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La Cina alla conquista del Sud globale

Un “nuovo ordine commerciale globale”. È ciò che sta emergendo dalla rete sempre più fitta di scambi tra la Cina e i paesi emergenti in risposta al protezionismo statunitense e all’aumento delle tensioni geopolitiche.

A sostenerlo è uno studio di Standard & Poor’s che evidenzia che, dal 2015, le esportazioni cinesi verso il Sud globale sono raddoppiate, in particolare a partire dalla guerra commerciale (2018-2019) scatenata dalla prima amministrazione Trump.

Secondo il report dell’agenzia di rating statunitense (China Inc. heads to Global South in the age of tariffs), negli ultimi cinque anni, l’export di Pechino verso i paesi del Sud globale è aumentato del 65 per cento, triplicando il ritmo del quinquennio precedente. Le esportazioni cinesi verso i mercati più ricchi, Stati Uniti ed Europa occidentale, sono cresciute invece rispettivamente ‘solo’ del 28 e del 58 per cento nell’ultimo decennio.

Attualmente, il valore delle esportazioni della Cina verso il Sud globale è di 1.600 miliardi di dollari, il 50 per cento in più rispetto alle sue esportazioni combinate verso gli Stati Uniti e l’Europa occidentale, che ammontano a 1.000 miliardi di dollari.

Si tratta di una tendenza destinata a continuare. Infatti il combinato disposto dei nuovi dazi sulle importazioni negli Stati Uniti voluti da Donald Trump e del rallentamento dell’economia cinese spingerà sempre di più le compagnie cinesi a vendere i loro prodotti nei mercati emergenti.

E così, secondo Standard & Poor’s:

Il risultato potrebbe essere un nuovo ordine del commercio globale in cui il commercio Sud-Sud diventa il nuovo centro di gravità e le multinazionali cinesi emergono come nuovi attori chiave.

Il ruolo centrale assunto dal Sud globale per la Cina non si limita agli scambi. Anche gli investimenti cinesi nei paesi anzitutto dell’Asia, ma anche dell’Africa e dell’America latina stanno aumentando costantemente e massicciamente, in particolare nella manifattura. Ad esempio, i flussi verso i quattro maggiori partner commerciali della Cina nel Sud-est asiatico – Indonesia, Malesia, Thailandia e Vietnam – sono quadruplicati nell’ultimo decennio, raggiungendo una media di 8,8 miliardi di dollari all’anno.

Secondo lo studio di S&P:

È probabile che questi investimenti continuino nell’era dei dazi, non solo per evitare nuove imposte o assicurarsi risorse, ma anche per sviluppare i mercati finali e ridurre la dipendenza dalle vendite negli Stati Uniti. Questa strategia di diversificazione potrebbe essere uno dei pochi modi praticabili per gestire le elevate incertezze dell’era dei dazi.

Il rapporto di S&P ha indicato il caso dell’Indonesia come quello in cui più chiaramente «le aziende cinesi potrebbero allineare i propri investimenti e le proprie attività con gli obiettivi di sviluppo locale». Il paese asiatico ha infatti sfruttato gli afflussi di capitali per sviluppare rapidamente la propria industria del nichel e avanzare nella catena di fornitura dei veicoli elettrici.

Allo stesso modo, le case automobilistiche cinesi hanno rapidamente ampliato la propria presenza sul mercato, capitalizzando sulla transizione energetica nell’Asia meridionale e sud-orientale, con vendite cresciute di tredici volte in Malesia, raddoppiate in Thailandia, Indonesia e Filippine e aumentate di oltre il 50 per cento in India e Vietnam negli ultimi tre anni.

Il rapporto dell’agenzia di rating Usa evidenzia che l’espansione cinese nel Sud del mondo è diventata evidente in una serie di settori, tra i quali: ingegneria, edilizia, macchinari, attrezzature, beni di consumo e servizi.

«I nuovi dazi statunitensi potrebbero non essere la causa diretta, ma fungono da acceleratore comune», hanno affermato gli analisti di S&P.

Il documento rileva inoltre i diversi rischi che le aziende cinesi devono fronteggiare nella loro espansione all’estero, tra cui: partner commerciali sconosciuti; sistemi legali e infrastrutture meno sviluppati; preoccupazioni locali circa la potenziale vendita di beni da parte delle aziende cinesi a prezzi eccessivamente bassi per soppiantare i concorrenti; controlli normativi; sanzioni o dazi compensativi.

Nonostante queste sfide, gli analisti di S&P hanno affermato di aspettarsi che la tendenza continui, poiché le aziende «cercano di diversificare le vendite al di fuori degli Stati Uniti ed espandersi in altri mercati con prospettive di crescita più solide rispetto a quelle nazionali».

* da Rassegna Cina

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