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Le vittime a Gaza: “non 60.000, ma oltre mezzo milione”

Dalle testimonianze mediche e militari emerge il volto genocida dell’assedio israeliano, sostenuto dagli Stati Uniti.

Gaza, il bilancio occultato delle vittime: tra stime ufficiali e genocidio denunciato dagli esperti, il numero delle vittime palestinesi nella Striscia di Gaza continua a essere oggetto di contestazioni sempre più forti. Ralph Nader, storico attivista e voce critica della politica statunitense, punta il dito contro il bilancio “ufficiale” di circa 60.000 morti diffuso finora.

Secondo Nader, tale cifra sarebbe gravemente sottostimata rispetto alla realtà di un conflitto che egli definisce apertamente “genocidio”, perpetrato da Israele con la complicità degli Stati Uniti.

Le testimonianze sul campo

Il dottor Feroze Sidhwa, chirurgo traumatologico che ha prestato servizio volontario due volte negli ospedali di Gaza dal 2024.

Secondo il medico, la realtà che emerge da studi indipendenti e osservazioni dirette spinge a rivedere radicalmente le stime: “Ritengo che il bilancio delle vittime abbia ormai superato le 500.000 persone”, ha dichiarato. Un numero, questo, che restituirebbe l’immagine di una catastrofe umanitaria su scala senza precedenti.

Sidhwa insiste sull’importanza di un conteggio accurato: non solo per rendere onore alle vittime, ma anche per alimentare la pressione diplomatica e politica necessaria a fermare l’assedio e permettere l’ingresso degli aiuti umanitari, già ammassati ai confini con Gaza.

Ogni esperto internazionale concorda nel definire questa offensiva un genocidio – ha aggiunto –. Che le vittime siano mezzo milione o un numero diverso, resta il fatto che ci troviamo davanti a un’enorme strage di massa.”

Gaza come “campo di concentramento”

Le parole del chirurgo assumono toni drammatici quando descrive le condizioni della popolazione civile. “Chiunque entri a Gaza percepisce l’immagine di un gigantesco campo di concentramento”, ha affermato, sottolineando come metà della popolazione sia composta da bambini. Secondo Sidhwa, se Israele o gli Stati Uniti volessero davvero alleviare le sofferenze della popolazione, sarebbe possibile garantire aiuti immediati con costi minimi e senza interrompere le operazioni militari. “Basterebbero due settimane e 10.000 dollari. Ma non lo faranno per ragioni che tutti conosciamo”, ha dichiarato con amarezza.

L’analisi militare di Theodore Postol

A supportare queste valutazioni è intervenuto anche il professor Theodore Postol, emerito del MIT ed esperto riconosciuto di sistemi d’arma e politiche di sicurezza nazionale. Postol ha fornito un’analisi tecnica del potere distruttivo delle armi impiegate contro Gaza, osservando come il crollo di edifici residenziali colpiti dai bombardamenti comporti una mortalità quasi totale tra chi vi si trova all’interno.

Quando un grande edificio crolla – ha spiegato – le possibilità di sopravvivenza sono praticamente nulle, salvo per chi rimane intrappolato vicino alla superficie delle macerie. In profondità, è la morte certa.

L’esperto ha sottolineato che le immagini satellitari e fotografiche delle rovine confermano la scala di distruzione, rendendo plausibili le stime di centinaia di migliaia di vittime. La dimensione dei danni, ha aggiunto, va ben oltre le cifre fornite da fonti ufficiali.

Il peso della complicità internazionale

Nader e i suoi ospiti hanno puntato il dito non solo contro Israele, ma anche contro la responsabilità diretta degli Stati Uniti. Washington, oltre a fornire sostegno politico, continua a garantire un flusso costante di armi e copertura diplomatica. Un appoggio che, secondo molti analisti, rende la Casa Bianca corresponsabile di una tragedia umanitaria che ricorda i capitoli più oscuri del Novecento.

Il bilancio reale delle vittime rimane difficile da stabilire con certezza, ma le testimonianze di chi opera sul campo e le valutazioni di esperti indipendenti convergono: il costo umano dell’offensiva è immensamente superiore a quanto dichiarato. Ed è proprio su questa discrepanza che Nader ha voluto richiamare l’attenzione, ricordando che l’occultamento dei numeri è esso stesso parte integrante della strategia di guerra.

Ma al di là delle divergenze sulle cifre esatte, resta un dato ineludibile: a Gaza si sta consumando una tragedia umana di proporzioni colossali. Rendere visibile la realtà delle vittime, sostengono Sidhwa e Postol, è il primo passo per mobilitare la comunità internazionale e spingere verso un cessate il fuoco.

Contare i morti significa ridare loro dignità – ha ribadito Sidhwa –. Ed è solo partendo da questa verità che possiamo sperare di fermare la macchina di distruzione che oggi devasta Gaza.

 * da Kulturjam.it

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3 Commenti


  • Giorgio

    eccettp nei casi dove tutta la famiglia e sterminata i parenti darebbero i loro cari por scomparsi con l edificio. Ritengo improbable che centinaia di migliaia di vittime restino occulte e non suano riportate.


    • Redazione Contropiano

      Forse non hai presente la situazione… I morti “ufficiali” sono quelli registrati con il passaggio negli ospedali (la certificazione della morte è un atto di civiltà che vale anche e soprattutto nei popoli con lunga tradizione di rispetto per i defunti, come i palestinesi). Ma nel caso di crolli dei palazzi, all’inizio de genocidio, c’era molti volontari che scavavano tra le macerie anche a mano (e infatti il numero dei morti, inizialmente è cresciuto molto velocemente). col passare dei mesi diminuivano, perché morivano a loro volta. e anche gli ospedali sono stati tutti bombardati e quasi tutti costretti a chiudere. tenere il conto in queste condizioni diventa impossibile (e infatti abbiamo ogni giorno il numero delle vittime in cerca di cibo, ma il numero totale ufficiale cresce lentamente perché l’infrastruttura medica è stata devastata.


  • Petrillo Angelina

    Rendere pubblici i numeri effettivi delle vittime è necessario per rendersi consapevoli della mostruosità che si sta consumando nella Striscia di Gaza con la passività della comunità internazionale. Sono state comminate sanzioni? Basta impunità!

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