Può sembrare strano che la politica agricola possa svolgere un ruolo nell’autonomia energetica, ma è proprio su questa particolare sinergia che il governo Meloni ha puntato da tempo, come elemento qualificante anche del Piano Mattei. O sarebbe meglio dire, alcuni gruppi (a partire da ENI) nella cornice dei tentativi UE di cercare una propria autonomia energetica e strategica.
Un tempo c’era la ‘battaglia del gran’, e in realtà si prevede che, associata alla prossima legge di bilancio, Palazzo Chigi associerà alcune misure per rafforzare il settore primario italiano. Ma basta guardare appena oltre il Mediterraneo per vedere dove si prospettano davvero importanti investimenti, e con quale logica.
ENI ha infatti chiuso un accordo, alla fine di giugno, per un impianto di spremitura di oli vegetali a Loudima, nella Repubblica del Congo. Già nel 2025 il sito dovrebbe arrivare a produrre 30 mila tonnellate di prodotto, attraverso una fornitura di 1,1 milioni di tonnellate di soia e girasoli, distribuiti su di una superficie di 15 mila ettari.
Mettiamo subito in chiaro la logica coloniale e il forte impatto sulle condizioni di vita locali che un piano del genere può avere. In Congo la produzione alimentare interna soddisfa meno di un terzo delle esigenze del paese e la malnutrizione è molto diffusa. Allo stesso tempo, il dipartimento della Bouenza, dove si troverò l’impianto dell’ENI, è definito come ‘il granaio del Congo’.
I suoi terreni sono molto fertili, ma molti di questi sono diventati difficili da coltivare, perché degradati dopo decenni di abbandono. ENI ha fornito a consorzi di agricoltori locali le semenze, gli agrofarmaci e circa 200 mezzi agricoli pesanti per permettere di lavorarli, per poi chiedere in cambio l’acquisto del raccolto, che dovrà alimentare il sito di spremitura.
Quella che a prima vista può sembrare una buona azione, in realtà si presenta come una tipica opera coloniale. Soia e girasoli sono colture edibili che potrebbero quindi aiutare a migliorare le condizioni di vita locali, ma viene in sostanza imposta una monocultura in alcuni dei terreni migliori del Congo, tutta finalizzata alla produzione di oli vegetali.
Invece di aiutare l’emancipazione delle popolazioni locali, al ricatto della fame viene sostituito il ricatto della fornitura di materie prime alla potenza straniera. Questi oli vengono poi usati per la produzione di biocombustibili, in accordi simili ad altri che ENI ha stretto anche in Kenya, Costa d’Avorio e Mozambico.
La multinazionale italiana ha infatti obiettivi ambiziosi: vuole aumentare la propria capacità di bioraffineria da 1,65 milioni di tonnellate all’anno a 5 milioni di tonnellate di biocarburanti e oltre 2 milioni di tonnellate di carburanti per l’aviazione entro il 2030. Per raggiungere questo obiettivo, c’è la necessità di coltivare 1 milione di tonnellate di oli vegetali.
Dall’altro lato di questo sfruttamento delle terre africane c’è, ad esempio, Livorno. L’ENI ha appena chiuso un contratto da 15 anni con la Banca Europea per gli Investimenti per un finanziamento fino a 500 milioni di euro, finalizzato alla conversione della raffineria della città toscana in una bioraffineria.
L’impresa italiana costruirà delle strutture per la produzione di biocarburanti idrogenati, di cui si prevede che la domanda aumenterà del 65% entro il 2028. Un nuovo mercato in cui posizionare ENI, con l’interesse che anche la UE palesa, attraverso la BEI, rispetto all’aiuto che questo tipo di prodotti potranno dare alla riduzione delle dipendenze esterne rispetto all’energia.
Qui faremo solo un accenno al tema, ma uno dei cardini attorno a cui ruota questo programma di sfruttamento imperialistico è BF, che sta per Bonifiche Ferraresi. Il gruppo italiano (che, tra le altre cose, ha appena stretto importanti accordi per rafforzare la propria presenza in Algeria) ha firmato a febbraio un accordo con ENI per la fornitura di materie prime per biocombustibili.
Alla fine dello scorso anno, BF aveva raggiunto un’altra importante intesa con Leonardo, che nel campo agricolo può far valere i propri servizi riguardanti geoinformazione, satelliti e digitale. Insomma, anche il settore delle armi trova da guadagnarci nei piani agricoli sostenuti dal governo e dal Piano Mattei. E Bruxelles è contenta.
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