Le due mozioni di sfiducia contro l’attuale governo francese saranno discusse dalle 16 di mercoledì 4 dicembre, e verranno votate in serata.
Un fatto è certo: Michel Barnier, attuale capo dell’esecutivo d’oltralpe verrà sfiduciato sia che il Nuovo Fronte Popolare decida di accordare o meno il suo sostegno alla “motion de censure” del Rassemblement National di Le Pen e Bardella, sia che – come annunciato – l’estrema destra voti per la mozione di sfiducia del raggruppamento unitario della sinistra francese.
É l’ennesimo fallimento politico di Macron che, dopo l’annuncio a sorpresa dello scioglimento dell’Assemblea Nazionale ad urne europee appena chiuse, a giugno, aveva deciso di ignorare il responso elettorale e non conferire l’incarico di costituire un esecutivo al nome designato – con non poche difficoltà – dalla coalizione di sinistra, optando – il 5 settembre – per un gollista da sempre pienamente integrato nell’élite tecnocratica europea.
Una sorta di “commissariamento” con cui provare a risolvere – per modo di dire – l’approfondirsi della crisi politica francese. Un compito che sembrava perfetto per un ex commissario europeo più conosciuto a Bruxelles che a Parigi, e che ha avuto sin dall’inizio come unico orizzonte politico quello di cooptare l’estrema destra lepenista per imporre d’autorità le scelte di austerity elaborate a Bruxelles.
L’esatto contrario di quello che avevano indicato gli elettori, che volevano marcare una rottura con la Macronie e impedire che al governo andasse l’estrema destra.
Il governo di minoranza non ha retto il primo vero scoglio della nuova legislatura, cioè l’approvazione della “finanziaria” o, meglio, la parte relativa al rifinanziamento della Sècurité sociale. Barnier è dovuto ricorrere alla famigerata “legge 49.3” che permette – sì – di aggirare il voto parlamentare, ma espone alla possibilità di subire una mozione di sfiducia.
Le Pen non ha accettato tutte le “concessioni” del gollista – stimabili in 10 miliardi di euro rispetto all’ipotesi di manovra formulata inizialmente – ed ora si appresta, insieme ai gollisti di destra di Ciotti (che l’avevano sostenuta alle elezioni), a far cadere l’esecutivo. Barnier, ricordiamo, era passato indenne attraverso una precedente mozione di sfiducia da parte del fronte progressista votata da 197 deputati su 577, grazie proprio all’astensione di Le Pen.
La mozione di fiducia presentata ora dal NFP ha raccolto 185 firme (quasi la totalità dei deputati che ne fanno parte), mentre la seconda ne ha raccolte 140, tanti sono i “ciottiani” dell’UDR e i lepenisti del RN.
Servono 288 voti per fare cadere il governo, cosa che potrebbe avvenire anche senza l’appoggio dei “centristi” del gruppo LIOT, che fino ad ora si sono detti contrari a tale ipotesi.
Se, come tutto fa pensare, la sfiducia venisse approvata, sarebbe la seconda volta nella vita della V Repubblica nata dalla Costituzione “gollista”. Quella che, con un colpo di mano, in piena Guerra d’Algeria (1954-1962), cambiò l’architettura politica della Francia uscita dal Secondo Conflitto Mondiale. Barnier diventerebbe così il primo ministro meno longevo degli ultimi 60 anni, e il secondo ad essere sfiduciato dopo Pompidou…
Colui che era stato il negoziatore della Brexit per conto della UE non è riuscito stavolta a contrattare con la vera “capa politica” dell’ex Front National, nonostante avesse scelto l’estrema destra come unica interlocutrice, scartando a priori un confronto con il NFP anche sulla finanziaria, rompendo così la prassi del confronto tra le forze del cosiddetto “arco repubblicano”.
Sul suo epitaffio politico si potrebbe scrivere “ha attraversato la Manica, ma non è riuscito a guadare la Senna”.
Una caduta che avviene in un contesto economico tutt’altro che roseo, con relazioni internazionali sempre più tese e una leadership europea che sembra ignorare i sintomi evidenti di gravissima crisi politica di quello che era il vero pilastro della costruzione UE, cioè “l’asse franco-tedesco”.
É improbabile – ma non impossibile – che Macron possa nominare un altro governo per procedere, entro la fine dell’anno, al voto della “finanziaria”. Altrimenti i tre testi riguardanti il budget (PPL, PLSS e PLFFG) verrebbero sospesi/rigettati, e l’unica exit strategy sarebbe – ma non c’è unanimità tra i giuristi – l’attivazione dell’articolo 47 della Costituzione, di fatto un’approvazione “per decreto” da parte di un governo sfiduciato.
Sarebbe l’ennesima aberrazione giuridica che contribuirebbe a rompere la prassi politica consolidata, approfondendo l’attuale crisi democratica in Francia.
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