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Alle radici del male: Israele, Palestina e il cortocircuito dell’umanità

Premessa

Consapevoli che non è possibile ripercorrere tutte le tappe, con illusorie pretese di esaustività, di una complessa questione come quella Palestinese (si rimanda alle note per approfondimenti e fonti), elencheremo qui dei punti a sostegno di una tesi che è volta a considerare tale questione come cartina tornasole del fitto intreccio tra dinamiche economiche e geopolitiche, nazionali e internazionali e la storia sociale dei singoli e la loro psicologia.

Continuare ad ostinarsi nella normalizzazione o nel mantenere una sarcastica distanza è possibile solo per chi ha un tornaconto politico ed economico (il che ne definisce immediatamente la qualità come essere umano) o nei casi in cui è compromesso l’esame di realtà. Abbiamo moltissimi esempi negli ultimi mesi, in cui a seconda del grado di compromissione, si possono notare un’adesione completa alle credenze, spesso instillate mediaticamente, disorganizzazione del pensiero, paranoie, fino ai deliri.

Idea di una nazione

Dalla nascita del movimento sionista1 (1897), passando per l’appoggio britannico alla loro causa (pure se ambiguo e ambivalente, come sarà l’intero mandato sulla regione palestinese), sancito dalla Dichiarazione Balfour del 19172, si evidenzia subito un punto importante: la cosiddetta Terra d’Israele viene considerata patrimonio ebraico in un momento in cui più del 90% dei suoi residenti non sono ebrei e lo stesso sionismo nasce fuori dai suoi confini.

Dividersi la torta e ammazzare il pasticciere

La prima risoluzione ONU n° 181, votata da 56 nazioni, ma influenzata per lo più da USA e URSS, stabilisce la nascita di due stati, uno ebraico e uno palestinese, dividendo quasi a metà la regione, senza tener conto né dei territori precedentemente posseduti dalle due popolazioni, compresa la densità della loro presenza nelle aree, né delle caratteristiche geografiche e geopolitiche3.

Questa modalità di spartirsi i territori senza interpellare gli indigeni (stessa sorte toccata ai palestinesi), per sfruttarli e segnare le loro zone d’influenza, è stata consolidata nei secoli dalle “potenze” coloniali. Questo metodo ha generato le peggiori guerre civili e carestie. L’intera storia del continente africano è un simbolo dell’abominio occidentale, che ad oggi, pur cambiando veste, permane nella sostanza.

Settler colonialism

Patrick Wolfe definisce quello israeliano un colonialismo d’insediamento4 per due ragioni. La prima è che i coloni d’insediamento sono separati da un centro imperiale5 e finiscono per rivendicare sovranità uniche. La seconda è che il loro scopo è l’“eliminazione” o l’“assimilazione” della popolazione indigena, al contrario del colonialismo classico, in cui si mira a sfruttarne la terra, le risorse e la forza lavoro.

Sostituirsi agli indigeni

È molto interessante confrontare i numeri degli abitanti della regione, appartenenti alle due popolazioni, nel corso dei decenni, e notare quanto sia calzante la nuova categoria introdotta da Wolfe e le sue caratteristiche.

Nel primo censimento britannico6 (1922) si contano: 83.794 ebrei e 681.388 arabi (di cui 590.890 musulmani).

Nell’ultimo censimento del 20247, in Israele vivono 7,427 milioni di ebrei, 2,089 milioni di arabi e 564.000 di altre religioni. In Cisgiordania vivono 2,9 milioni di arabi palestinesi e circa 400.000 coloni israeliani.

A Gaza la situazione è allucinante: da circa 2,17 milioni di abitanti (tutti arabi palestinesi) nel 20228, le ultime cifre del 2025 riportano circa 823.000 abitanti9.

Nelle note si riportano i censimenti rispettivamente del 194610 e del 1967-7011, successivo alla guerra dei sei giorni. Nel primo caso per evidenziare l’impatto delle migrazioni incentivate durante il mandato britannico, di quelle clandestine, successive al Libro bianco12 e durante e subito dopo la seconda guerra mondiale. Nel secondo caso per evidenziare la connessione tra aumento dei territori occupati e degli insediamenti e del numero dei cittadini israeliani 13.

Chi aiuta chi e come?

Consapevoli che i lettori siano già a conoscenza di quanti paesi europei (compreso il nostro) e non, sostengano in percentuali variabili militarmente ed economicamente Israele, citiamo su tutti gli USA, che dal 1946 al 2022 hanno donato circa 225 miliardi di dollari come aiuti militari e 93 miliardi come aiuti economici14.

A fronte dei circa 11 miliardi di dollari, inclusi 6 miliardi destinati all’UNRWA15, donati ai palestinesi dal 1950.

Gli USA hanno inoltre esercitato il loro diritto di veto per bloccare 53 delle centinaia e inascoltate risoluzioni ONU contro Israele1617. E con l’istituzione di enti come l’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee), che è diventato molto più di destra, hanno influenzato in tal senso la vita politica israeliana negli ultimi decenni.

Come ultimo simbolo di questa affinità elettiva, semmai ce ne fosse bisogno, c’è una foto, in cui un soldato israeliano regge un proiettile d’artiglieria, diretto a Gaza, con su la scritta “In memory of Charlie Kirk”.

Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”

Nel suo ultimo rapporto ONU (giugno 2025)18, l’eroica Francesca Albanese, che sta pagando in prima persona per le sue posizioni, fa un’analisi approfondita in cui elenca le numerose multinazionali, le università, gli istituti di ricerca, gli enti e le aziende di diverse nazioni, dall’ambito agroalimentare fino a quello delle tecnologie, che hanno investito nell’occupazione e nel genocidio in corso, guadagnando miliardi su miliardi sulla pelle dei civili ammazzati.

Il caso specifico che si va analizzando ci apre ad una ulteriore generalizzazione: il vincolo dell’interconnessione globalizzata fa sì che sia un’impresa quasi impossibile scalfire in qualche modo le maggiori multinazionali coinvolte (tra tutte Amazon, Google, Spotify, Microsoft), a fronte delle sporadiche forme di boicottaggio dal basso.

A un qualche livello siamo tutti coinvolti in queste atrocità. La differenza la fanno il grado di coinvolgimento, i vantaggi e le reazioni.

Traumi contro traumi

Nella storia d’Israele si possono quindi rintracciare traumi fondativi, che sono la diaspora, le persecuzioni e la Shoah, che si sommano alla gestione ambivalente, cieca ed egoistica delle potenze del tempo, che per scopi imperialistici e capitalistici, così come in altre situazioni simili, alterano gli assetti geopolitici di intere regioni, senza pensare minimamente alle conseguenze, né tanto meno appellarsi agli indigeni.

La storia arabo-palestinese è segnata dall’occupazione e dalla Nakbah19.

Intorno a questi due nuclei si vanno a costruire le memorie collettive dei due popoli, in cui è possibile da subito intravedere dei tratti comuni: una paura cronica per l’insicurezza esistenziale e la percezione costanza di minaccia, una giustificazione morale della propria causa e una delegittimizzazione o disumanizzazione dell’altro (Daniel Bar-Tal, professore di psicologia sociale e politica all’Università di Tel Aviv20).

Identità che si plasmano nella contrapposizione, che in certi casi arriva fino alla negazione. Negazione della sofferenza dell’altro, che ne impedisce il riconoscimento e una possibile riconciliazione.

Difese e reazioni israeliane

Abbiamo visto che fin da subito, lo Stato d’Israele ha trovato un riconoscimento e un sostegno da diversi stati europei e non, ed è riuscito a creare un forte esercito, militarizzando man mano l’intera comunità, grazie a una politica dell’assedio. Da un lato c’è una costruzione di una democrazia, con organi e sistemi all’avanguardia, e maggiori diritti (in larga parte per gli ebrei), che in una prospettiva monologica occidentale viene considerata l’unica del Medio Oriente.

Dall’altro questa cosiddetta democrazia tratta gli arabi sul suo territorio come cittadini di secondo livello. Questi scontano infatti: disparità delle applicazioni delle leggi sul lavoro, differenze salariali e accesso limitato a certi tipi di lavoro, ostacoli istituzionali, restrizioni nelle concessioni di permessi e finanziamenti, minore rappresentanza a tutti i livelli e limitate opportunità di partecipazione21.

Sammy Smooha (professore di sociologia all’Univerità di Haifa) parla a tal proposito di democrazia etnica, che al di là del rischio normalizzante del concetto, descrive molto bene le caratteristiche dello Stato d’Israele:

controllato da un gruppo etnico (gli ebrei) che definisce i simboli, le istituzioni, le politiche pubbliche;

lo stato si autodefinisce come espressione di un gruppo specifico, quello ebraico;

i membri delle minoranze (gli arabi palestinesi cittadini d’Israele) sono riconosciuti come cittadini, ma esclusi da piena appartenenza nazionale, pur godendo di alcuni diritti civili, politici e sociali (voto, libertà di parola, partiti);

le minoranze non hanno gli stessi diritti nazionali o culturali del gruppo dominante (es. non hanno status paritario per la lingua, la memoria nazionale, il diritto al ritorno);

la minoranza, pur contestando, resta dentro il sistema, perché ha vantaggi dall’essere cittadina;

lo stato riceve legittimazione dall’esterno, che rafforza la struttura etnica (es. diaspora ebraica e sostegno occidentale a Israele);

il conflitto tra gruppo dominante e minoranze è strutturale e permanente.

Gli arabi palestinesi, fuori dallo stato israeliano, sono considerati tutti terroristi e non sono neanche degni di quel minimo di dignità, che si riserva persino alle peggiori bestie. Ne conseguono odio, discriminazioni e violenze, che intensificando i conflitti quotidiani, armati e non, hanno un ovvio effetto boomerang, con aumento di ansia, depressione, stress22 ed esperienze psicotiche23 nella stessa popolazione israeliana.

Difese e reazioni palestinesi

Nel corso del tempo, il sostegno o meno che i diversi stati hanno dato alla causa palestinese per l’autodeterminazione, è dipeso dagli equilibri regionali e dalle tensioni degli stessi con Israele e con gli USA. Due esempi su tutti sono l’Egitto e la Giordania.24

Nonostante la mobilitazione di alcune nazioni, mosse dalle atrocità in corso a Gaza, fino ad oggi la Palestina non è stata riconosciuta come stato. I palestinesi non hanno mai avuto un esercito formale che li potesse difendere, ma solo nel 1964 con la fondazione dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) viene creato una sorta di esercito non convenzionale, che è un insieme di formazioni militari e brigate, che fanno capo ai diversi partiti politici palestinesi. La struttura cambierà negli anni, attraverso la prima e seconda Intifada, gli accordi di Oslo fino ad Hamas, così come cambieranno le caratteristiche della lotta25.

Confinati in uno spazio sempre più ristretto, per via dei crescenti insediamenti dei coloni, vessati dagli abusi di vario livello, quotidianamente perpetrati dallo Stato d’Israele, gli arabi palestinesi che vivono nella striscia di Gaza e in Cisgiordania, insieme all’assenza di beni e servizi per vivere dignitosamente, si sentono privati di mezzi efficaci per la lotta.

A tal proposito Ariel Merari (professore di psicologia all’Università di Tel Aviv fino al 2006) considera il terrorismo palestinese una diretta conseguenza dell’occupazione, dell’esilio e dell’assenza di Stato.

Ha compiuto uno dei più vasti studi empirici26 per studiare gli attentatori suicidi palestinesi, che evidenziano quanto la maggioranza non presentava gravi patologie psichiatriche, ma le motivazioni andavano ricercate in un mix tra pressioni sociali, dinamiche di gruppo e indottrinamento ideologico.

Le sempre peggiori condizioni sociali ed economiche, la disperazione estrema, la media – bassa scolarizzazione, la totale assenza di una controparte al capitalismo (visto che dal 1960 al 1980 la lotta palestinese si richiamava a ideali marxisti e pan-arabisti), hanno portato al diffondersi di estremismi religiosi, che attraverso l’isolamento e l’addestramento, forniscono una narrativa eroica e religiosa, che bene si intreccia alla vendetta personale del giovane (per un familiare ucciso o incarcerato) e all’unico riscatto sociale ormai rimasto in quelle degradate condizioni (la famiglia dell’attentatore viene celebrata).

Nonostante le grandi difficoltà per le indagini e per le misurazioni psicometriche, per via degli esili, della precarietà e di guerre continue, diversi studi hanno dimostrato come tra gli arabi palestinesi la scarsa qualità della vita, i fattori sociodemografici, le esperienze di guerra, la perdita di contatti familiari, le demolizioni continue delle case e le espulsioni siano le cause dirette dell’aumento esponenziale di ansia, depressione, insonnia, stress, PTSD27282930.

La psichiatra palestinese Samah Jabr ha proposto il concetto di “disturbo da stress traumatico cronico” per descrivere il trauma collettivo e continuo subito dalla popolazione palestinese, criticando le definizioni occidentali di PTSD come insufficienti per comprendere la realtà palestinese31.

È questo ampio spettro di sofferenze la cornice in cui inquadrare gli eventi presenti e passati

Paura, schizofrenia e psicosi

Ci stiamo ora per inoltrare in un territorio molto impervio e per questo, come nostro Virgilio, ci faremo accompagnare da Eva Illouz, una delle più importanti sociologhe contemporanee, docente all’Università ebraica di Gerusalemme.

Secondo la sua analisi, la paura è centrale nella psiche israeliana:

paura della Shoah, paura dell’antisemitismo, paura dell’Islam, paura degli europei, paura del terrore, paura dello sterminio. Da queste si genera una visione catastrofista distorta, che rende lecita l’infrazione di molte norme morali.

Israele ha una coscienza di sé divisa, schizofrenica: coltiva la propria forza e non può smettere di vedersi debole e minacciato32. Avendo poi sempre più considerato i palestinesi, come una minaccia al cuore dello stato, via via che questi schemi mentali sono diventati sempre più pervasivi, gli israeliani hanno perso quella che si chiama sensibilità umanitaria, cioè la capacità di identificarsi con le sofferenze di un Altro distante”33.

Questi sentimenti si sono intensificati sempre di più con la presa del potere di una destra messianica estrema, promossa da un lato dal fatto che intere generazioni sono cresciute negli insediamenti e non conoscono nient’altro, nutrite e forgiate da forti sentimenti nazionalisti e religiosi, iscritti nel vocabolario e nei racconti della Bibbia.

Dall’altro l’assenza di una destra alternativa e di una sinistra determinante (i vecchi socialisti dei kibbuz), impedisce che ci sia un argine a questa saturazione delirante. Nella politica mondiale degli ultimi trent’anni, con le dovute differenze a seconda dei paesi, è possibile facilmente osservare la stessa deriva populista, tradizionalista e di estrema destra, accompagnata da un’implosione delle organizzazioni a orientamento socialista, che non riescono più a intercettare e dar voce e sostegno alle sollevazioni, che ciclicamente partono dal basso, per rivendicare migliori condizioni di vita e una reale distribuzione dei beni, e finiscono per essere criminalizzate.

Infine, “oltre a disumanizzare l’altro, Israele ha un forte senso della propria superiorità morale, giudicando dalle intenzioni, mentre il mondo giudica dalle conseguenze”34.

Quale narrazione?

Nello stesso quadro va inserito l’uso unilaterale dell’informazione, che ha come scopo principale quello di tenere in piedi questa storia della nazione, che si percepisce come l’unica democrazia del medio oriente, costantemente assediata.

Per farlo, a Gaza sono stati ammazzati 240 giornalisti dal 7 ottobre del 2023 al 29 agosto del 225. In Vietnam ne sono morti 63 in 20 anni di guerra. Per poi chiamare degli influencer statunitensi più adatti e in linea con le loro intenzioni.

Per identiche ragioni la stessa parola “genocidio” è stata rifiutata per mesi, nonostante a Gaza l’83% dei morti fosse civile e ci sia tutt’ora un assedio, che blocca gli aiuti umanitari. E tutte le organizzazioni, congelate da superiori interessi, stanno a guardare un gruppo di giovani eroi, che ha preso la via del mare, per sfidare il moderno Moloch, che non ha mai una sola testa.

Crimini, devianze e psicopatologie

La paura, il panico e l’angoscia, connessi ai traumi di cui abbiamo discusso, vengono alimentati sempre di più dai media e dai leader politici, fino a spingere, legittimandoli in qualche modo, molti israeliani (militari e non) a commettere azioni sempre più aggressive e deliranti, incapaci di distinguere tra pericoli reali e immaginari, e di riconoscere la paura e il dolore anche nell’altro, perché completamente in balia della propria.

Di seguito proponiamo un breve e non esaustivo elenco di azioni di questo tipo, che vanno al di là dei già atroci crimini di guerra, dalla tortura ai crimini sessuali, a cui si è “abituati”, e si sovrappongono alle agghiaccianti immagini di bambini e donne palestinesi uccisi, mutilati e morti per fame.

1 Il sex-washing delle soldatesse in lingerie.

2 Il turismo di guerra, pubblicizzato anche da Tripadvisor, in cui si paga per salire sulle colline vicine alla Striscia di Gaza ed assistere all’orrore35.

3 Bambini israeliani che, con le loro voci bianche, cantano “entro un anno li elimineremo tutti e ritorneremo ad arare i nostri campi […] gli aerei bombardano, distruzione, distruzione, guarda l’IDF sta oltrepassando il confine”36 in un video trasmesso su Kan news, un canale della tv di stato.

4 Trend sui social media in cui utenti israeliani fanno a gara a travestirsi e dipingersi i denti di nero, per prendere in giro bambini e donne palestinesi morti di fame o sotto i bombardamenti o per i proiettili dell’IDF.3738

5 Trend in cui soldati, civili e politici, tra cui Yinon Magal, scimmiottano reinterpretando un video in cui detenuti palestinesi, legati e incappucciati, sono costretti ad ascoltare musica per bambini39. Certo la musica è stata spesso usata come strumento di tortura, se ad alto volume per ridurre in uno stato vegetativo.

Ma quello che colpisce è che tutto questo non avvenga all’oscuro, ma anzi venga costantemente esposto e reso virale nella modalità social, attraverso parodie che diventano macabre e grottesche.

Questa spettacolarizzazione della violenza e dell’abuso, che ci arriva fin dentro casa attraverso i nostri dispositivi, possiamo dire che sia l’orribile novità a cui molti si stanno abituando.

6 Trend in cui adolescenti israeliani fanno degli scherzi telefonici in cui, fingendo di contattarli da parte di organizzazioni umanitarie, chiedono delle donazioni per i bambini palestinesi a Gaza40. Il tutto solo per catturare e diffondere le loro reazioni di irritazione e odio.

7 Soldati israeliani che che danzano intorno ai detenuti; che, in una classe di una scuola bombardata, fanno finta di fare lezione tra le macerie; che riprendono detenuti messi in mutande e fatti marciare o mentre urinano, sempre con qualche musichetta come sottofondo; che suonano con dei piatti da dj e cercano di andare a tempo col ritmo delle bombe che sganciano; che sorridenti fumano il narghilè, mentre sullo sfondo si bombarda; che indossano la biancheria intima femminile rubata nelle case o la espongono come trofeo sulle loro jeep…

Sono loro stessi a riprendersi, in modo sempre provocatorio e sfidante, e a caricare questi video sui loro account social.

A qualcuno forse, leggendo, sono tornate alla mente le immagini dei detenuti torturati dai soldati americani a Guantanamo e ad Abu Ghraib. George W. Bush, D. Cheney e compagni cercarono sulle prime di depistare e insabbiare, ma l’indignazione nazionale e internazionale fu enorme.

Nel caso israeliano c’è la sfrontatezza di chi è completamente fuori controllo, in preda all’odio e alla violenza, e le torture commesse te le spiattella in faccia nelle abominevoli modalità sopra esposte, per evidenziare ulteriormente la propria impunità. E infatti a nulla servono le denunce di Amnesty International e le altre organizzazioni umanitarie, e le centinaia di risoluzioni ONU.

Inoltre un aspetto importante da considerare è che in Israele, dopo le scuole superiori gli uomini (per 32 mesi) e le donne (per 24 mesi) sono obbligati al servizio militare, e al bisogno possono essere richiamati alle armi. Da un lato diventa un vero e proprio rito di passaggio, e si è visto dagli esempi riportati in che direzione va a strutturare la personalità, dall’altro fa sì che il legame con l’IDF sia indissolubile, non essendo questo un corpo separato della società, come avviene in quasi tutti gli altri stati.

È quasi impossibile non trovare in una casa un membro di una famiglia che in quel momento non stia prestando servizio nell’esercito e sia immerso in tutto l’orrore solo in parte descritto.

A questo punto diventa molto difficile distinguere tra crimini, devianze e psicopatologia, visto che l’umiliazione dell’altro viene esercitata da diversi attori e in diverse forme, e ognuna, dalle torture ai video che ne riprendono in chiave grottesca le dinamiche, è emblematica degli effetti disumanizzanti delle politiche nazionali e internazionali degli ultimi decenni.

Alla fine spogliando l’altro della sua umanità, si finisce per perdere la propria.

Conclusioni

Se consideriamo i casi in cui nel singolo individuo siamo in presenza di disturbi fortemente invalidanti, che lo rendono pericoloso per sé e per la collettività, che ne compromettono la percezione della realtà interiore ed esteriore, possiamo tutti facilmente convenire che la cosa più giusta sia richiedere un intervento fermo ed autorevole dall’esterno, da parte di professionisti che possano gestirlo e sostenerlo nella cura, per il bene suo e della comunità in cui è inserito.

Ampliando la prospettiva ad una collettività e agli organi di questa, dovrebbe accadere la stessa cosa. Quindi organizzazioni sovranazionali che dovrebbero operare per la tutela dei popoli, dovrebbero poter intervenire in tal senso.

Ciò che avviene invece è che, sempre in nome del profitto, si cavalchi il malessere del singolo e della collettività, aumentandone le sofferenze e i traumi.

Illudendoli di essere speciali e unici, che avranno tutti la loro parte, distratti da falsi bisogni, che gli impediscano di vedere che quel profitto, in qualsiasi latitudine, sarà sempre per i pochi, a spese dei molti e della loro umanità.

Note.

1 Anno in cui Theodor Herzl organizza un Congresso sionista mondiale e lo associa ad una banca, il Fondo nazionale ebraico, al fine di acquistare terre per i futuri insediamenti

2 “Il governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un “focolare nazionale” per il popolo ebraico, e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche della Palestina, né i diritti e lo status politico degli ebrei nelle altre nazioni”. Lettera datata 2 novembre 1917 scritta da Arthur James Balfour, ministro degli Esteri britannico, indirizzata a Lord Walter Rothschild, esponente della comunità ebraica britannica.

3 Si stabilisce che la città di Gerusalemme venga riconosciuta zona internazionale sotto il controllo dell’ONU, che la regione venga divisa in due e siano riconosciuti due stati. Lo Stato ebraico sarebbe nato sul 56,47% del territorio e costituito da 500.000 ebrei a fronte di 400.000 palestinesi (così in caso di referendum la maggioranza ebraica avrebbe di sicuro optato per l’autodeterminazione e la separazione). Lo Stato arabo-palestinese sarebbe nato sul 42,88% della regione e costituito da una minoranza di 10.000 ebrei e da 800.000 palestinesi.

Mentre gli ebrei sono pronti ad accettare, gli arabi e i palestinesi sono critici fin dall’inizio. Questi ultimi lamentano che nei primi anni del secolo scorso, il rapporto demografico nell’area compresa tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo è di un ebreo per nove/dieci palestinesi (musulmani e cristiani) e che al tempo della risoluzione, la componente ebraica presente nella stessa area rappresenta circa il 30% del totale e possiede approssimativamente il 6,7% della terra (v. L. Kamel, Whose Land?, “British Journal of Middle Eastern Studies”, 42, 1, 2014).

4 https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/14623520601056240

5 Cosa che accade per esempio nel colonialismo classico, in cui per lo più attraverso missionari, soldati, amministratori e uomini d’affari, talvolta coloni si estende la sovranità imperiale in altri paesi.

6 https://www.un.org/unispal/document/auto-insert-194707

7 https://www.cbs.gov.il

8 https://www.pcbs.gov.ps/portals/_pcbs/PressRelease/Press_En_InterPopDay2022E.pdf

9 https://worldpopulationreview.com/cities/palestine/gaza

10 https://www.un.org/unispal/document/auto-insert-210930

11 https://www.levyinstitute.org/palestinian-census/

12 Per cercare di placare le rivolte arabe (1936-39), nel 1939 il governo del Regno Unito pubblica il Libro Bianco di Mac Donald, che limita fortemente l’immigrazione ebraica in Palestina a 75.000 ingressi nei cinque anni successivi, con altri ingressi subordinati al consenso arabo. Ciò avviene nel momento in cui gli ebrei scontano la peggiore delle persecuzioni, quella nazista.

Da qui nasce l’Aliyah Bet (immigrazione clandestina) organizzata dall’Yishuv (la comunità ebraica in Palestina).

13 Nel censimento del 31 dicembre del 1946 si contano 608.230 ebrei (come conseguenza e 1.237.330 arabi (di cui 1.076.780 musulmani). Nel 1967-68, subito dopo la guerra dei sei giorni, gli abitanti del riconosciuto Stato d’Israele sono 2.776.000, di cui i non ebrei, per lo più arabi, sono 392.400. Non essendoci uno Stato Palestinese, come tuttora, a Gaza (sempre nel 1967-68) si stimano 394.000 abitanti quasi tutti arabi musulmani e nella Cisgiordania (esclusa Gerusalemme Est) la stima molto approssimativa degli abitanti arabo-musulmani si aggira intorno ai 700000. Volendo poi includere i coloni israeliani presenti negli insediamenti, immediatamente successivi alle occupazioni avvenute durante la guerra dei sei giorni, in Golan, Gerusalemme Est, Cisgiordania, nel Sinai, nella striscia di Gaza, dobbiamo considerare 140.000 ebrei israeliani. https://www.levyinstitute.org/palestinian-census/

14 https://usafacts.org/articles/how-much-military-aid-does-the-us-give-to-israel

15 https://globalaffairs.org/commentary-and-analysis/blogs/how-much-financial-assistance-has-us-given-palestinian-territories?

16 https://www.aljazeera.com/news/2021/5/19/a-history-of-the-us-blocking-un-resolutions-against-israel

17 Per avere una minima idea: dal 2015 al 2023 le risoluzioni ONU contro Israele sono state 154. https://unwatch.org/2024-unga-resolutions-on-israel-vs-rest-of-the-world/

18 https://www.ohchr.org/sites/default/files/documents/hrbodies/hrcouncil/sessions-regular/session59/advance-version/a-hrc-59-23-aev.pdf

19 “Catastrofe” indica l’insieme di eventi che, tra il 1947 e il 1949, portarono alla fuga e all’espulsione di circa 700.000 palestinesi dalle loro terre durante la guerra arabo-israeliana, che seguì la fine del Mandato britannico e la nascita dello Stato di Israele (14 maggio 1948). Tra le cause principali: il rifiuto da parte degli arabi e palestinesi della Risoluzione Onu 181; gli scontri tra milizie ebraiche (Haganah, Irgun, Lehi) e gruppi armati palestinesi; la guerra arabo-israeliana (dal maggio 1948), scatenata dall’intervento militare di Egitto, Siria, Giordania, Iraq e Libano dopo l’unilaterale dichiarazione d’indipendenza da parte di Ben Gurion, vinta da Israele, che conquistò più territori di quelli previsti dal piano ONU.

20 Daniel Bar -Tal (2013) Intractable Conflicts: Socio-Psychological Foundations and Dynamics; (2007) Living with Conflict: Socio-Psychological Analysis of Israeli-Jewish Society

21 https://kavlaoved.org.il/en/arab-citizens-of-israel-and-work-trends-of-workplace-discrimination-and-violation-of-labor-rights

22 https://www.researchgate.net/publication/232584764_Ongoing_Traumatic_Stress_Response_OTSR_in_Sderot_Israel

23 https://cris.iucc.ac.il/en/publications/does-armed-conflict-exposure-predict-psychotic-experiences-in-the?

24 https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/le-preoccupazioni-di-egitto-e-giordania-per-i-piani-israeliani-in-palestina-209516

25 La Prima Intifada (1987-1993) nasce dal malcontento diffuso in Cisgiordania e Gaza contro occupazione israeliana. È un movimento popolare di protesta, scioperi, boicottaggio e lancio di pietre e molotov contro soldati israeliani. La resistenza armata è più limitata, ma comincia a emergere la militarizzazione urbana attraverso piccole armi da fuoco. nel Periodo Oslo (1993-2000), che porterà alla creazione dell’Autorità Palestinese (AP), ci sarà una frammentazione e una riduzione degli interventi militari, persistono solo attacchi da Gaza e Cisgiordania tramite gruppi come Hamas (fondata 1987) e Jihad Islamica; attacchi mirati e lancio di razzi rudimentali (Qassam) verso Israele. Nella seconda intifada (2000-2005), si riscontrano attentati suicidi contro obiettivi civili e militari israeliani, guerriglia urbana nelle città della Cisgiordania, uso di granate, mortai e piccoli razzi improvvisati. Nel 2005 c’è un ritiro israeliano da Gaza e la presa del controllo da parte di Hamas nel 2007. Le strategie militare sono più moderne con lancio di razzi Qassam e Grad verso Israele (attacchi a lungo raggio, tecnicamente rudimentali ma simbolicamente significativi). tunnel sotterranei per infiltrazioni e incursioni, attacchi occasionali contro militari israeliani lungo il confine. Fino all’attentato del 7 ottobre 2023 che porta all’escalation repressiva e genocidaria israeliana.

26 Ariel Merari. (2010) Driven to death: Psychological and social aspects of suicide terrorism

27 https://www.theguardian.com/global-development/2025/jan/24/palestinian-refugees-jordan-jerash-camp-gaza-grief-depression-mental-illness

28 https://conflictandhealth.biomedcentral.com/articles/10.1186/s13031-025-00681-1

29 https://www.nature.com/articles/s41598-023-43293-6

30 https://www.frontiersin.org/journals/psychiatry/articles/10.3389/fpsyt.2024.1443374/full

31 https://www.theguardian.com/world/2024/apr/14/mental-health-palestine-children

32 https://www.leparoleelecose.it/israele-oggi/

33 Ibidem

34 Ibidem

35 https://www.rainews.it/articoli/2025/05/gaza-envelope-e-il-fenomeno-del-turismo-di-guerra-0c543ce0-776a-4b03-bf50-354e8d9cb554.html

36 https://www.aljazeera.com/opinions/2023/12/13/its-not-shocking-to-see-israeli-children-celebrate-the-gaza-genocide

37 https://www.youtube.com/watch?v=_mwcFEpAYkU

38 https://www.youtube.com/watch?v=5XFbAXQyzJU

39 https://www.youtube.com/watch?v=5TbB8retcCE

40 https://www.instagram.com/reel/DG0lAwzKX1x/

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1 Commento


  • antonio D.

    …ecco spiegate e illustrate meglio le origini del “male”.
    Is.ra.el.e rappresenta in questa “nuova” fase storica: il vaso di Pandora; aperto il quale ne fuoriusciranno tutte le malvagità e gli orrori possibili. Quest’è!
    Esso rappresenterà eternamente il peggiore subumano esempio di pratica sociale permessa da un: “di-vino”!
    …il popolo eletto, ma dai!

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