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Il Governo libanese vuole disarmare la Resistenza, ma Hezbollah: ”Non se ne parla”

Secondo i più pessimisti, nei giorni scorsi il Libano ha compiuto un passo verso una nuova guerra civile. Dopo una riunione del Consiglio dei Ministri, infatti, il Primo Ministro Salam se ne uscito con una dichiarazione con cui, seppur in forme edulcorate e prendendo tempo, decreta il disarmo di Hezbollah.

Ha, infatti, affermato che “l’esercito libanese verrà incaricato di elaborare un piano attuabile entro la fine dell’anno per il contenimento delle armi [in mano milizie non statali], per presentarlo al Consiglio dei Ministri entro la fine di questo mese”.

I Ministri sciiti non hanno partecipato alla riunione, ma non sono in numero sufficiente per porre in stallo l’esecutivo, come accadeva in precedenza.

Questa sparata s’inserisce nell’ambito delle pressioni di USA e paesi arabi per contenere la Resistenza in tutto il quadrante.

Hezbollah ha replicato rispolverando, forse per la prima volta dopo il cessate il fuoco di fine novembre, un linguaggio minaccioso: la decisione di decretare il disarmo è stata definita un “grave peccato” e verrà trattata “come se non esistesse”.

Il Segretario Generale Naim Qassem, in uno dei suoi discorsi televisivi, è tornato a parlare di guerra, tuonando che se il cessate il fuoco continuerà a non essere rispettato nel sud, la Resistenza “farà cadere missili all’interno dell’entità sionista”.

E’ chiaro che l’esercito libanese non è in grado di imporre il disarmo a nessuno, ma già il solo fatto di voler mettere fuorilegge le milizie di Hezbollah, apre la strada a possibili provocazioni da parte di ex-falangisti al fine di far scaturire interventi esterni con il pretesto “far rispettare le decisioni sovrane del governo”. Proponiamo un articolo di Al-Akhbar che disegna lo scenario attuale.

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Disarmare la resistenza: si apre una nuova fase di confronto in Libano

La decisione del governo di Nawaf Salam di disarmare Hezbollah segna un momento politicamente teso nella storia del conflitto arabo-israeliano. Sia la sua tempistica, sia il suo contenuto riflettono il culmine di una lunga traiettoria che ha iniziato a prendere forma dopo l’ultima guerra israeliana in Libano nell’autunno del 2024.

Sebbene emanata da un’autorità ufficiale libanese, le implicazioni della decisione vanno oltre l’attuale momento politico, essendo direttamente legate a quanto seguito alla cessazione delle ostilità israeliane. All’epoca, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu non si era vantato di aver vinto. Aveva invece citato tre ragioni per porre fine alla guerra: gli sviluppi a Gaza, in Iran e, soprattutto, la necessità dell’esercito israeliano di “riposo e recupero”.

Il cambiamento più significativo, tuttavia, risiede nell’evoluzione del panorama regionale, soprattutto in Siria, e nelle sue conseguenze sull’accerchiamento della resistenza. Nonostante abbia inferto colpi gravi e mirati a Hezbollah, prendendo di mira anche leader chiave come Sayyed Hassan Nasrallah e Sayyed Hashem Safieddine, Israele ha concluso che il suo affidamento sulla superiorità aerea e sulla pressione militare non è riuscito a smantellare l’infrastruttura militare di Hezbollah né a neutralizzarne il ruolo di deterrenza.

In risposta, la strategia israeliana si è spostata verso strumenti meno costosi, concentrati sull’indebolimento di Hezbollah dall’interno, prendendo di mira la sua base di sostegno nazionale e costringendo lo Stato libanese a prendere misure contro la resistenza. Questo sforzo è guidato direttamente dall’amministrazione statunitense.

In questo contesto, è emerso un nuovo concetto: l'”ingegneria politica della sovranità libanese”, una strategia volta a ridisegnare i confini della legittimità per presentare Hezbollah come un organismo che opera “al di fuori dell’autorità statale”. La recente decisione sul disarmo, guidata dalla pressione diretta degli Stati Uniti, incarna questa logica nella sua forma più chiara. Il dibattito all’interno del governo sulla “carta degli Stati Uniti” non è una disputa interna, ma parte di uno sforzo congiunto tra Stati Uniti e Israele per rimodellare il panorama politico e di sicurezza del Libano.

Dal punto di vista di Israele, la decisione non è uno sviluppo politico marginale, ma una svolta. Dagli anni ’90, Hezbollah ha operato nell’ambito di un ampio consenso nazionale che lo ha protetto dagli attacchi politici interni, consentendogli di concentrarsi sulla lotta all’occupazione israeliana. Ora, quel consenso è sotto attacco. L’attuale decisione mira a privare la resistenza della sua legittimità nazionale e a rilanciarla come una forza di ribellione contro lo Stato.

Ma questa sfida non è rimasta senza risposta. La risposta di Hezbollah ha immediatamente cambiato la narrazione, definendo la decisione incostituzionale e illegittima. Il partito ha ribadito il suo impegno per la “sovranità nazionale” di fronte al disarmo imposto dall’estero e ha chiarito la sua posizione: respinge categoricamente la decisione e non la riconoscerà, evitando comunque un confronto aperto con lo Stato.

Questa posizione riflette una deliberata moderazione politica. Hezbollah si rifiuta di cadere nella trappola del conflitto civile, pur mantenendo i suoi punti di forza fondamentali. Continua a operare attraverso le istituzioni statali, sostenuto dalla Costituzione, dalla dichiarazione ministeriale e da decenni di legittimità accumulata come forza di resistenza nazionale.

In pratica, Hezbollah si è trovato di fronte a tre scelte: sottomettersi ai dettami israelo-americani, confrontarsi direttamente con lo Stato o impegnarsi politicamente evitando conflitti interni. Ha scelto la terza via, la più efficace e con il costo minore. Questo approccio consente a Israele di manovrare attraverso le istituzioni statali libanesi, ma finora gli ha negato l’escalation interna che desiderava. Ancora più importante, riformula la battaglia attorno alla sovranità, non solo alle armi.

Israele riconosce la difficoltà che questo pone al suo calcolo strategico. La posizione della resistenza indebolisce la capacità del governo di far rispettare la decisione sul disarmo senza rischiare disordini interni. Eppure la domanda chiave rimane: Israele sta usando la decisione del governo per legittimare la sua aggressione contro la resistenza?

Dal punto di vista israeliano, la risposta è sì. La decisione fornisce un pretesto per un’ingerenza più profonda negli affari libanesi, senza dover attraversare il confine, con il pretesto di “sostenere la sovranità dello Stato”. Dal punto di vista libanese, i continui attacchi israeliani non fanno che rafforzare il legame diretto tra la decisione sul disarmo e la strategia postbellica di Israele.

Guardando al futuro, la prossima fase dipende da un fragile equilibrio tra tre forze:

  1. La capacità del governo di attuare la decisione in un contesto politicamente e socialmente diviso.

  2. La capacità di Hezbollah di resistere alle pressioni senza cadere in uno scontro interno.

  3. La capacità di Israele di intervenire senza apparire come istigatore. Questo scenario consente a Israele di sfruttare una decisione del governo libanese nella sua lunga guerra alla resistenza senza aprire un nuovo fronte.

La decisione sul disarmo non ha chiuso lo scontro. Ha aperto un nuovo capitolo, definito non da proiettili, ma da costituzioni, alleanze politiche e manovre istituzionali. Hezbollah si è posizionato come difensore della sovranità nazionale contro un progetto guidato dall’estero.

Tra l’ingegnerizzazione esterna della sovranità libanese da parte di Israele e la resistenza interna di Hezbollah, sta emergendo una nuova linea di demarcazione in Libano. Questa linea non passa solo attraverso il sud, ma attraversa il cuore stesso dello Stato; la sua costituzione, il suo governo, le sue pretese di legittimità e la coscienza popolare ora di fronte a una domanda fondamentale:

Chi difende veramente la sovranità e chi la invoca per servire interessi stranieri?

*https://en.al-akhbar.com/news/disarming-the-resistance–new-phase-of-confrontation-opens-i

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