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L’economia del genocidio. Il rapporto di Francesca Albanese svela per chi è un affare

Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati, lo aveva annunciato da tempo: era a lavoro per la stesura di un rapporto che denunciasse le più grandi aziende che stanno finanziando Israele e si stanno rendendo complici del genocidio del popolo palestinese.

Lunedì sera il documento, lungo in totale 38 pagine, è stato reso pubblico, prima di venir discusso domani al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. Il titolo chiarisce immediatamente il messaggio: “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio“. Con esso viene aggiornata e ampliata la lista delle compagnie che hanno legami con le occupazioni illegali in Cisgiordania, redatta nel giugno 2023.

Albanese ha usato 200 rilievi provenienti da stati, associazioni per la difesa dei diritti umani, aziende e accademici per ricostruire una rete di più di 60 società che, oltre ai rapporti con i coloni israeliani, hanno interessi nelle operazioni militari in atto a Gaza. Stando a ciò che ha diffuso Reuters, 15 aziende avrebbero già risposto al rapporto, ma senza rendere pubbliche le proprie posizioni.

Le compagnie sono state divise da Albanese in 8 settori, che rispondono alle esigenze di tre obiettivi: quello di obbligare i palestinesi a lasciare la propria terra, quello di aiutare i coloni a occuparla, quello di facilitare tutte queste operazioni, fornendo intermediazione legale, finanziaria, mediatica.

Ovviamente, tra le prime responsabili vengono individuate le aziende produttrici di armi, quelle israeliane, ma soprattutto un enorme complesso militare-industriale che vede al suo apice la statunitense Lockheed Martin, seguita da altre 1.600 aziende tra cui l’italiana Leonardo.

Vengono poi citate anche quelle aziende che forniscono robot per le catene di montaggio belliche, o trasportano i materiali da una parte all’altra del mondo, come la Maersk. C’è poi il ruolo fondamentale svolto da le società che forniscono tecnologie utili ad attività di sorveglianza: IBM, Alphabet, Amazon, Microsoft, Palantir, che aiutano nella raccolta dati e nello sviluppo delle intelligenze artificiali usate nella West Bank come a Gaza.

Albanese elenca anche fornitori di macchinari pesanti, come Caterpillar Inc., Volvo e HD Hyundai. Le loro attrezzature sono state usate per la distruzione di proprietà nei territori palestinesi. Caterpillar, in passato, aveva dichiarato che i suoi prodotti sarebbe dovuti essere utilizzati nel rispetto del diritto internazionale umanitario, ma ad ora non ha risposto alle richieste di commento provenienti da Reuters.

Nella gestione delle acque, è Mekorot ad aver sostenuto le politiche genocidiarie di Israele. Il colosso statunitense Chevron fornisce più del 70% del gas naturale consumato nell’entità sionista. Insieme alla britannica BP è anche il maggiore fornitore di petrolio. L’agribusiness è fondamentale nelle colture dei coloni, mentre Booking e Airbnb continuano a mettere a disposizione strutture delle colonie illegali.

Le modalità con cui viene normalizzata la pulizia etnica si può notare nel fatto che Booking scriva nei suoi annunci “territorio palestinese, insediamento israeliano“, nascondendo la grave violazione del diritto internazionale. Oppure con quello che Albanese chiama “humanitarian-washing“: Airbnb dona a cause umanitarie.

L’aumento delle spese militari deciso da Tel Aviv per pagare il massacro è stato sostenuto da importanti attori finanziari: BNP Paribas, Barclays, BlackRock, Vanguard, Allianz. Lo stesso hanno fatto grandi enti assicurativi e previdenziali, come Axa e il Norwegian Government Pension Fund Global.

Il rapporto specifica poi che molte università stanno dando una mano all’apartheid e al genocidio perpetrati dai sionisti. Quelle israeliane, com’è scontato, ma anche quelle occidentali, come il MIT. Il programma di ricerca UE Horizon si muove nella stessa direzione. La Commissione Europea ha elargito più di 2 miliardi di euro a enti di Tel Aviv, compreso il ministero della Difesa.

Ovviamente, la missione permanente israeliana a Ginevra ha detto che il rapporto è “legalmente infondato” e “diffamatorio“. Sia Tel Aviv sia Washington si sono disimpegnati dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU all’inizio di quest’anno. Tale organo, per quanto non abbia poteri vincolanti, ha più volte discusso informazioni usate poi per promuovere azioni legali sul piano internazionale.

Albanese, nelle conclusioni, scrive senza mezzi termini che il genocidio continua “perché è lucrativo per molti“. La vita dei palestinesi è diventata un terreno ideale per testare le tecnologie di industrie delle armi e delle Big Tech, ma l’economia del massacro distribuisce dividendi per tanti settori.

Sempre nelle conclusioni Albanese afferma anche: “il motore ideologico, politico ed economico del capitalismo razziale ha trasformato l’economia di occupazione basata sullo sfollamento e sulla sostituzione da parte di Israele in un’economia di genocidio. Si tratta di una ‘impresa criminale congiunta’, in cui le azioni di uno contribuiscono in ultima analisi a un’intera economia che alimenta, sostiene e rende possibile questo genocidio“.

Le aziende citate da Albanese non sono nemmeno tutte quelle che partecipano di questa politica di pulizia etnica, ma intanto, dice la relatrice dell’ONU, bisogna agire dove e come possibile. Invita, dunque, oltre alle sanzioni e all’embargo verso il commercio di armi, ma anche di tecnologie dual use con Israele, anche ad adottare tutte le misure necessarie a recidere i rapporti tra Tel Aviv e le imprese coinvolte nel genocidio.

Oltre a questo, invita a pagare riparazioni al popolo palestinese attraverso una tassa sulla ricchezza di coloro che hanno guadagnato dal massacro dei palestinesi, e invita anche la Corte Internazionale di Giustizia a perseguire i dirigenti e gli organi delle società che hanno fatto affari in questo quadro di pesante illegalità, secondo il diritto internazionale.

Tra le ultime righe che scrive, Albanese chiede infine che si continui nell’opera di pressione per il boicottaggio e il disinvestimento dalla filiera di morte israeliana. Ne va della fine di crimini tremendi e della giustizia per il popolo palestinese.

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1 Commento


  • Pasquale

    In un paese come l’Italia governato da codardi e vili che hanno paura di condannare apertamente un genocidio in corso per difendere la propria poltrona e compiacere il padrone yankee, si erge una donna, italiana, con un ruolo speciale all’ONU che con audacia e carte in mano ha il coraggio di accusare e documentare crimini e misfatti, colpevoli, complici e affaristi di questa carneficina. In difesa dei diritti umani e dei fratelli palestinesi in particolare.

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