Menu

Il Pentagono investe direttamente in terre rare, altro passo nella guerra alla Cina

Mentre la guerra dei dazi continua, gli Stati Uniti fanno i conti con la necessità di garantirsi l’approvvigionamento delle famose ‘terre rare’, quelle materie prime strategiche per le moderne filiere dell’elettronica, dell’informatica, e dunque anche dei comparti bellici. Il Dipartimento statunitense della Difesa ha deciso di investire direttamente nel settore.

Il Pentagono ha infatti annunciato un investimento di 400 milioni di dollari in MP Materials, azienda cardine del settore grazie alla gestione della Mountain Pass, nell’entroterra californiano, a meno di 100 km da Las Vegas. Si tratta dell’unica miniera di terre rare sul suolo statunitense, ma senza dubbio una delle più importanti al mondo.

Il sito rappresenta una fetta importante nel mercato globale: si parla di percentuali che, ogni anno, viaggiano tra il 12 e il 15% del totale delle terre rare estratte. Ma per quanto i produttori stelle-e-strisce si siano impegnati, nel 2024 hanno raccolto solo un sesto di quel che ha ottenuto il Dragone (43 mila tonnelate i primi, 240 mila il secondo).

Il che è un grosso problema per un’economia digitale come quella statunitense, soprattutto se, come è successo in questi mesi, alla Casa Bianca hanno deciso di accelerare sul braccio di ferro commerciale con Pechino – e col mondo intero. La Cina, all’imposizione tariffaria, ha dunque risposto con un taglio netto delle esportazioni di terre rare, sceso da aprile del 76% in generale, del 92% verso gli USA.

Questo ha messo immediatamente a dura prova le imprese oltreoceano, e così l’amministrazione Trump ha imparato la lezione, è tornata parzialmente sui suoi passi, ma si è poi attivata per poter preparare più attentamente i prossimi colpi. È in quest’ottica che va considerata la decisione del Pentagono di acquisire il 15% di MP Materials, divenendone così il più importante azionista.

James Litinsky, che ne è sia il fondatore sia l’amministratore delegato, ha affermato che, con questa operazione, si intraprende “un’azione decisiva per accelerare l’indipendenza della filiera americana“. Washington, tra le altre cose, si è impegnata anche a condere, entro 30 giorni, un prestito da 150 milioni di dollari, per espandere la miniera di Mountain Pass.

Non si sta parlando, però, solo di estrarre più tonnellate ma, appunto, dell’intera filiera. La MP ha ricevuto anche lettere di impegno per investimenti da un miliardo di dollari, firmate da JP Morgan e Goldman Sachs. L’obiettivo è finanziarie il secondo stabilimento di magneti di terre rare, strumenti con una vasta gamma di usi.

L’impianto dovrebbe avere una capacità produttiva di 10 mila tonnellate all’anno, e dovrebbe entrare in funzione nel 2028. Esso sarebbe in sinergia con altri investimenti, come quello che sta facendo l’australiana Lynas Rare Earths in Texas per uno stabilimento di raffinazione delle terre rare. Non casualmente, il valore delle sue azioni è schizzato in alto, come è successo per la MP.

C’è un ultima clausola dell’accordo col Pentagono che risulta assai interessante. I vertici militari USA hanno promesso che garantiranno le vendite del nuovo stabilimento per un decennio, accettando inoltre di acquistare i prodotti in neodimio-praseodimio (uno dei principali dei magneti di terre rare) a un prezzo minimo di 110 dollari al chilogrammo.

Altro che libero mercato: la MP mantiene un assetto proprietario privato, ma nella sostanza diventa un’impresa dello stato, tanto che la sua produzione verrà comprata a un prezzo politico. Diventa, insomma, uno strumento di politica industriale in tutto e per tutto. Il fatto che ad averne la maggioranza azionaria è il Pentagono non può che destare preoccupazione.

I magneti di terre rare sono fondamentali nella produzione dei più avanzati sistemi bellici (che siano F-35, droni o sottomarini). Dal punto di vista economica, insomma, non sorprende che la Difesa voglia avere una fornitura sicura. Ma dal punto di vista politica, ciò esprime una evidente preminenza data, nel futuro, alle ragioni e alle necessità di un’economia di guerra, piuttosto che a quelle di attività civili.

A complemento di questa notizia c’è anche il vertice organizzato a Washington tra il 9 e l’11 luglio, durante il quale Trump ha incontrato i leader di Gabon, Guinea Bissau, Liberia, Mauritania e Senegal. Se sui media nostrani se ne è parlato soprattutto per una gaffe del tycoon col presidente liberiano, in realtà è stato un importante tentativo di sondare opportunità concrete, innanzitutto proprio sulle terre rare.

La rottura dello stallo che si è vissuto per anni, e persino del legame euroatlantico, non si andrà ricomponendo, anzi. Si preparano già tutte le carte perché essa vada approfondendosi.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *