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Il riarmo europeo, un sogno brutto e impossibile

Si fa presto a dire «riarmo»… Il problema è che metterlo in pratica è una cosa maledettamente (e per fortuna) complicata.

Pochi giorni fa la cosiddetta presidente della Commissione Europea, la marchesa von der Leyen, nata Albrecht, è tornata sull’argomento dopo aver seguito il geniale consiglio di Giorgia Meloni («non chiamiamolo riarmo, pare brutto»).

Abbiamo bisogno di un’industria della difesa forte, dato che la nostra Unione si assume una maggiore responsabilità per la propria difesa: non è solo una questione di sicurezza, ma anche di competitività”.

La competitività, a occhio, dovrebbe essere con le fabbriche di armamenti statunitensi, anche se tutti ritengono che – vista la storica arretratezza dei sistemi d’arma europei – alla fine il «riarmo da 800 miliardi» diventerà di fatto un maxi ordinativo per il complesso militare-industriale di Washington. Del resto la «sperimentazione sul campo» l’hanno fatta soprattutto loro, sempre in guerra contro qualcuno. E con le armi non si può scherzare: o funzionano bene, o sono ferrivecchi da buttare.

La guerra in Ucraina, però, ha dimostrato proprio che gli armamenti di fabbricazione europea – britannica, francese, tedesca, italiana – non sono all’altezza né delle promesse e tanto meno delle necessità pratiche.

Proprio quel conflitto, tra l’altro, il primo da molti decenni condotto tra potenze «simmetriche» (dando per assodato che Kiev sia militarmente una protesi della Nato, sia pure con limitazioni evidenti per non rischiare la guerra nucleare), ha per di più stravolto le tecniche di combattimento, rendendo così buona parte dei «vecchi» armamenti qualcosa di obsoleto. Benché costosissimo.

Sciami di droni di tutte le dimensioni e funzioni, dal rilevamento elettronico al bombardamento alla «caccia all’uomo» nei campi, con i mezzi corazzati ridotti al disperante ruolo di bersagli impotenti o, al massimo, «pezzi di artiglieria» montati su cingoli motorizzati. E via innovando…

Per gli eserciti europei, e le relative industrie fornitrici, si è così creato un doppio gap rispetto al «nemico» russo: una dotazione scarsa, soprattutto per quanto riguarda il munizionamento, e costi di fabbricazione levitati a causa delle scelte politiche sciagurate fatte proprio dall’Unione Europea. Di fatto, per acquistare un quantitativo di mezzi uguale a quello di qualche anno fa bisogna spendere il doppio o persino il triplo.

Un attento studio di Analisi Difesa – non certo imputabile di simpatie «pacifiste» – descrive con ricchezza di informazioni lo stato dell’arte.

La cosiddetta «Europa» (in realtà la UE, ossia una struttura politica) ha grossi problemi di coordinamento militare, ostacoli normativi (legislazioni settoriali nazionali differenti), difficoltà di accesso alle materie prime (acciaio, energia, ecc), scarsità di competenze scientifiche e industriali dedicate, oltre che di manodopera qualificata.

Ma questo è solo l’inizio.

Basterebbe ricordare che l’«integrazione militare europea» al momento non è ancora prevista da alcun trattato, al contrario di migliaia di materie economiche e commerciali.

Ma anche a prescindere da questo «dettaglio» politico, in fondo risolvibile in un lasso di tempo non brevissimo, i problemi sono in primo luogo di ordine finanziario e industriale.

Lo stesso ricorso al «debito comune», che già sembra un everest neanche nominabile, non risulta decisivo perché – come stabilito dall’andamento concreto della guerra in Ucraina – la scala dimensionale del riarmo «necessario» è al di là delle possibilità produttive indipendenti.

E qui pesano le scelte politiche recenti. Le «sanzioni» alla Russia e la rinuncia al gas di Mosca – storicamente a buon mercato – hanno ridotto grandemente la capacità europea di produrre energia a costi accettabili. E l’industria delle armi è notoriamente una delle più energivore…

Privatizzazioni e delocalizzazioni hanno allontanato o cancellato la capacità di produrre acciaio ed esplosivi (basti pensare alla nostra Italsider ex «pubblica» sminuzzata come Ilva e infine palleggiata tra possibili acquirenti stranieri sempre più improbabili, più interessati ad eliminare un concorrente che a produrre in territorio europeo).

Ma l’evaporazione dell’industria pesante ha portato ovviamente con sé la cancellazione di cattedre universitarie «collegate» e la rarefazione dei laureati da inserire nella produzione.

Riarmare un continente deindustrializzato, insomma, non è esattamente qualcosa che può avvenire con un «click».

Questi «problemini» – sommati a molti altri – hanno fatto salire verso il cielo i costi su tutta la filiera delle armi. Dal 2021 ad oggi, dicono «fonti» del ministero della difesa italiano, i costi del materiale sono praticamene triplicati. Insomma, aumentando la spesa di tre volte ci compri quello che già compravi cinque anni fa.

Per i fabbricanti non cambia nulla, fanno gli stessi profitti; per gli eserciti che comprano quelle armi è un disastro, perché già non riescono a tener dietro agli impegni presi dalla «politica» per sostenere la guerra in Ucraina, figuriamoci per «riarmare» in vista di conflitti più impegnativi.

«Tra il 2021 e il 2024 il prezzo medio dell’esplosivo a uso militare è lievitato del 90%, l’acciaio del 59%, l’alluminio del 50%, i circuiti stampati del 64% e la carpenteria leggera di oltre il 100%.

Un proiettile d’artiglieria da 155 mm (senza spoletta, sistema di guida e carica di lancio) prodotto in Europa costa all’acquirente tra i 2.500 e i 4.000. Se si considera che nel conflitto in Ucraina i russi arrivano sparare anche 15/18 mila proiettili al giorno e gli ucraini 5/6mila si comprende quale sforzo finanziario sia richiesto oggi per riempire i magazzini e sostenere la guerra dell’Ucraina, peraltro nei limiti delle capacità produttive europee e statunitensi».

E stiamo parlando di «armi stupide», di tecnologia ultramatura, senza particolari congegni hi tech in grado di renderle più efficaci…

Situazione simile, anzi peggiore, man mano che si sale nella scala dimensionale: «Le bombe d’aereo Mk 82 da 227 chili sono passate, a seconda del tipo di esplosivo impiegato, da 6mila a 9mila e da 12 mila a 20 mila euro tra il 2021 del 2024. Costi che riguardano il solo “corpo bomba”, senza i sistemi di guida che le rendono precise. Allo stesso modo è cresciuto il costo delle Mk 83 da 554 chili mentre le MK 84 da 908 chili sono raddoppiate di costo, da 30 mila euro nel 2021 a 60 mila nel 2024

Per gli Stati europei è una notizia tragica. Per quante risorse in più possano dedicare agli armamenti, venendo incontro alla richiesta Usa di aumentare la spesa in ambito Nato (fino al 5% del Pil), non ne deriva affatto un equivalente aumento di mezzi a disposizione. E, purtroppo, la guerra si fa con i numeri delle armi, non con le righe del bilancio o le dichiarazioni ai media.

Basta guardare cosa è accaduto alla Gran Bretagna, che certo ha mantenuto anche nel declino una postura «coloniale» e bellicista: «con una spesa militare incrementata fino a raggiungere il 2,3 per cento del PIL nel 2025, con un incremento del 15 per cento rispetto al 2023, Londra ha dovuto radiare una cinquantina di aerei da combattimento Typhoon Tranche 1, 30 elicotteri CH-47 e Puma, 55 droni e 5 navi militari oltre a trovarsi con il livello minimo di effettivi dai tempi delle guerre napoleoniche

Il Centro Studi Bruegel e il Kiel Institute, entrambi tedeschi,hanno messo a confronto i costi di alcuni mezzi terrestri occidentali con gli omologhi russi e cinesi:

Di fatto, un Leopard di ultimo tipo costa quanto sette T-90 russi di ultimo tipo. E sul campo di battaglia, nelle nuove condizioni di combattimento, la differenza di efficacia praticamente non si è vista…

Ne deriva che un continente (per di più «Vecchio», nelle definizioni ufficiali) che non possiede materie prime né fonti di energia praticamente infinita – al contrario della Russia o del sistema di relazioni internazionali cinesi – avrebbe tutto da guadagnare nell’uscita dai vaneggiamenti guerrafondai che trasformano la «competizione» capitalistica in avventura militare.

Non ha né il «fisico» né l’età per stare sul ring… e allota «datti pace» e anzi promuovila a livello internazionale. Hai tutto da guadagnare. A cominciare dalla permanenza in vita…

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1 Commento


  • Sebastiano

    E’ un sogno? Non credo.
    Si cambia ! Che cosa!? Una domanda a cui rispondere …..per Comprendere quale sara’ il nuovo e futuro Paradigma socio-culturale,per un Paese TERRA…che a tutt’oggi ha difficoltà a capire come far…Parlare,A Tutti la Stessa Lingua,,..?

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