Un breve resoconto cronologico degli eventi: il 15 luglio il governo del repubblicano Bayrou ha proposto una legge di bilancio sui binari dell’austerità, con tagli sociali che si aggirano intorno ai 44 miliardi di euro: due giorni festivi cancellati, tagli massicci alla sanità, congelamento delle pensioni e la soppressione di migliaia di posti di lavoro nel settore pubblico.
Nelle settimane successive, sui social networks, ha preso forma una rete dal basso che dietro le parole d’ordine “bloquons tout”, ha iniziato ad alimentare e “organizzare” il dissenso di fronte alla nuova proposta di budget, raccogliendo ampio consenso, che, sedimentandosi, ha coinvolto anche forze politiche di sinistra e sindacati.
Di fronte al dibattito politico che si è aperto su un piano parlamentare sul budget e al montare della mobilitazione, Bayrou ha deciso di chiamare un voto di fiducia l’8 settembre, per evitare la negoziazione finanziaria e prevenire l’eventuale esplosione della rabbia sociale il 10 settembre, ben conscio di andare di fronte a una probabile sconfitta.
Dal suo punto di vista rispetto alla mobilitazione (e soprattutto quello di Macron), questa mossa avrebbe portato a un indebolimento delle rivendicazioni di carattere finanziario in ogni scenario: se il governo fosse caduto, non ci sarebbe stata nessuna legge di bilancio da contestare, se questa fosse stata approvata, sarebbe venuto meno lo spazio per la negoziazione sociale.
In ogni caso, il fragilissimo governo di minoranza si trova di fronte a una censura assicurata: se il supporto a geometria variabile del Partito Socialista, dell’RN o di gruppi indipendenti aveva fino ad ora permesso a Bayrou di scampare alla censura (febbraio 2025), oggi di fronte a una nuova manovra lacrima e sangue, anche i socialisti e i lepenisti si oppongono, determinando una quasi certa caduta del governo.
Di fronte a questa prospettiva, il movimento del 10 settembre sembra non solo non aver arretrato per mancanza di rivendicazioni “concrete”, ma anzi di essersi rafforzato su posizioni più radicali che mettono in discussione l’intero sistema presidenziale della V Repubblica e la “macronerie”, proponendo giustizia finanziaria contro il modello dell’austerità.
L’8 settembre si prevedono grandi festeggiamenti in stile “pot de départ” di fronte a tutti i palazzi del comune francesi, come anticamera della grande giornata di blocchi prevista per il 10, che si configura invece come una giornata di mobilitazione generale dal carattere ibrido: dai blocchi mirati di strade e depositi logistici, agli scioperi, al boicottaggio di supermercati e il rallentamento volontario di servizi pubblici, all’occupazione pacifica di luoghi simbolici.
Il movimento del 10 settembre si è costruito attraverso gruppi telegram e social, articolandosi quindi localmente nei diversi territori francesi attraverso assemblee territoriali stratificate, da momenti di discussione più specifici a assemblee generali di quartiere.
Sul sito Indignons-nous! abbiamo una panoramica delle città in cui sta prendendo forma il movimento e della piattaforma di rivendicazioni, che oltre al blocco della legge di bilancio, si arricchisce di una serie di “cahiers de doléances” (come quelli della rivoluzione del 1798, riproposti come “contentino” da Macron dopo il movimento dei Gilet Jaunes) a cui chiunque può contribuire.

Il carattere della narrativa circolante sui social fa trasparire la probabile appartenenza dei promotori della piattaforma a gruppi della sinistra radicale, come conferma uno studio pubblicato lunedì 1° settembre dalla Fondation Jean-Jaurès, che ha condotto un primo sondaggio sul movimento del 10 settembre, stimando che il 69% dei promotori di “Bloquons tout” abbia votato Jean-Luc Mélenchon al primo turno delle presidenziali 2022.
La mobilitazione però è senza dubbio uscita dalle maglie della componente politicamente attiva, ottenendo il consenso del 63% dei francesi, secondo un sondaggio di Toluna Harris Interactive pour RTL (Rapport-Toluna-Les-Francais-et-le-mouvement-du-10-septembre-2025-RTL-Aout-2025.pdf).
La polizia stima 100 000 partecipanti alle azioni del 10 in tutta la Francia, e il 4 settembre ha fatto circolare una nota interna chiamando alla piena mobilitazione delle forze dell’ordine per impedire il blocco delle infrastrutture essenziali, parlando di porti, aeroporti, trasporti pubblici, centri della logistica, centrali elettriche, centri di smantellamento rifiuti, ma anche di scuole, università, e di altre istituzioni pubbliche.
Sono previsti circa 40 cortei, ma le modalità della mobilitazione sembrano ricordare quelle dei Gilet Jaunes, dando centralità a azioni capaci di bloccare attività strategiche e non, interrompendo l’attività del paese.
Pur richiamandosi all’esperienza dei Gilet Jaunes, il movimento si distingue da quello del 2018 sia per composizione sociale che politica. Infatti, se il primo era partito sulla spinta di lavoratori della classe media inferiore e dei ceti popolari francesi, e aveva visto la convivenza di pezzi di società appartenenti alla destra e alla sinistra, soprattutto nella “periferia” della Francia, in questa occasione – complice il mancato sostegno del RN al 10/09 – la paternità del movimento sembra essere pressocché esclusivamente a sinistra, e fortemente caratterizzata da una presenza giovanile e politicizzata.
«L’intensificazione di questa mobilitazione, la consapevolezza che si creerà, produrrà slogan politici opposti a ciò che difende l’estrema destra. Ecco perché il Rassemblement national ha paura e non sostiene questa mobilitazione. Non ha interesse che ci sia un movimento di massa, perché potrebbe anche ritorcerglisi politicamente contro», ha previsto il deputato Hadrien Clouet, della France Insoumise, che come altri deputati ha partecipato ai gruppi Telegram locali.
Ad oggi, è realistico pensare che sarà proprio la France Insoumise (LFI) a “capitalizzare” i possibili risultati di questa mobilitazione popolare. Attraverso un testo pubblicato su La Tribune Dimanche, LFI è stata la prima forza politica a esprimere sostegno al movimento. Jean-Luc Mélenchon ha poi chiamato alla “grève générale” durante le università estive del partito il 22 agosto.
Come analizza un articolo di Politis (Soutien, accompagnement, hésitation… La gauche et les syndicats face au 10 septembre – POLITIS ) parlando delle presidenziali del 2027: “salendo sul treno del 10 settembre e di tutte le mobilitazioni che seguiranno, Jean-Luc Mélenchon e i suoi cercano di conquistare nel paese una maggioranza popolare che permetta loro di accedere al secondo turno nel 2027. Non si presentano forse come gli unici difensori del popolo? Per il resto della sinistra, l’obiettivo è uno solo: offrire risposte politiche a questa mobilitazione.”
Questo possibile rafforzamento di LFI spaventa i socialisti, che rimangono cauti di fronte all’invito a “bloccare tutto”: «Questa rabbia è comprensibile. Ma questo oggetto di contestazione non identificato, che va osservato con interesse e benevolenza, va preso con cautela. I sindacati dovrebbero guidare la mobilitazione. Anche Force Ouvrière è piuttosto riservata. Non dò un sostegno incondizionato a un movimento non identificato», ha affermato un dirigente del PS.
Così anche gli ecologisti pur sostenendo il movimento del 10 mantengono delle riserve, e affermano dietro le parole di Olivier Bertrand che «c’è un piccolo rischio che questi movimenti alimentino in qualche modo l’estrema destra», mentre Place publique di Raphaël Glucksmann (socialdemocratici) rigetta ogni forma di adesione al 10 sostenendo che: «L’8 settembre cadrà il Primo Ministro. A cosa serve un movimento “Blocchiamo tutto”? Lo scopo non è il caos».

Dal punto di vista dei sindacati, l’attitudine rispetto al 10 settembre è stata sfaccettata. Il sindacato SUD (Union Syndicale Solidaires) e la CGT sono stati i primi a aderire massivamente alla giornata di blocchi.
Ad aprire la breccia è stato Sud Rail, il sindacato dei ferrovieri, che ha deciso di “passare all’azione” e di bloccare il 10 settembre il traffico su rotaia, come prima mobilitazione che porterà a scioperi massicci in autunno.
Hanno dato seguito diverse federazioni della CGT, la cui direzione ha aderito ufficialmente il 27 agosto: “Quello che vogliamo è che finalmente vengano ascoltate le rivendicazioni sociali. Vogliamo la giustizia fiscale, vogliamo fondi per i nostri servizi pubblici che non ne possono più. Vogliamo aumenti salariali, vogliamo l’abrogazione della riforma delle pensioni“, ha affermato Sophie Binet, segretaria générale della CGT.
Due giorni dopo, il 29 agosto, L’intersyndicale, composta da CFDT, CGT, FO, CFE-CGC, CFTC, UNSA, FSU e Solidaires, si è riunita presso la sede della CFDT (che non parteciperà al 10 settembre), e in quell’occasione ha lanciato l’appello per una giornata di mobilitazione nazionale (manifestazioni e sciopero) prevista per giovedì 18 settembre. Molti dei promotori del 10 settembre hanno screditato la mossa dell’intersindacale, leggendo nel 18 settembre un tentativo di “riprendere il controllo” sulla mobilitazione secondo modalità più coerenti a quelle sindacali.
Nonostante alcuni elementi di tensione interna, l’adesione alla mobilitazione che inizierà il 10 sembra crescere in dimensioni e sul piano comunicativo è stata senza dubbio dirompente, rendendo impossibile alle forze politiche e sindacali di posizionarsi nettamente rispetto alla data.
Alcuni scioperi sono già iniziati, ponendosi in rapporto alla giornata del 10, come per il settore energia della CGT, che il 2 settembre ha chiamato allo sciopero, seguito dal sindacato CGT dell’industria PAM Saint-Gobain (54), e dalla mobilitazione intersindacale dell’industria Novasco il 4 settembre, a cui seguirà quella dell’industria Verre Oi Vayres il 9 settembre, contro i licenziamenti previsti di 126 lavoratori.
Questa mobilizzazione di alcune categorie di lavoratori corrisponde a un periodo di crisi per le PMI francesi, iniziata nel 2022 a causa dei costi energetici dovuti alla guerra in Ucraina, e che dal 2024 ha avuto una forte accelerazione portando nel 2025 a ondate di licenziamenti e chiusure (Michelin, Auchan, Valeo, ArcelorMittal), con decine di migliaia di posti a rischio (Le PMI francesi travolte dalla crisi – Contropiano).
Di fronte a una situazione economica instabile e a una legge di bilancio come quella proposta da Bayrou, l’indignazione sociale è un dato concreto in Francia, e i prossimi giorni ci mostreranno in quale misura il “popolo francese” sarà in grado ancora una volta di riprendersi le piazze mettendo sotto scacco non solo il governo, ma i principi cardini di questo sistema economico e della V Repubblica.

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Leonardo
CGT: “Quello che vogliamo è che finalmente vengano ascoltate le rivendicazioni sociali. Vogliamo la giustizia fiscale, vogliamo fondi per i nostri servizi pubblici che non ne possono più. Vogliamo aumenti salariali, vogliamo l’abrogazione della riforma delle pensioni“.
Solo mettere al centro il rifiuto totale della Guerra dei ‘volonterosi’, la vera cifra del modello economico-sociale dei prossimi anni, può permettere a questo movimento di cogliere il contesto e quindi di incidere, facendo un salto di qualità rispetto alle grandi mobilitazioni precedenti. I rischi ci sono ma la reazione non potrà essere ancora peggiore di quelle già viste (G. Jaunes). Si potrebbe allargare il consenso a settori non immediatamente sindacalizzati/studenteschi (a nessuno piace trovare il suo posto in ospedale già occupato dal ferito di una guerra dichiarata senza neanche chiedere il consenso. Si smaschererebbero i ‘falsi amici del popolo’ (R.N.).
Se non erro, le uniche manifestazioni esplicitamente contro la guerra e la Nato sono state effettuate dalla destra non lepenista (Philippot, Frexit), che delle rivendicazioni sociali’ se ne infischiano, of course.
Forse l’ottusità criminale delle elités (e la repressione violenta prevedibile per la prossime settimane) sposteranno su posizioni più ‘avanzate’ il movimento. Le possibili teste, CGT-LFI (le altre sono cavalli di Troia), sembrano molto restie al riguardo (miopia ? paura di non diventare il successore di Macron nelle prox presidenziali ? …?).