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La “riforma” del trattato di stabilità impone più… austerità

Si fa presto a dire di tutto, se il testo di un accordo ancora non c’è. I ministri finanziari dell’Unione Europea, dopo una lunghissima serie di interminabili incontri, hanno tutti sottoscritto un nuovo testo che “riforma” il Patto di Stabilità, ossia il trattato che regola le politiche di bilancio degli stati membri.

Tutti soddisfatti, a parole, con qualche silenzio significativo (Salvini, anche se a firmare è stato il suo alter ego, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti) e la molto moderata approvazione di una Giorgia Meloni meno ciarliera del solito.

All’ultimo appuntamento utile – altrimenti dal primo gennaio tornavano in vigore le vecchie regole, sospese prima per la pandemia e poi per la guerra in Ucraina, che impongono tra l’altro una riduzione di 1/20 l’anno del debito pubblico (una delle regole più stupide, mai rispettata da nessun paese membro)– si era del resto arrivati con una situazione capestro.

La Germania, con il ministro liberale Lindner terrorizzato dai sondaggi che danno il suo partito sotto la soglia di sbarramento, chiedeva e otteneva dai partner l’adozione di regole ancora più stringenti, spaventando persino Mario Monti.

Il “compromesso” firmato alla fine da Giorgetti appare davvero una resa incondizionata. L’unico punto su cui tedeschi e francesi hanno concesso un po’ di flessibilità è «il recepimento delle nostre iniziali richieste di estensione automatica del piano connessa agli investimenti del Pnrr, l’aver considerato un fattore rilevante la difesa, lo scomputo della spesa per interessi dal deficit strutturale fino al 2027».

In pratica l’aumento delle spese militari – come chiedevano un po’ tutti i paesi, costretti dalle pressioni Nato e dalla guerra alle porte – esce per ora dal conteggio della spesa pubblica “sanzionabile” dalla UE. Così come, per i prossimi tre anni, la maggiore spesa per ripagare gli interessi sul debito pubblico.

Per il resto invece passa tutto l’irrigidimento preteso da Lindner e dagli altri “paesi frugali” del Nord Europa.

La deviazione massima consentita dai percorsi di aggiustamento basati sulla limitazione della spesa primaria netta, per i Paesi con rapporto debito/pil superiore alla soglia del 60% (per l’Italia è ora al 140%), è stata ridotta allo 0,3% del pil annualmente (rispetto al precedente 0,5%), e allo 0,6% cumulativamente (rispetto al precedente 0,75%).

Significa concretamente un controllo maggiore sulla formazione della “legge di stabilità” che annualmente ogni governo deve scrivere, tagliando ancora più drasticamente ogni spesa che viene ritenuta “non coerente”. A partire come sempre dalla spesa sociale…

Ma viene rafforzata la clausola di salvaguardia riguardo al deficit (ossia la quota di spesa pubblica che ogni anno eccede le entrate previste e per cui si prevede l’emissione di nuovo debito).

In pratica, gli Stati nella posizione dell’Italia (con il debito oltre la soglia del 60% del pil), una volta ridotto il rapporto deficit/pil sotto al 3%, dovranno continuare a ridurlo, fino a raggiungere l’1,5% se hanno il debito oltre il 90% del pil o il 2% se il debito/pil è sotto il 90%.

Il margine di deficit annuale all’1,5% riduce a ben poco lo spazio di manovra per affrontare qualsiasi problema di dimensioni rilevanti.

Per di più, l’accordo franco-tedesco aumenta la velocità con cui l’aggiustamento di bilancio deve avvenire: il bilancio primario deve migliorare dello 0,4% ogni anno (la proposta iniziale era allo 0,3% precedente) oppure dello 0,25% se si fanno investimenti e riforme (dallo 0,2%).

Altro, per ora, non si sa. Ma già così è evidente che gli stati più indebitati, come l’Italiana, vengono imbavagliati mani e piedi da Bruxelles. Di misure “per la crescita”, anche se si avesse qualche idea funzionante, resta vietato anche parlare. Tutte quelle che circolano, non a caso, continuano sulla vecchia strada della compressione dei salari e la riduzione della spesa pensionistica…

Come si può vedere, il “governo sovranista” ha calato le braghe esattamente come tutti quelli precedenti. Più austerità, senza se e senza ma.

Non c’è spazio per “riformare” l’Unione Europea, né da destra né da sinistra (ricordatevi di Tsipras…). Il capitale multinazionale non ammette deviazioni serie dal percorso che ha tracciato.

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3 Commenti


  • Tonino

    Diceva Lenin che l’Europa unita o sarà reazionaria o non sarà. Direi che ci ha preso.


  • matteo

    E non dimenticate di fare figli per la patria e per l’Europa!


  • Eros Barone

    Anche un orologio guasto può segnare l’ora giusta due volte al giorno e il colpaccio della Meloni non può non generare un intenso godimento in tutti coloro che riconoscono nella UE un’organizzazione imperialista reazionaria, il braccio economico-finanziario della NATO. Certo, i “mercati” e i loro manutengoli nazionali ce la faranno pagare, ma intanto godiamoci le facce inorridite delle vestali della UE: Mattarella, Prodi, Gentiloni, Schlein e compagnia cantante. E’ iniziato un periodo tecnicamente rivoluzionario…

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