi che avevano utilizzato per avviare l’industria solare del continente nella prima parte del decennio. I produttori cinesi di polisilicio erano ad alto costo e dipendenti dalle esportazioni. Quasi tutti, tranne i più efficienti, furono chiusi. Anche se la domanda da parte dei produttori di pannelli diminuiva, più silicio affluiva nel mercato mentre i produttori in difficoltà cercavano di vendere le loro scorte a qualsiasi prezzo.
Tra agosto e dicembre 2011, i prezzi spot per il polisilicio solare si dimezzarono, passando da circa 50 dollari al chilogrammo a poco più di 25. Questo era già sotto i livelli che Hemlock considerava ragionevoli. Ma un anno dopo, erano scesi ulteriormente del 40%, a circa 15 dollari (attualmente, sono sotto i 6 dollari). I principali clienti annullarono i loro ordini o dichiararono bancarotta. Sembrava che il boom solare stesse finendo prima ancora di essere iniziato veramente.
Inizio della Prima Guerra Commerciale del Solare
Banchetti e carestie sono processi antichi quanto la natura — e il business. La corsa per sfruttare nuove opportunità può somigliare a una fuga di massa. Quando quelle risorse sono inevitabilmente esaurite, non tutti coloro che hanno cercato di sfruttarle sopravviveranno — ma coloro che lo faranno saranno spesso i più adatti del gruppo.
Alcuni pensavano che la migliore difesa contro il boom e la carestia del solare della fine degli anni 2000 fosse abbandonare completamente il giro delle montagne russe del polisilicio. A Tempe, in Arizona, First Solar Inc. si concentrò su una promettente tecnologia alternativa che stampava uno strato sottile di un diverso semiconduttore, il tellururo di cadmio, su vetro.
Un’altra azienda, Solyndra Inc., aveva un’idea simile, spruzzando una miscela di rame e diversi metalli rari su tubi, e ricevette una garanzia di prestito di 535 milioni di dollari dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti per espandere la produzione. La bancarotta di Solyndra nel settembre 2011 bruciò l’idea di un sostegno federale per l’industria per molti anni a venire.
In Germania, il più prominente tycoon solare aveva altre idee. In poco più di un decennio, Frank Asbeck aveva capitalizzato sui sussidi rinnovabili di Berlino per rendere la sua impresa, SolarWorld AG, un gigante. Quel successo lo trasformò in un miliardario con un talento per l’auto-promozione. Firmò un contratto con Larry Hagman, l’archetipo di un petroliere texano nella soap opera degli anni ’80 Dallas, come portavoce a favore dell’energia pulita. A un certo punto, mentre la General Motors stava per dichiarare bancarotta nel 2008, Asbeck si offrì addirittura di acquistare il suo marchio europeo Opel.
Il caos nel settore mise in pericolo l’impero di Asbeck. SolarWorld stava producendo i propri pannelli in impianti in Germania, Corea del Sud, California e Oregon, a prezzi ben superiori a quelli dei prodotti concorrenti provenienti dalla Cina. Ma le sue strutture negli Stati Uniti fornivano ad Asbeck una carta da giocare.
Questo gli permise di avvicinarsi al Dipartimento del Commercio nell’ottobre 2011 con un reclamo secondo cui la Cina non stava solo vendendo pannelli solari a basso costo, ma li stava anche riversando sui mercati esteri a costi inferiori rispetto a quelli che addebitava a livello domestico. Gli Stati Uniti dettero ragione a SolarWorld sei mesi dopo e imposero dazi sui pannelli prodotti in Cina che raggiungevano il 250%. Sarebbe stata la prima di diverse ondate di restrizioni commerciali imposte contro i fotovoltaici cinesi.
Le accuse di dumping sono controverse e di grande impatto. Vengono spesso sollevate da oligopolisti che hanno visto la loro comoda egemonia interrotta da concorrenti stranieri a buon mercato. Se vincono, ottengono la protezione governativa contro la loro incapacità di competere.
I loro clienti domestici prendono solitamente l’altra parte del dibattito e possono essere altrettanto cinici: gli acquirenti di pannelli solari vogliono semplicemente i moduli più economici che possano trovare, indipendentemente dall’effetto sui posti di lavoro locali e sulle catene di approvvigionamento.
È consuetudine per gli insider comportarsi come se tali decisioni fossero prese su basi obiettive solide, ma in verità è quasi sempre un pasticcio politico costruito su una base traballante di dati di bassa qualità. Quando si esaminano i casi di antidumping, “gli economisti giungono alla conclusione che le indagini sono distorte e parziali” a favore dei produttori, secondo uno studio del 2016 sulla disputa solare.
Nel frattempo, le domande centrali sono spesso quasi impossibili da trovare soluzione. L’elettricità a basso costo di Tongwei fornita da una utility di stato è una forma di sussidio governativo? E i crediti d’imposta di Hemlock che lo proteggono dai prezzi elevati dell’energia? Le aziende cinesi possono spesso ottenere terreni a basso costo nei parchi industriali, qualcosa che è spesso considerato un sussidio. Ma anche la lottizzazione dei terreni statunitensi per usi industriali conta come un sussidio?
La maggior parte dei paesi ha crediti d’imposta per ricerca e sviluppo e competono per abbassare le rispettive aliquote fiscali aziendali per incoraggiare gli investimenti. Il fattore che determina se tali iniziative siano considerate una politica industriale statalista (cattiva) o un ambiente favorevole agli affari (buona) è solitamente se vengono attuate da un governo straniero o dal nostro.
Ciò che è chiaro ex post, tuttavia, è che le affermazioni di Asbeck non avevano basi molto solide. Il segno rivelatore di un’industria sovvenzionata è che i prezzi risalgono non appena i concorrenti vengono schiacciati e il governo ritira il supporto — ma l’opposto è successo con i pannelli solari, che ora si vendono a circa il 5% di ciò che costavano nel 2011.
All’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), che ha una definizione più rigorosa di “sussidio” rispetto ai governi statunitensi ed europei; c’è stata solo una singola causa che ha accusato di sussidio l’industria solare cinese — e quella è rimasta inattiva dal 2011. Un altro panel dell’OMC nel 2014 ha scoperto che la decisione antidumping degli Stati Uniti risultante dalla denuncia di Asbeck andava contro le stesse regole dell’organismo commerciale.
Tuttavia, ci si potrebbe aspettare che i produttori americani di pannelli solari avessero risposto con giubilo all’attacco commerciale di Washington contro Pechino. In realtà, l’effetto fu molto più simile alla paura. Gli Stati Uniti nel 2011 guadagnavano di più vendendo polisilicio e macchinari solari alla Cina di quanto stessero spendendo per acquistare pannelli completi. Ciò significava che erano altamente vulnerabili a ritorsioni.
Nel luglio 2012, due mesi dopo che Washington aveva deliberato a favore di Asbeck, iniziò la controffensiva: il Ministero del Commercio cinese annunciò un’indagine per verificare se gli Stati Uniti stessero riversando polisilicio nel mercato della Cina continentale.
I produttori di pannelli cinesi non attesero la sentenza del loro governo per agire. Con i prezzi spot che scendevano ben al di sotto dei contratti a lungo termine preferiti dai consolidati produttori di polisilicio, annullarono gli acquisti in massa. Entro la fine dell’anno, il declino delle vendite di Hemlock in Cina aveva “raggiunto livelli critici”, dichiarò il CFO di Corning, Jim Flaws, durante una call sugli utili nel gennaio 2013. “Il mercato del polisilicio da fotovoltaico è quasi inesistente ora.”
L’Unione Europea, dove Asbeck aveva lavorato per portare avanti più casi antidumping, si trovava in una situazione simile, ma i funzionari lì raggiunsero nel 2013 un accordo di compromesso che aiutò il principale produttore locale di polisilicio, Wacker Chemie AG, a mantenere l’accesso alla Cina. Nonostante una certa pressione lobbistica, gli Stati Uniti non riuscirono a fare lo stesso. Il risultato fu un colpo diretto a Hemlock, con tariffe del 57% sulle importazioni americane di polisilicio.
Era proprio ciò di cui l’industria nascente del polisilicio cinese aveva bisogno. “A quel tempo, i produttori cinesi di polisilicio non erano competitivi in termini di costi”, afferma Johannes Bernreuter, un analista che studia il mercato del polisilicio solare sin dai primi anni 2000. “Questo gli fornì una barriera protettiva per svilupparsi. Non fu un caso che sei produttori cinesi tornassero alla produzione nel 2013, quando furono introdotti i dazi antidumping.”
Il contrario accadde negli Stati Uniti. Presi dal panico, Mitsubishi vendette la sua partecipazione nella joint venture Hemlock nel 2013. L’anno successivo, circa sei mesi dopo che Beachy assunse il ruolo di presidente di Hemlock, dovette annunciare la chiusura dell’impianto promesso nel Tennessee. “È stato abbastanza doloroso, ad essere onesti”, ricorda.
A Pasadena, in Texas, una fabbrica di polisilicio di proprietà del developer solare SunEdison Inc. fu chiusa nel 2016, quando la società andò in bancarotta, dando la colpa ai dazi ritorsivi di Pechino. La sua tecnologia innovativa fu acquistata dalla GCL Technology Holdings Ltd., un rivale cinese.
Nello stato di Washington, REC Silicon ASA ha chiuso il suo impianto a Moses Lake nel 2019, citando ancora una volta le tariffe imposte dalla Cina. Un secondo stabilimento REC a Butte, Montana, è sopravvissuto a stento fino a quando la sua chiusura è stata annunciata questo febbraio. Sostenuta dalla domanda continua dei suoi clienti originali nell’industria dei chip, Hemlock ha continuato — ma ha smesso completamente di produrre polisilicio da fotovoltaici nel 2020. In un momento in cui l’industria solare stava raggiungendo nuovi traguardi, il settore manifatturiero americano ha abbandonato il campo.
L’Est è rosso, il sole sta sorgendo
Oggi, Tongwei si è espansa fino ad essere irriconoscibile.
Ora ha strutture sparse nelle regioni periferiche della Cina ricche di energia rinnovabile, dove l’energia è a basso costo: nel Sichuan; nel tropicale Yunnan alimentato da energia idroelettrica; e nella Mongolia Interna, ricca di sole e vento, così come di carbone.
Anche le operazioni a Leshan hanno da tempo superato il sito originale. Il nuovo impianto si estende su un vasto campus a valle della città. Somiglia a un monumentale organo a canne, con tubi argentati che trasportano sostanze chimiche alle torri di distillazione dove il silicio viene purificato. Una schiera di tralicci porta elettricità. Un secondo impianto Tongwei di dimensioni simili si trova dall’altra parte della strada, mentre la GCL Technology ha un terzo impianto colossale su un lotto adiacente.
Il sito è scintillante. Le circa 2.000 persone che lavorano lì svolgono la maggior parte del lavoro lontano da occhi indiscreti. Hanno dormitori, mense e una palestra sul posto. Un nuovissimo edificio di vetro blu su una collina artificiale sopra un laghetto è un museo per i visitatori, che illustra il processo di produzione del polisilicio e la storia dell’azienda. Sul pendio erboso, aiuole di fiori arancioni sono state potate per scrivere i caratteri cinesi che significano “acque limpide e montagne lussureggianti” — una citazione di Xi Jinping considerata emblematica del supporto del presidente per l’ambiente.
All’interno, un certificato incorniciato conferma che l’approvvigionamento energetico del sito nel 2022 era al 100% da fonti rinnovabili — un totale di 2,38 gigawattora, quasi abbastanza per alimentare l’Irlanda per un mese. Nelle vicinanze, un pannello illuminato mostra un grafico a barre dei centri mondiali di produzione di polisilicio. All’estrema destra del grafico c’è una piccola barra che rappresenta Hemlock, con una modesta produzione annua di 30.000 tonnellate. Il sito di Leshan da solo può produrre circa 120.000 tonnellate, e Tongwei nel suo complesso avrà una capacità di 480.000 tonnellate quest’anno.
Questi numeri sono sbalorditivi se si considera la quantità di energia che rappresentano: 480.000 tonnellate sono sufficienti a generare abbastanza elettricità solare per alimentare il Messico per un anno — o l’Indonesia, o il Regno Unito e l’Irlanda messi insieme. Nel corso della loro vita, quei pannelli solari forniranno quasi cinque volte l’energia utile all’economia mondiale rispetto a tutto il petrolio e il gas nelle riserve sotterranee di Exxon Mobil Corp.
Tongwei potrebbe essere poco conosciuta al di fuori della Cina, ma è di gran lunga il più grande produttore mondiale di polisilicio e dovrebbe già essere considerata una delle aziende energetiche più importanti a livello globale. Quella dominanza crescerà se solo andranno avanti i piani annunciati a dicembre per quasi raddoppiare la produzione.
Durante un pranzo a base di spiedini di zampe di pollo, pesce al vapore, tofu brasato e succo d’arancia nella suite dell’ufficio della fabbrica, il direttore dello sviluppo strategico del sito, Ding Xiaoke, parlando tramite un traduttore, descrive un’azienda notevolmente diversa dall’immagine popolare di colossi sovvenzionati dallo stato intenti a indebolire i rivali in Europa e negli Stati Uniti.
Le tariffe sui prodotti solari cinesi annunciate di recente da Biden non lo preoccupano, perché l’impianto non ha clienti negli Stati Uniti. È interessato a stabilire basi di produzione all’estero, ma teme che non corrispondano ai bassi costi del Sichuan.
“Per Tongwei, tutto riguarda il mercato”, ha detto. Questioni politiche come le barriere commerciali “potrebbero determinare la velocità con cui investiamo in una regione specifica, ma non ci fermeranno dal crescere”.
Soprattutto, Ding descrive un’azienda non solo priva di sostegno statale, ma in gran parte lasciata a se stessa dalla società madre (lo stabilimento di Leshan è tecnicamente gestito dalla Sichuan Yongxiang Co., una controllata della Tongwei Co., che va dal settore dell’alimentazione per pesci all’energia solare). Secondo Ding, è altrettanto probabile che competano quanto che collaborino con le altre strutture di produzione di polisilicio di Tongwei in altre province cinesi.
Questa immagine di totale indipendenza, però, non è del tutto accurata. I bilanci di Tongwei Co. riportano un totale di 2,19 miliardi di yuan (301 milioni di dollari) in sovvenzioni governative e agevolazioni fiscali ricevute dalla società madre dal 2009, con più della metà del totale accumulato lo scorso anno, quando l’espansione della capacità è andata a pieno ritmo.
Allo stesso tempo, i dati finanziari forniscono pochissime prove del sostegno diretto e sistematico che si presume spieghi i bassi costi dei pannelli fotovoltaici cinesi, specialmente se confrontati con First Solar, l’unica rivale statunitense con bilanci comparabili rimasta operativa nell’ultimo decennio.
Lungi dal trarre vantaggio da terreni economici, sconti fiscali e prestiti a tassi agevolati, l’azienda cinese è anzi notevole per quanto il suo modello di business sia simile a quello della sua più piccola rivale statunitense. Il valore dei suoi diritti fondiari, in rapporto al totale delle proprietà, impianti e attrezzature, è di circa il 4,9%, rispetto allo 0,8% per First Solar.
Questo suggerisce che, anziché beneficiare di vantaggi, Tongwei spende di più per i terreni. Dal 2009, le tasse sul reddito ammontano a circa il 30% del totale pre-tasse; First Solar ha invece raggiunto una cifra molto più bassa, pari al 12,8%. Il costo medio ponderato del capitale di Tongwei — un indicatore di qualsiasi vantaggio ottenuto da prestiti a basso costo — era dell’11,9%, quasi identico all’11,8% di First Solar.
Per quanto riguarda le sovvenzioni, dal 2009 First Solar ha ricevuto circa tre volte la somma dichiarata da Tongwei: $967 milioni tra sovvenzioni, crediti d’imposta e garanzie sui prestiti, secondo un database compilato dal gruppo di advocacy *Good Jobs First*. Circa il 90% di questo totale è stato destinato a progetti di sviluppo e finanziamento all’esportazione in Cile, Canada e India. (A causa della sua complessa struttura di proprietà, Hemlock Semiconductor non fornisce dati finanziari comparabili, ma dai dati della società e del database di *Good Jobs First* emerge che ha ricevuto $618 milioni in sovvenzioni dal 2008).
Il vero sostegno ricevuto da Tongwei è stato qualcosa di molto più indiretto: la certezza di un robusto supporto governativo per le energie rinnovabili. Molto tempo dopo che la Germania e la Spagna avevano interrotto i sussidi che avevano favorito la rapida crescita dell’industria delle rinnovabili negli anni 2000, il programma cinese era ancora attivo. Non ha fornito supporto diretto ai produttori, ma ha garantito una domanda stabile da parte delle utilities, permettendo alle fabbriche solari di superare le difficoltà iniziali fino a diventare realtà profittevoli. (Il programma cinese è stato chiuso alla fine del 2021.)
Offrendo certezza normativa e un ambiente favorevole agli investimenti — due elementi che le aziende cercano in ogni parte del mondo — la Cina ha costruito un’industria solare la cui leadership sembra ormai inscalfibile. Il polisilicio è la pietra angolare della catena di approvvigionamento solare. Se non può essere prodotto a prezzi competitivi, l’industria domestica al massimo assemblerà prodotti fotovoltaici fabbricati altrove. Questo è ora il percorso più probabile per il resto del mondo, secondo Bernreuter.
“Non penso che ci sarà una rinascita per Stati Uniti, Europa e Giappone. Non riesco a immaginarmelo”, afferma. “Non possono più competere con i player cinesi”.
Lezioni dalla Storia
Se si vuole immaginare un percorso alternativo per l’industria solare globale, basta guardare alla storia dei primi passi di Hemlock. Quando Henry Ford stava gettando le basi dell’industria automobilistica moderna a Detroit, una delle sue innovazioni chiave fu costruire su una scala che costrinse la concorrenza alla resa. Il suo stabilimento di Highland Park era la più grande fabbrica che il mondo avesse mai visto, quando fu aperta nel 1910. La struttura di River Rouge, costruita meno di un decennio dopo, era quasi dieci volte più grande. Includeva una propria centrale elettrica, moli e acciaierie, coprendo un’area maggiore di tutto il distretto finanziario di Londra.
Il segreto? Le economie di scala. É improbabile che una piccola fabbrica in un mercato stabile riduca molto i suoi costi. Tuttavia, costruendo a proporzioni epiche in un mercato in rapida crescita, piccoli miglioramenti nel processo di produzione si accumulano nel tempo, portando a una continua riduzione dei prezzi.
Negli anni ’60, il fondatore di Intel Corp., Gordon Moore, predisse che il numero di transistor nei chip dei computer sarebbe raddoppiato ogni due anni, una previsione che si è dimostrata corretta fino ad oggi. Lo stesso processo spiega perché i semiconduttori simili utilizzati nei pannelli solari ora costano circa il 4% di quello che costavano nel 2009. L’eccellenza della Cina nella produzione economica su larga scala l’ha trasformata nella base di produzione del 95% degli iPhone del mondo. Non sorprende che la stessa esperienza le abbia dato un vantaggio anche nell’industria solare.
Affinché questo processo funzioni, tuttavia, i produttori devono essere convinti che i loro audaci investimenti daranno i loro frutti, o perché sono più efficienti dei loro concorrenti, o perché sono fiduciosi che la domanda a lungo termine sarà inarrestabile.
Le aziende e le nazioni perseguono con determinazione i progetti che considerano opportunità vantaggiose. Il sostegno della Cina agli sviluppatori solari è così incrollabile in parte perché, a differenza degli Stati Uniti (che attualmente pompano più petrolio e gas di qualsiasi altra nazione nella storia), è disperatamente carente di fonti energetiche domestiche, a parte le riserve di carbone, i cui costi sono in continua crescita e i cui fumi minacciano di soffocare le sue città.
La quantità di carbone, petrolio o energia idroelettrica che un paese può produrre è un fatto ineluttabile della sua geografia, quindi la capacità della Cina di trasformare tale energia in crescita economica dipende fortemente dalle importazioni da altri paesi. Questa è una preoccupazione per Pechino, ma l’energia solare ed eolica sono diverse. La chiave per il loro sviluppo non è un caso geologico, ma di abilità manifatturiera, un campo in cui la Cina ha pochi rivali.
Un economista ti direbbe che il modo ideale per strutturare il commercio globale è che i paesi si specializzino nei prodotti in cui hanno il maggiore vantaggio comparato. Se la Cina può produrre pannelli solari più economici di chiunque altro, allora le altre nazioni dovrebbero comprarli e, in cambio, inviare ciò che possono produrre ai prezzi più bassi. I campi di mais e soia che circondano l’impianto di polisilicio di Hemlock sono un esempio lampante. L’anno scorso, le esportazioni statunitensi di questi due raccolti hanno raggiunto rispettivamente i 28 miliardi e i 13,7 miliardi di dollari, un totale superiore ai 22 miliardi spesi per l’importazione di pannelli solari.
La pandemia di Covid-19 ha reso questa visione del tutto fuori moda, poiché ha scatenato un ripensamento mondiale delle catene di approvvigionamento. L’allarme negli Stati Uniti e nell’UE è cresciuto ulteriormente quando la Russia ha usato le esportazioni di gas come arma durante l’invasione dell’Ucraina. Se i poteri autoritari controllano troppo una fonte di energia, potrebbero riuscire a piegare anche le democrazie alla loro volontà.
Tuttavia, quell’analogia non ha molto senso nel caso del solare. Le compagnie di gas russe vendono carburante, ma le imprese cinesi del solare vendono macchine per produrre energia dalla luce del sole. La distinzione è cruciale: Mosca può chiudere i rubinetti del gas dell’Europa, ma Pechino non può spegnere il sole. Anche così, il semplice fatto del dominio della Cina, ampiamente ignorato nel 2019, ha assunto l’importanza di un’emergenza globale nel 2024.
Il problema è che ormai è troppo tardi per tornare indietro sugli effetti a catena. Se i sussidi statunitensi ed europei per il solare non fossero stati tagliati a causa della cattiva reputazione derivante da Solyndra e dall’ondata di austerità seguita alla crisi finanziaria del 2008, gli sviluppatori di energie rinnovabili locali sarebbero stati più attivi e i produttori avrebbero visto una maggiore domanda per i loro prodotti.
Se un carismatico tedesco non avesse spinto gli Stati Uniti a una accidentale guerra tariffaria con la Cina, nei primi anni 2010, quegli impianti di polisilicio americani proposti potrebbero essere stati costruiti. L’innovazione di processo che è avvenuta nell’ultimo decennio a Leshan avrebbe potuto invece verificarsi a Hemlock, Clarksville, Moses Lake e Pasadena.
Gli installatori non vedono alcun motivo per preferire prodotti locali. “Negli ultimi anni non abbiamo visto una grande disparità tra i prodotti made in China e quelli americani”, afferma Randy French, fondatore di Independent Solar, un’azienda che installa sistemi residenziali da 21 anni in California, Arizona, Nevada e Texas. “Sono tutti prodotti davvero ottimi al momento”, dice. “Cinesi o di qualsiasi altro tipo.”
L’industria solare statunitense rimasta è moribonda, al massimo. SunPower Corp., un tempo nome venerato nell’industria solare statunitense, che valeva fino a 12,5 miliardi di dollari al suo apice nel 2007, ha presentato istanza di fallimento ad agosto. Tre settimane dopo, la svizzera Meyer Burger Technology AG ha cancellato i piani per costruire un impianto di celle solari da 2 GW in Colorado, affermando che il sito non era più finanziariamente sostenibile e che invece produrrà in Germania.
La settimana successiva, Maxeon Solar Technologies Ltd., l’unità di produzione di SunPower prima di una scissione nel 2019, ha abbassato le sue previsioni sugli utili, dopo che i controlli doganali al confine messicano hanno bloccato le importazioni negli Stati Uniti, il suo mercato più grande. La start-up CubicPV Inc. ha annunciato a febbraio che stava abbandonando i piani per costruire un impianto negli Stati Uniti capace di tagliare il polisilicio in quantità sufficienti a produrre 10 gigawatt all’anno di pannelli.
Ci sono vincitori, certamente, ma non su una scala sufficiente per soddisfare la domanda in arrivo. First Solar, ben protetta dai dazi, ha visto le sue azioni guadagnare circa un quarto da quando l’amministrazione Biden ha imposto il suo ultimo giro di dazi a maggio.
Anche la coreana Hanwha Solutions Corp., che produce pannelli sotto il marchio Qcells, ha ottenuto buoni risultati. La candidata alla presidenza democratica Kamala Harris ha visitato il suo impianto a Dalton, in Georgia, l’anno scorso e ha scherzato sulla sua “forse unica passione per l’energia solare”. Ad agosto, Qcells ha ricevuto una garanzia di prestito governativo di 1,45 miliardi di dollari per una fabbrica vicina che produrrà 3,3 GW di wafer solari all’anno.
Questo è all’incirca un decimo dei pannelli solari installati negli Stati Uniti l’anno scorso e circa un ventesimo di ciò che sarà necessario annualmente se il paese vuole mantenere la promessa di Biden di decarbonizzare la rete elettrica americana entro il 2035.
Anche a Hemlock, l’attività sta riprendendo. Una legge statunitense approvata nel 2022 ha vietato l’importazione di prodotti prodotti nella regione cinese dello Xinjiang, a meno che non ci siano prove chiare che non ci sia stata schiavitù nella loro catena di approvvigionamento. In teoria, questo non dovrebbe essere un problema insormontabile per Tongwei, che non opera nello Xinjiang e sembra essere “la scommessa più sicura nel mercato del polisilicio cinese”, secondo uno studio del 2021 condotto da ricercatori della Sheffield Hallam University. In pratica, tuttavia, il divieto ha agito come un blocco de facto su tutto il polisilicio prodotto in Cina.
Quella legge ha ispirato Hemlock Semiconductor a riavviare le vendite e la produzione per l’industria solare nel 2021. Appena a ovest dell’impianto esistente, sono già iniziati i lavori per un’espansione da 375 milioni di dollari. I lotti residenziali sono raddoppiati in prezzo, passando da 7.000 a 15.000 dollari per acro in previsione dell’afflusso di lavoratori, secondo Abbey Miller, un’agente immobiliare part-time e cameriera in una diner locale.
“L’industria solare statunitense è a un importante punto di svolta e il mercato sta chiedendo polisilicio made in USA a causa della sua alta qualità e tracciabilità”, ha dichiarato una portavoce di Hemlock in un comunicato via email. “Il momentum del mercato accelererà solo lo sviluppo di una catena di approvvigionamento domestica e ci aiuterà a esplorare opportunità per espandere la capacità per tenere il passo con la crescente domanda.”
Non è chiaro quanto della nuova produzione di Hemlock andrà all’industria solare e quanto ai semiconduttori, ma se si dovesse scommettere, non si potrebbe puntare molto sul fotovoltaico. Quello che agli Stati Uniti interessa davvero è il polisilicio ultra-puro per microchip, che è centrale nel desiderio dell’America di rendere il potere di calcolo — non l’energia solare — un vantaggio chiave per la sicurezza nazionale contro la Cina.
Il CHIPS Act, firmato da Biden nel 2022, fornisce circa 52 miliardi di dollari in sussidi all’industria dei microprocessori statunitensi, somme molto superiori di quanto il settore solare abbia mai goduto. L’Office of Loan Programs, un’agenzia governativa con l’autorità di emettere centinaia di miliardi in prestiti a progetti energetici promettenti e guidata dall’ex imprenditore solare Jigar Shah, non ha prestato denaro a nemmeno un produttore polisilicio da fotovoltaici tra il crollo di Solyndra nel 2011 e il prestito di agosto a Qcells.
La presunta razionalità dei dazi statunitensi sul solare importato è quella che un padre fondatore, Alexander Hamilton, avrebbe riconosciuto: proteggere un’industria nascente fino a quando non sarà abbastanza forte da reggersi da sola. Tuttavia, nessuno con cui ho parlato nell’industria solare vede come ciò possa accadere. Per avere un settore fotovoltaico funzionante c’è bisogno di ogni pezzo della catena di approvvigionamento — dal polisilicio, alla produzione di lingotti, al taglio delle fette, alla produzione di celle e infine all’assemblaggio dei moduli. Ci sono poche indicazioni che ciò emergerà su una scala sufficiente negli Stati Uniti, non ultimo perché le efficienze di produzione della Cina sono molto superiori.
Onde successive di dazi hanno fatto poco più che creare un’industria solare farlocca, mentre impongono una tassa sull’energia pulita in un contesto di progressivo aggreavamento della crisi climatica. Gli Stati Uniti hanno installato circa la metà dei pannelli solari nel 2023 rispetto all’Unione Europea, nonostante un patrimonio naturale di cieli sereni e sole luminoso molto più ricco.
Se l’America desidera un tipo di settore solare artigianale e in piccole quantità per dare l’impressione di star facendo il lavoro di contrastare il cambiamento climatico, mentre va all-in nell’espansione della produzione di petrolio, allora ha scelto la politica giusta. I produttori statunitensi possono sopravvivere nel mercato protetto del mercato domestico, ma il protezionismo che li sostiene significa che non cresceranno mai per essere abbastanza efficienti e a buon mercato per sopravvivere alla spietata concorrenza del mercato globale. È lì che le aziende cinesi regnano supreme. “La Cina voleva davvero l’industria solare”, dice Beachy, ex presidente di Hemlock. “Noi l’abbiamo lasciata andare come Paese.”
È un tragico fallimento di visione e ambizione. A Detroit, un secolo fa, gli imprenditori automobilistici statunitensi crearono un’industria che trasformò irrevocabilmente città, nazioni e economie. Questa volta, gli innovatori cinesi sono quelli che stanno cambiando il mondo.
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