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Colloqui sul nucleare iraniano a Ginevra, ma si alzano già i toni…

Due giorni fa si è tenuto a Ginevra il secondo round dei colloqui tra il formato E3 (Regno Unito, Francia, Germania) e l’Iran riguardo il programma nucleare civile di quest’ultimo. Il clima però è tutt’altro che disteso, e persino l’ipotesi di un rinfocolarsi della guerra contro la Repubblica Islamica è apparsa nel dibattito pubblico.

A diffondere la notizia è stato il Financial Times, che ha riportato come un diplomatico occidentale abbia affermato al giornale britannico che “potrebbe verificarsi un altro ciclo [di conflitto] perché le operazioni militari non hanno risolto nulla“. Ha anche aggiunto che “si discute sulla gravità dei danni subiti dagli impianti nucleari, ma non sono così gravi da compromettere il programma nucleare“.

Affermazioni di un certo peso, quando al di là dell’Atlantico il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti Pete Hegseth ha licenziato il capo dell’agenzia di intelligence del Pentagono Jeffrey Kruse e altri due alti comandanti militari proprio perché, almeno secondo Reuters, avrebbero firmato un rapporto che affermava che i danni dell’attacco statunitense ai siti iraniani ne avevano ritardato i lavori solo di qualche mese.

Tornando all’incontro di Ginevra, il dialogo sembra impantanato di fronte alle prese di posizione arbitrarie dei rappresentanti delle tre grandi potenze europee, mentre chiedono all’Iran di tornare a confrontarsi con gli USA. Cosa che è difficile pensare possa accadere dopo che è stata Washington a interrompere i contatti bombardando i siti di Teheran. E tuttavia, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi ha lasciato aperta la porta per possibili negoziati indiretti, purché gli USA si impegnino a non attaccare l’Iran nel mezzo della discussione.

Il fulcro dell’incontro in Svizzera era la riattivazione del meccanismo di snapback previsto dall’accordo sul nucleare del 2015, lo stesso che è stato disconosciuto, ancora una volta, dalla prima amministrazione Trump, non dall’Iran. Si tratta, in sostanza, della reimposizione automatica delle sanzioni sospese in funzione delle trattative nel caso in cui venisse accertata una violazione dell’accordo.

Già il 20 giugno c’era stato un primo faccia a faccia tra i ministri degli Esteri di Francia, Germania, Regno Unito, l’Alto rappresentante UE Kaja Kallas e l’Iran, con gli europei che continuano a sostenere che il programma iraniano è privo di uno scopo civile.

Era seguito un altro incontro il 25 luglio, senza raggiungere alcun avanzamento. Secondo alcuni funzionari occidentali, riferisce Axios, gli esponenti iraniani continuano a presentare proposte piuttosto vaghe.

A tutto ciò è seguita una chiamata telefonica tra Araqchi, i suoi omologhi europei e Kallas, poco prima del vertice a Ginevra. Araqchi ha criticato qualsiasi tentativo di attivare il meccanismo sanzionatorio dell’accordo del 2015: esso sarà valido fino al 18 ottobre, e le sanzioni possono essere attivate solo entro il 18 settembre. Secondo Reuters, l’E3 potrebbe avviare le procedure relative già oggi, giovedì 28 agosto.

Dal canto loro, le autorità iraniane sono di tutt’altro avviso. Mentre Rafael Grossi, a capo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) delle Nazioni Unite, ha reso noto che una squadra di ispettori è tornata in Iran per la prima volta dopo gli attacchi israeliani e statunitensi, mostrando la predisposizione dialogante della Repubblica Islamica.

È stato controllato il sito di Bushehr, di cui il cambio del materiale fissile esausto deve essere effettuato sotto la supervisione AIEA, dove comunque non avviene l’arricchimento dell’uranio. L’approvazione, arrivata dal Consiglio Nazionale Supremo di Sicurezza, guidato da Ali Larijani – considerato una figura diplomatica e di dialogo – ha comunque suscitato alcune critiche all’interno del Parlamento.

Va ricordato che, proprio sul fronte interno, lo scorso 17 agosto è stato lanciato un appello proveniente dalle file dei partiti che sostengono l’attuale presidente iraniano Pezeshkian. In 11 punti, si propone di offrire la sospensione dell’arricchimento dell’uranio in cambio della rimozione delle sanzioni, ma si chiede anche un’amnistia generale per i prigionieri politici e la separazione tra i militari e la politica. Le scelte fatte dal governo sembrano, dunque, finalizzate a ricomporre la frattura interna, per rafforzarsi verso l’esterno.

Allo stesso tempo, Teheran mette in guardia gli imperialisti occidentali dal continuare sulla via dell’escalation. Altre dichiarazioni hanno reso chiaro che non c’è alcuna disponibilità a restare in balia delle angherie occidentali. Il comandante delle Forze Armate, il generale di divisione Amir Hatami, ha affermato: “in un mondo del genere, non abbiamo altra scelta che diventare più forti“.

Il presidente del Parlamento, Mohammad Bagher Ghalibaf, ha invece avvertito che se l’Iran verrà nuovamente attaccato, “nuove aree geografiche e nuovi obiettivi saranno aggiunti alla nostra risposta“. Ricordiamo anche che lunedì il Cremlino ha riferito di un colloquio telefonico tra Putin e il presidente iraniano Masoud Pezeshkian, in cui l’omologo russo ha sostenuto il “diritto all’arricchimento” di Teheran.

Il quotidiano russo Kommersant ha riportato la notizia che Mosca si oppone all’idea della riattivazione delle sanzioni: “Le minacce di Gran Bretagna, Germania e Francia di attivare il meccanismo per reintrodurre le sanzioni ONU precedentemente sospese contro l’Iran rappresentano un grave fattore di destabilizzazione“, ha citato il giornale da una dichiarazione del ministero degli Esteri russo. 

Dall’Australia – membro dell’Aukus – è arrivata un’altra entrata a gamba tesa. Il governo ha accusato i Guardiani della rivoluzione iraniani di aver ordinato “due attacchi antisemiti” sul suo territorio (di cui non c’è praticamente traccia sui media) ed ha espulso l’ambasciatore di Teheran.

Si prospettano settimane cariche di tensione, che potrebbero far ricadere il Medio Oriente nella crisi del terrorismo sionista e statunitense.

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