L’unità territoriale e la stabilità della Siria sono sottoposte a brutali sollecitazioni in diversi quadranti del paese.
Una settimana dopo che gli jihadisti hanno rovesciato Assad con un’offensiva lampo, i soldati israeliani si sono rapidamente sparpagliati sulle alture del Golan siriano e nell’adiacente provincia di Quneitra, prima di marciare a nord-est verso Damasco, fermandosi fuori Qatana, ad appena 25 km dalla capitale della Siria.
Il governo israeliano ha poi approvato con urgenza un piano da 11 milioni di dollari per raddoppiare la popolazione israeliana sul Golan. Già all’epoca del governo Bennett (2021-2022) era stato approvato un programma quinquennale da 317 milioni di dollari per raddoppiare la popolazione dei coloni. A quel tempo, i coloni israeliani nelle alture del Golan occupate erano circa 25.000.
Ma anche le alture del Golan, come la Palestina, non sono una “zona vuota da occupare e colonizzare”, c’è infatti una antica e consolidata presenza dei drusi precedente all’occupazione da parte di Israele. Molti di loro non hanno accettato la nazionalità israeliana e si identificano ancora come siriani.
Israele conquistò circa due terzi delle alture del Golan durante la guerra arabo-israeliana del 1967 e un mese dopo vi stabilì il suo primo insediamento civile, Merom Golan. Nel 1970 arrivarono altre dodici comunità di coloni. A conclusione della guerra arabo-israeliana del 1973 e degli scontri che continuarono fino all’anno successivo, Israele e Siria raggiunsero un accordo su una linea di armistizio: fu creata così la zona cuscinetto lunga 80 chilometri (50 miglia) pattugliata dalle Nazioni Unite. La Siria mantenne il controllo del resto del Golan a est della zona cuscinetto.
Nel dicembre 1981, Israele ha annesso il territorio del Golan che aveva occupato. Un’annessione dichiarata immediatamente illegale dalla risoluzione 497 votata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU che chiese a Tel Aviv il ritiro immediato delle truppe. Ma questa risoluzione, come molte altre , non è mai stata attuata da Israele che il 29 novembre 2023 ha ricevuto dal Consiglio di Sicurezza l’ultimo sollecito a rispettarla ed applicarla. Qualche anno prima l’amministrazione Trump aveva riconosciuto l’annessione israeliana del Golan. Adesso, mettendo ancora una volta la comunità internazionale di fronte al fatto compiuto, Israele ha allargato i propri confini a discapito della Siria infischiandosene delle risoluzioni internazionali.
Sul versante nordorientale della Siria, il giornale libanese Al Ahkbar scrive che “Mentre la tregua di quattro giorni tra le “Forze democratiche siriane” (SDF) e l'”Esercito Nazionale” sostenuto dalla Turchia attorno ad Ayn al-Arab (Kobane) volge al termine, ci sono segnali crescenti che la Turchia si stia preparando per operazioni militari su larga scala contro le SDF, con l’obiettivo di smantellare la sua presenza nella Siria nord-orientale”.
Sullo stesso quadrante si segnala che anche il Wall Street Journal, citando come fonti funzionari statunitensi e turchi, rileva che la Turchia e le milizie sue alleate stanno ammassando truppe lungo il confine per effettuare un’operazione militare “imminente” nelle aree controllate dai curdi nel nord della Siria.
Il giornale statunitense ha citato funzionari statunitensi i quali hanno affermato che la mossa della Turchia solleva timori di una grande offensiva sul territorio del Rojava controllato dai curdi e che un’operazione militare transfrontaliera turca potrebbe essere imminente.
Al Jazeera riferisce che Ilham Ahmed, funzionario dell’amministrazione civile curda nei territori siriani, ha fatto sapere di aver inviato una comunicazione al neo-presidente degli Stati Uniti Donald Trump affermando che l’operazione della Turchia in Siria era imminente, aggiungendo in una lettera citata dal Wall Street Journal che “l’obiettivo della Turchia è controllare la nostra terra prima che tu entri in carica”.
La Casa Bianca ha fatto sapere di comprendere le “legittime preoccupazioni della Turchia riguardo alle minacce provenienti dall’YPG”, con chiaro riferimento alle Unità di protezione popolare curde (YPG) e al PKK, ma fino ad oggi queste forze hanno potuto godere del sostegno statunitense nella lotta contro l’ISIS.
John Kirby, coordinatore del Consiglio di sicurezza nazionale dell’amministrazione Bidem, ha affermato ieri che l’attuale amministrazione ritiene che Ankara rimarrà un attore chiave nel dossier siriano, come lo è stato negli ultimi 14 anni.
In risposta a una domanda dei giornalisti sulle osservazioni di Trump secondo cui “la chiave della Siria sarà nelle mani della Turchia”, Kirby ha spiegato che il segretario di Stato americano Antony Blinken ha visitato Ankara proprio per questo motivo, dove ha discusso tutte le questioni relative alla Siria con i funzionari turchi.
In concomitanza con la caduta del deposto presidente siriano Bashar al-Assad e la sua fuga in Russia, la Turchia ha intensificato la sua retorica nei confronti delle unità curde in Siria, con Erdogan che ha affermato la scorsa settimana che il suo paese “schiaccerà le organizzazioni terroristiche il prima possibile”.
Il ministro degli Esteri turco Fidan ha sottolineato in un’intervista televisiva che l’obiettivo strategico della Turchia è quello di porre fine alla presenza delle YPG curde, lasciandogli solo due opzioni: o sciogliersi o affrontare la propria eliminazione tramite la forza.
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