A sentire Steve Bannon – ex stratega di Donald Trump nella vittoriosa campagna elettorale del 2016 e finito poi in prigione per aver rifiutato di testimoniare contro di lui nel processo per l’assalto al Congresso, intervistato oggi da Il Corriere della Sera – l’Ucraina sarà ben presto mollata al suo destino.
Agli europei la scelta se continuare a sostenerla oppure seguire gli Stati Uniti nel ritiro degli aiuti economici e soprattutto militari.
Bannon attualmente non ricopre incarichi istituzionali (è appena uscito dal carcere…) e probabilmente non ne avrà uno neanche dopo l’insediamento di Trump alla Casa Bianca. Però parla da coordinatore e “guru” del movimento Maga (make America great again), che è poi l’anima militante e militare del suo elettorato.
C’è quindi da tener presente una (piccola) differenza tra gli obiettivi dichiarati ancora adesso, oltre che durante la campagna elettorale, e quel che The Donald potrà concretamente fare una volta insediato.
Per quanto riguarda il rapporto con l’establishment tira davvero una pessima aria: «Non possiamo aspettare l’insediamento di Trump: la battaglia per il controllo del governo avviene in questo momento: alla Camera, al Senato, nello Stato amministrativo, alla Difesa, i giudici…». Peggio ancora, «Dicono che serve unità. Avremo l’unità dopo che abbiamo epurato i traditori».
Sia Bannon che The Donald non sono certo noti per il rispetto delle formalità “democratiche”, ma in questo caso si va un po’ troppo in là per non pensare che stavolta la presidenza Trump segnerà pesantemente l’architettura istituzionale statunitense…
Il centro dell’argomentazione del vecchio estremista di destra è il debito pubblico e «decostruzione dello Stato amministrativo», in altri casi chiamato anche “deep state”, ossia quella rete strutturata di enti, istituzioni, interessi sia economici che militari, che ha fin qui garantito l’establishment e “minaccia” di limitare una seconda volta il “riformismo trumpiano”.
Ma è esplicito che “l’Europa” verrà considerata d’ora in poi come un alleato troppo esoso e furbastro, che dovrà vedersela da solo. E neanche Giorgia Meloni potrà vantare qualche titolo preferenziale: «molti, nel movimento qui, pensano che Meloni si è quasi trasformata in una Nikki Haley. È stata tra i più grandi sostenitori della continuazione della guerra in Ucraina. Però l’Italia non ha fatto abbastanza per tenere il canale di Suez aperto per il commercio: tra i gruppi tattici di portaerei là, credo che ci sia solo una corvetta italiana.
Comunque penso che il suo atteggiamento cambierà con l’arrivo del presidente Trump, che la convincerà. E che i Paesi della Nato saliranno a bordo abbastanza rapidamente. Altrimenti, se crede davvero a quello che ha detto negli ultimi anni, dovrebbe essere pronta con gli altri in Europa a metterci i soldi, a staccare assegni grandi quanto i discorsi. Noi del movimento Maga siamo irremovibili, vogliamo tagliare al 100% i fondi per l’Ucraina alla Camera».
E in definitiva «Non pagheremo per la vostra difesa mentre lasciamo che ci colpiate con accordi commerciali sbilanciati. Sì, i dazi stanno arrivando, dovrete pagare per avere accesso al mercato Usa. Non è più gratis, il libero mercato è finito, perché l’Europa ha abusato di noi, come hanno fatto gli altri alleati».
Possiamo smetterla con le citazioni e registrare invece che per la borghesia europea si apre una vera voragine davanti ai piedi. Per quasi 70 anni ha provveduto a incamerare il massimo dei profitti limitando al minimo le spese militari, favorendo le delocalizzazioni dopo la caduta del Muro e la scomparsa dell’Unione Sovietica, la progressiva distruzione del “modello sociale europeo”, e quindi del welfare insieme a diritti e salari dei lavoratori.
Il tutto in una cornice di trattati – da Maastricht in poi – pensati per istituzionalizzare la “concorrenza interna” e il ridisegno delle filiere produttive a beneficio dei gruppi industriali dei paesi guida (più Germania che Francia, comunque).
Questo lungo processo di deindustrializzazione e desertificazione delle “competenze” non finanziarie (si veda anche l’analisi impietosa che Emmanuel Todd riserva a tutto l’”Occidente collettivo”) mette ora tutti i membri dell’Unione Europa – tranne forse i nuovi entrati dell’Est, destinatari delle delocalizzazioni e punta di diamante dell’anima guerrafondaia anti-russa – in una posizione di debolezza strategica pressoché irrecuperabile.
Vero è che il “piano Draghi” propone soluzioni classicamente da “keynesismo di guerra”, che però necessitano di una unità politica semi-statuale che l’Unione attuale ha fatto di tutto per evitare (a cominciare dall’ostilità verso un debito pubblico comune, visto con orrore dai “virtuosi” del Grande Nord).
Ed è noto che i cambiamenti istituzionali interni, ovvero della struttura dei trattati, fortemente interconnessi tra loro, richiede una tempo infinito e impegni fin qui esclusi. Bannon e quindi Trump, scaricando l’Ucraina, scaricano anche “l’Europa”, ridotta a concorrente sleale.
Così stupido, oltretutto, da aver dimenticato che per gli States ogni alleato vale finché serve. Poi ne fanno volentieri a meno, lasciandolo nella m..da (quando addirittura non lo bombardano).
E’ un nuovo mondo, dove non basta più recitare i mantra liberali e suprematisti per avere un ruolo di primo piano. Ma non ci sono pronti “piani B”….
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Arsenio Stabile
Il cd Deep State non conosce colori, sono istituzioni, enti, aziende che sono animate e piegate solo su i propri interessi affaristici e di profitto, quindi non credo che si mettereanno di traverso sulla strada di Trump, come invece affermate voi
salvatore drago
Perchè.mai si dovrebbero mettere di traverso se il fine che perseguono è lo stesso se non l’identico se, non, forse con altri artifici linguistici? Nulla di buono sotto i’orizzonte, insomma: Nulla se non la speranza. La speranza di un rsveglio popolare e di massa che sia capace di incepppare il passo a questi cialtroni che occupano abusavimante le famose “stanze dei bottoni” di nenniana memoria. Non scordiamo il famoso slogan: Loro 7 noi sette miliardi: