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Orano guarda alla Mongolia dopo la cacciata dal Niger

Mentre le truppe francesi vengono cacciate anche dalla Costa d’Avorio, perdendo l’ultimo tassello di quella Françafrique che nell’ultimo paio d’anni è stata smontata pezzo per pezzo, il grande capitale dell’Esagono deve trovare altri luoghi da cui trarre risorse per le sue esigenze.

È il caso della Orano. Attiva nel settore nucleare, la multinazionale francese rifornisce le centrali transalpine. Ma tramite i diritti di estrazione del metallo radioattivo in Niger, essa andava assumendo sempre più un ruolo centrale per l’approvvigionamento dell’intera Europa, e anche per le mire strategiche della UE (sul tema energia come su quello militare).

L’estromissione da parte del governo di Niamey ha mandato in crisi questa prospettiva. E nonostante la Orano abbia infine deciso di procedere ad un arbitrato internazionale contro il Niger riguardo al sito di Imouraren, è ovvio che il quadro geopolitico non le è più congeniale e deve trovare al più presto delle alternative.

Alla fine del 2024 è stato annunciato un accordo preliminare tra il governo della Mongolia e la compagnia francese per sviluppare un nuovo progetto minerario. Il documento dovrà ora passare per il Parlamento del paese asiatico per essere approvato, e solo in quel momento l’intesa diventerà ufficiale.

Le informazioni rese note parlano di un dossier di cui si è cominciato a discutere nel 2023, e che ora prevede un impegno del valore totale di 1,6 miliardi di dollari, con un investimento iniziale di 500 milioni.

Si intende cominciare la fase di preparazione delle attività estrattive al più presto, e comunque entro il 2027 per avere la miniera attiva entro il 2028.

Si stima di raggiungere il picco produttivo nei successivi 15 anni, arrivando all’estrazione di 2.600 tonnellate del materiale nel 2044. Grossomodo, si tratta di una quantità pari a quella che fruttava la società Somair, prima che le autorità nigerine ne prendessero il controllo operativo a inizio dicembre, interrompendo le attività della Orano nel paese.

In Mongolia, invece, la multinazionale è presente da circa un quarto di secolo per iniziative di esplorazione di possibili giacimenti. Sembra dunque che un sito papabile (col progetto rinominato Zuuvch Ovoo) sia stato individuato nel sud-est del paese, nella provincia di Dorgonovi.

Il primo ministro mongolo, Oyun-Erdene Luvsannamsrain, ha dichiarato che “questo accordo rappresenta un significativo passo avanti nel promuovere gli investimenti esteri e le opportunità di lavoro per il popolo mongolo“. A sfruttare il sito sarà la joint venture Badrakh Energy, formata da Orano Mining e MonAtom, un’impresa statale mongola.

Zuuvch Ovoo, secondo alcuni studi preliminari, potrebbe portare il paese asiatico ad essere il sesto produttore mondiale al mondo di uranio. Per la Mongolia ciò significa approfondire un modello già fortemente improntato sulle attività minerarie: rappresentano il 25% del PIL e il 90% delle esportazioni.

Nonostante le garanzie sugli appalti e sull’occupazione, che dovrà coinvolgere lavoratori e imprese locali, è risaputo che un modello fondamentalmente estrattivista dominato da multinazionali occidentali porta con sé irrisolvibili contraddizioni sociali. A guadagnarne senza dubbio sarà invece di sicuro l’Orano.

Il suo amministratore delegato, Nicolas Maes, aveva ribadito l’obiettivo di ridurre la dipendenza dalla Russia e garantire forniture stabili di uranio, divenute un miraggio di fronte alla sollevazione anticoloniale del Sahel. A suo avviso erano necessari nuovi investimenti e contratti a lungo termine, e l’accordo con la Mongolia sembra proprio rispondere a questa strategia.

Orano prevede ricavi per 13 miliardi e mezzo di dollari, nel ciclo di vita del sito. La Francia prevede invece di assicurare alla UE le risorse necessarie a tentare l’ambizioso salto di qualità tra gli attori globali.

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