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Il commissario UE Dombrovskis è venuto a Roma per dirci di riarmarci

A margine della conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina, lo scorso 11 luglio, il commissario UE all’Economia, Valdis Dombrovskis, si è fermato qualche ora in più a Roma per parlare prima col suo omologo nazionale italiano, Giancarlo Giorgetti, poi con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Ci sono stati vari dossier sul tavolo, ma il tema è stato sostanzialmente uno: l’Italia deve spendere di più in armi, ma i conti pubblici devono ancora uscire dalla crisi della procedura di infrazione, aperta poco più di un anno fa. Qui l’inghippo: la clausola di salvaguardia per investire di più in armamenti come può essere attivata finché si è sotto questo tipo di percorso di aggiustamento di bilancio?

Quando la Meloni sbandierava ai quattro venti che non avrebbe attivato la clausola, in realtà millantava una cosa che, comunque, non avrebbe potuto fare. Anzi, i colloqui avuti con Dombrovskis sono serviti proprio a capire come spendere quei soldi in più che il governo, al pari del resto della classe dirigente europea, vuole mettere sul riarmo europeo.

Giorgetti ha sottolineato che il paese dovrebbe uscire dalla procedura di infrazione con un anno di anticipo, ovvero il prossimo invece che nel 2027. Ma come spesso è accaduto in passato, è la UE a dettare le regole, e gli altri a eseguire: un portavoce della Commissione ha fatto sapere che non è prevista l’uscita anticipata dai controlli imposti.

Per il ministro dell’Economia italiano, allora, basterebbe anche interpretare in maniera diversa le norme europee, ma anche su questo lato Bruxelles non ha lasciato spiragli. Dombrovskis che ha detto che comunque “troveremo delle soluzioni perché l’Italia possa incrementare quelle spese” militari.

Eppure, qualsiasi soluzione il commissario europeo sembra averla bocciata, se non quella di rimettere a posto i conti e poi attivare la clausola di salvaguardia nel 2027, quando la situazione sarà più stabile (e il governo Meloni avrà finito il proprio mandato). Però, c’è una via che è rimasta sempre sul tavolo, e a cui Dombrovskis ha richiamato anche negli ultimi mesi: il MES.

Tra le righe dell’incontro torna a far parlare di sé il famigerato meccanismo salva-stati, che rappresenta un vero commissariamento della politica economica di un paese. Solo lo scorso maggio proprio Dombrovskis era tornato in pressing su Palazzo Chigi, affinché ratificasse questo strumento, date le condizioni volatili dell’economia.

Ma a marzo, il commissario aveva anche accennato alla possibilità che il MES venisse utilizzato per aiutare nel riarmo e nella costruzione della difesa europea. Non a caso, è venuto a parlare con uno dei paesi principali della UE, che non ha ratificato il meccanismo, e che ha un ruolo centrale nel progetto di una Europa armata fino ai denti.

Mettendo in ordine le questioni, c’è innanzitutto il target NATO del 5% del PIL in spese militari, quindi le spese andranno aumentate. Il governo Meloni vuole farlo, soprattutto perché, con l’attuale architettura europea, solo la Germania si avvantaggerà davvero di questo tipo di investimenti, mentre la spinta sull’industria bellica rappresenta un’opportunità per ridare fiato alle economie nazionali (anche in maniera competitiva l’una con l’altra).

E tuttavia, è Bruxelles a decidere le regole del gioco, e c’è poco da fare per Palazzo Chigi. A meno che non ceda definitivamente sul MES. In quel caso, in un prossimo futuro, si potrebbero rendere plausibili altre vie. Insomma, gli incontri con Dombrovskis hanno palesato una volta di più che c’è una doppia gabbia che impedisce qualsiasi ipotesi di alternativa: quella della NATO e quella della UE.

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1 Commento


  • ugo

    Se c’è qualcosa che fa disperare sono i nostri obiettivi strategici: 800 miliardi per riarmarci, 500 per ricostruire l’Ucraina, il 5% del PIL in difesa… Vale la pena di buttare 500 miliardi in uno stato fallito quando Russia e Cina stanno facendo enormi investimenti in Africa, dove la nostra influenza sta crollando? Indebitarsi per 800 miliardi quando la sicurezza militare è una conseguenza di quella economica? Abbandonare la transizione verde per poi dover ricomprare dalla Cina tecnologie che non abbiamo voluto sviluppare noi? E alla fine, come ciliegina sulla torta, arriva un Baltico a dirci che dobbiamo stringere la cinghia per dare una mano al suo revanscismo anti-russo.

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