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Una lettera inedita di Edward Said agli ebrei statunitensi sugli abusi di Israele

A maggio scorso, la rivista Micro Mega ha diffuso un inedito di Edward W. Said, tradotto e presentato per la prima volta in italiano da Ingrid Colanicchia.

Si tratta di una lettera aperta scritta nel 1989 ai suoi colleghi ebrei USA, invitandoli a prendere posizione contro gli abusi d’Israele nei confronti dei palestinesi, ma mai pubblicata fino al 2022, quando è stata poi divulgata sulla rivista statunitense Jewish Currents.

In questi giorni di febbrile attesa delle possibili risposte da parte di Hamas e Hezbollah nei confronti del governo israeliano dopo le uccisioni mirate di Fuad Shukr (capo militare di Hezbollah) e di Ismail Haniyeh (capo politico di Hamas), si avverte la mancanza di una voce sincera che possa difendere i palestinesi. La voce di Edward W.Said, scrittore statunitense di origine palestinese, teorico letterario, critico e intellettuale poliedrico, scomparso nel 2003.

A distanza di 36 anni questa lettera appare attuale e continua ad offrire elementi di riflessione per capire le ragioni storiche di quello che oggi sta accadendo in Palestina.

Said ha scritto questa lettera in piena prima Intifada e subito dopo la “Dichiarazione di indipendenza dello Stato di Palestina” adottata dal Consiglio Nazionale palestinese nel novembre 1988 ad Algeri. Dichiarazione, alla cui stesura aveva anche partecipato lo stesso Said, scritta dal grande poeta Mahmoud Darwish, fu letta poi da Yasser Arafat durante la sessione conclusiva del 19° Consiglio Nazionale Palestinese.

E’ il primo documento ufficiale dell’Olp, denso di significato, che proclama la Palestina come Stato indipendente. Evocava l’eroismo ed i sacrifici del popolo palestinese, la sua aspirazione alla libertà oltre a portare un messaggio di pace rivolto al mondo intero. Al termine della Dichiarazione, Arafat dichiarò di assumere il titolo di “Presidente della Palestina”.

Said, membro del Consiglio nazionale palestinese, in questa fase sostiene con Arafat, la spartizione Israele-Palestina lungo le linee dell’armistizio del 1949, ossia sul 22% della Palestina storica.

Un sacrificio di notevole entità.

Lettera aperta agli intellettuali ebrei americani

Quando gli ebrei parlano di Israele come un luogo in cui tornare a casa, ammetterete che la parola “casa” alle orecchie palestinesi abbia un effetto letale. Non minimizzo quello che per gli ebrei è un antichissimo problema di persecuzione, alienazione ed esilio, ma dovete anche comprendere il nostro dolore al vedere letteralmente la “nostra” casa trasformata nella casa, nel Paese di qualcun altro, proprio come vedere che i morti palestinesi – colpiti da proiettili, picchiati, asfissiati da parte di Israele – negli ultimi cinquant’anni continuano ad aumentare e ora si contano a migliaia. Soltanto durante l’Intifada il bilancio ha superato le 600 persone. Quindi, ciò che è stato deciso alle riunioni del Consiglio nazionale palestinese (Pnc) di Algeri ha un significato di poco inferiore all’auto-amputazione nazionale, fatta consapevolmente e, vorrei insistere, coraggiosamente nell’interesse della pace e di una certa misura di giustizia per una nazione deprivata, molto addolorata e sofferente.

L’improvvisa catastrofica rottura per cui una terra e una casa una volta nostre sono state dichiarate lo Stato ebraico di Israele non può essere liquidata con disprezzo poiché la sua definitività ha colpito ogni singolo palestinese.

Questi sono fatti e richiedono una comprensione non inferiore a quella del vostro passato che voi come ebrei avete richiesto al mondo. Non dico che i fatti non vadano interpretati, dico soltanto che non vanno manipolati. Tuttavia, non penso che sia un’esagerazione affermare che, con poche eccezioni, il sostegno degli ebrei americani a Israele dal 1948 in poi (e soprattutto dopo il 1967) è stato prescrittivamente legato ad una disumanizzazione, al rifiuto e, dopo la metà degli anni settanta, ad una demonizzazione del popolo palestinese.

Ciò che conta qui è la verità, non un regolamento di conti“

Said cambierà idea dopo gli Accordi di Oslo del 1993, a causa dei quali, il numero degli insediamenti in Cisgiordania subiranno una crescita esponenziale, rendendo quindi impossibile la sovranità palestinese. Negli ultimi anni della sua vita, Said sostiene invece la soluzione dello Stato Unico democratico bi-nazionale. Come sostenuto anche da Ocalan per la soluzione del popolo curdo (vedi: https://www.retekurdistan.it/2023/10/30/edward-said-e-abdullah-ocalan-hanno-mostrato-che-che-la-soluzione-dei-due-stati-porta-a-violenza-continuativa/)

La funzione degli accordi di Oslo – scriverà poi nel 2000 – è quella di ingabbiare i palestinesi in ciò che resta delle loro stesse terre, come i reclusi di un manicomio o di una prigione. Ciò che stupisce non è la rivolta popolare contro questo diktat, ma il fatto che esso abbia potuto essere spacciato per pace invece che per la desolazione che in realtà è sempre stata”.

Nel periodo successivo al 1948 – Said continua nella sua lettera – non avremmo dovuto emergere solo come “arabi” senza volto, assassini, nemici, soggetti a tutta una gamma di deformazioni poco attraenti, ripetute automaticamente e incessantemente. Eppure è proprio così che siamo emersi. E sono state queste caratteristiche negative a permettere agli intellettuali apologeti di Israele di contrapporci al liberalismo, alla democrazia, all’illuminismo israeliani eccetera, così da sottolinearli. E, devo aggiungere rapidamente, la nostra disumanizzazione è avvenuta come un’estensione della già impressionante serie di misure adottate da Israele per cancellare gran parte della nostra presenza dalla nostra terra natale. Centinaia di migliaia di palestinesi sono stati trasformati in rifugiati. Oltre 400 villaggi palestinesi sono stati distrutti, guerre senza fine e misure punitive sia militari sia civili sono state attuate da Israele contro di noi.

Entro la metà del 1967 l’intera Palestina storica era sotto il dominio israeliano.

Dopo il 1967, ma soprattutto dopo la guerra del 1973, quando l’America è diventata il pilastro di Israele, la riduzione retorica, discorsiva e ideologica dell’esperienza palestinese a un paio di terribili clichè, è diventata più importante che mai. Enormi quantità di denaro e armi sono andate a Israele; all’Onu ogni critica giusta o ingiusta nei confronti di Israele è stata bloccata. Quasi senza eccezioni, i politici statunitensi hanno imparato l’arte di ignorare la verità – cose scomode come il bombardamento dei campi profughi, il comportamento audacemente illegale delle truppe israeliane nei confronti dei civili palestinesi disarmati, gli espropri, le censure, le detenzioni preventive, le espulsioni, le torture, le demolizioni di case, gli omicidi senza fine – e allo stesso tempo placare la lobby con più aiuti finanziari e più elogi per Israele, più preoccupazione su ciò che è “buono per Israele” indipendentemente da quanto cattivo potrebbe essere non solo per i palestinesi ma anche per gli statunitensi”.

Le parole di Said ci dicono che è fondamentale non assistere in silenzio all’ingiustizia perpetrata nei confronti del popolo palestinese. Si deve denunciare il genocidio coloniale in atto; gli interessi economici che sono alla base del suo sostegno; il business delle armi e l’accordo militare tra Italia ed Israele; sostenere le mobilitazioni in atto degli studenti; le azioni promosse dal BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni); le torture nelle carceri e la detenzione amministrativa. Questo ha un solo un significato: prendere una posizione chiara nei confronti del governo israeliano.

La situazione attuale in Palestina, come sottolineato anche da Said nella sua lettera, è sempre più pesante. La mano sionista schiaccia giorno dopo giorno la popolazione palestinese, la deruba di dignità, libertà, di case, sradica alberi, strappa pezzi di terra e occupa città.

I coloni poi occupano sempre più spazi togliendoli ai cittadini palestinesi trasformandoli in insediamenti illegali per il diritto internazionale. Ma tutto rimane sotto silenzio, non si può criticare Israele. Pena: essere considerati antisemiti e fiancheggiatori dei terroristi.

Prima dell’era Reagan, una tattica intellettuale particolarmente spiacevole è emersa tra i liberali per i quali il pacifismo, il rispetto dei diritti umani, le cause antimperiali e antinucleari erano legittimamente attuali, ma che esplicitamente o implicitamente facevano un’eccezione per Israele. In qualche modo, le norme che regolano la critica ai regimi che hanno imprigionato persone ingiustamente o che hanno discriminato i cittadini per ragioni di razza o religione, o che si sono fatti beffe del diritto internazionale, sono state condonate o il giudizio sospeso nella maggior parte dei casi in cui Israele era coinvolto… Così anche gli intellettuali ebrei americani accettavano abitualmente questi abusi come necessari per la sicurezza israeliana (…)

Non riesco a capire come prove nude e crude possono essere ignorate dagli intellettuali americani perché la “sicurezza” di Israele lo richiede. Eppure vengono ignorate o nascoste, non importa quanto sia prepotentemente crudele, non importa quanto disumano e barbaro, non importa quanto forte Israele proclami ciò che sta facendo. Bombardare un ospedale; usare il napalm contro i civili; richiedere a uomini e ragazzi palestinesi di camminare a quattro zampe, abbaiare o urlare “Arafat è un figlio di una puttana”; spezzare gambe e braccia ai bambini; confinare le persone in campi di detenzione nel deserto senza spazi adeguati; servizi igenici, acqua e senza muovere accuse ufficiali; usare gas lacrimogeni nelle scuole: tutti questi sono atti orribili, che facciano parte di una guerra contro il “terrorismo” o che rispondano a esigenza di sicurezza. Non notarli, non ricordarli, non dire: aspetta un attimo, possono simili atti essere necessari per il bene del popolo ebraico? E’ inspiegabile, ma significa anche essere complici”.

Dov’è la presunta prova che “gli Stati arabi hanno giurato di distruggere Israele?” Semplicemente non esiste, ma anche se esistesse, c’è una qualche proporzionalità, una qualche simmetria tra i giuramenti da un lato e l’ostinata e sistematica oppressione per quattro decenni proprio di quelle persone spodestate e sfollate da Israele? (…)

I corpi sono lì per essere contati – migliaia di vittime palestinesi, oltre ai massacri del 1948, all’occupazione del 1982, al tentativo di far morire di fame oggi intere città e campi a Gaza e in Cisgiordania, rispetto al numero relativamente basso di vittime israeliane, sono tutte il risultato di pratiche scioccanti e condannabili – ma non lo sono mai. Così dobbiamo desumere che come palestinesi le nostre morti e sofferenze contano 100 volte meno di quelle di persone vere come gli israeliani (…)

Per Said è importante ricordare l’assedio di Beirut e il massacro di Sabra e Chatila del 1982

I campi di Sabra e Chatila vennero scelti come ritorsione perchè in questi quartieri viveva e vive l’anima e il corpo di una parte importante di quel popolo palestinese che, più di altri, ha vissuto il dramma di una diaspora cruenta. Una diaspora attiva, operosa, mai umiliata, quindi una forza che costituisce l’anima rivoluzionaria del popolo palestinese, da cui trae energia l’OLP.

A Sabra e Chatila si è sparato, sgozzato, sventrato senza nessuna selezione con il solo obiettivo di liquidare una comunità. Sabra e Chatila è una macchia sulla moralità della comunità internazionale.

Per questo, è importante ricordare e denunciare il grande silenzio che regna intorno alla vita dei rifugiati palestinesi.

Per i sopravvissuti di Sabra e Chatila il massacro non rappresenta solo la perdita di uno o più familiari, ma è anche il momento in cui si sono sentiti umiliati dalla comunità internazionale, perché non è stata ancora in grado di giungere a nessuna condanna precisa, senza nessuna giustizia e nessun tipo di risarcimento. (vedi: https://alkemianews.it/2023/10/01/41-anni-strage-di-sabra-e-chatila-libano/)

Dopo l’assedio di Beirut nel 1982, l’American Israel Public Affairs Committee inviò conferenzieri in tutto il Paese per dimostrare che i media erano stati antisemiti. Quando il lavoro di Noam Chomsky vi fa allusione, lui, la persona, non quello che dice, viene attaccato senza pietà nonostante le montagne di prove che presenta; lo stesso sordido destino attende chiunque critichi i misfatti di Israele(…)

Si diffama semplicemente la persona, si scredita il suo carattere o la sua storia e si evita sempre qualsiasi discussione sui dettagli confusi.

Non posso dire chi sia il responsabile di questo stato di cose, ma sicuramente non si sarebbe potuto verificare se la lobby israeliana non avesse contato sul fatto che intellettuali che solitamente si fanno sentire avrebbero collaborato o taciuto.

Devo notare con rispetto e ammirazione che a causa della guerra in Libano e dell’Intifada alcuni intellettuali ebrei americani hanno cominciato a parlare apertamente. Ma anche in questi casi le abitudini di una generazione hanno influenzato e contenuto le loro parole…

Il contributo principale dell’era Reagan -Schultz è stato quello di instillare in tutti i sostenitori di Israele la disciplina di “non fare pressioni” su Israele.

Alla fine del 1987, lo stesso giorno in cui Ronald Reagan rimproverò gentilmente Israele per aver sparato a bambini palestinesi disarmati, altri 280 milioni di dollari furono stanziati per il nostro alleato strategico. Quanti altri aiuti, quante scuse servili, quante vite palestinesi sono necessarie come “misure di rafforzamento della fiducia” affinché Israele e i suoi sostenitori finalmente acconsentano a esaminare i danni?(…)

Ciò che Israele e i suoi sostenitori hanno fatto ai palestinesi, punire un’intera nazione, non può in fondo essere negato. Né si può sostenere che siano la paura e l’insicurezza ad aver di fatto dettato una politica volta a negare l’istruzione a centinaia di migliaia di studenti palestinesi chiudendo per mesi scuole e università.

Merita la vostra attenzione una prova che fa riflettere su varie categorie di comportamenti ufficiali israeliani negli ultimi 18 mesi. Mentre leggete chiedetevi se la “paura” e “l’insicurezza” giustificano queste cose.

Nella sezione “Uso della forza” abbiamo: statistiche su decessi e vittime; l’uso della forza in risposta alle manifestazioni; proiettili veri; proiettili di plastica; una politica di percosse; brutalità nell’esercito: uso di proiettili di gomma, uso del gas lacrimogeno come mezzo di terrore, molestie e distruzione di proprietà, raid dell’esercito nei villaggi e nei campi profughi, squadroni della morte. Alla voce “Ostacolo alle cure mediche” troviamo: ostacolo alle cure sanitarie, negazione dei servizi medici alla popolazione soggetta a coprifuoco prolungato, attacchi al personale medico sul campo, raid militari contro ospedali, eccetera. Non dimenticate che questi abomini sono compiuti da una delle maggiori potenze militari del mondo contro una popolazione civile disarmata. Questo triste elenco di elementi documentati, verificati, attestati nelle 475 pagine che seguono va avanti per sei pagine”.

Per evitare che ve la prendiate con me anziché con ciò che sto dicendo e con i fatti che non possono essere facilmente confutati, vi concederò che la nostra situazione come intellettuali arabi e palestinesi americani non è qualcosa di cui vantarsi.

Said purtroppo ha ragione. La situazione in tutto il Medio Oriente non è in pace e non ci si può fidare di nessun stato arabo. Per esempio, la Turchia nel febbraio 2022 ha dato avvio ad una campagna di bombardamenti sistematici in tutto il Kurdistan. Ha colpito chi ha combattuto l’Isis e chi rappresenta anche un esempio della messa in pratica del Confederalismo Democratico sostenuto da Ocalan, leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan. Queste azioni di morte contro aree civili, non dovrebbero essere accettate da un mondo democratico, come spesso viene invece definito.

Un silenzio che getta una coltre fitta di nebbia su questi avvenimenti, come se tutto fosse “normale”. Mentre di normale non c’è proprio nulla. (vedi: https://alkemianews.it/2022/02/10/azione-di-morte-contro-aree-civili/)

Gli Stati arabi e i loro governanti – prosegue Said – sono una categoria spaventosa.

L’Iraq massacra i curdi, i libanesi si liquidano a vicenda, la Siria bombarda tutto ciò che può, la Libia finanza il terrorismo: questi e altri oltraggi hanno luogo in società prive di libertà democratiche, in cui la corruzione, l’incompetenza e una mancanza collettiva di serietà regnano praticamente incontrollate e incontrastate.

La rinascita dell’islam, non meno di quella del cristianesimo e dell’ebraismo, ha prodotto una spaventosa processione di leader religiosi squilibrati e di entusiasti con la schiuma alla bocca.

I nostri non sono meno sgradevoli dei vostri, così come un’alternativa teocratica non è preferibile a un’altra. Inoltre, potrei sostenere un’invettiva contro la leadership palestinese che, come tutti ammettiamo, non è all’altezza della volontà del popolo di resistere, una volontà caparbia e piena di risorse.

Ciò di cui penso che dobbiamo iniziare è quindi il riconoscimento comune dell’asimmetria di potere tra Israele e palestinesi e, in secondo luogo, il riconoscimento che Israele e i suoi sostenitori hanno una grande responsabilità per l’attuale situazione del popolo palestinese.

La questione fondamentale è come gli intellettuali ebrei americani si relazionano con quel potere: il potere dello Stato, della lobby, dello status quo e delle principali organizzazioni ebraiche che in privato ho sentito molti di voi dire non rappresentarvi affatto.

Non penso sia ingiusto affermare che la maggior parte degli intellettuali ebrei americani non dissentano né si oppongono bensì servono quello schieramento di poteri.

Se si accetta la linea del governo israeliano, si sta in effetti accettando uno stato di ostilità prolungato all’infinito non solo tra Israele e i palestinesi, ma tra Israele e virtualmente tutti i suoi vicini. Ciò che un futuro del genere realmente significa è molto meno felice di quello che può essere racchiuso sotto espressioni come “sicurezza di Israele”. Significa proseguire nella repressione dei palestinesi”.

Said afferma anche che il successo e l’efficacia del sionismo è dovuto alla sua politica attenta ai minimi dettagli e non semplicemente ad una visione generica colonialista.

La Palestina infatti, fin dall’inizio, è stata studiata nei minimi particolari per poter così pianificare la sua colonizzazione.

Gli arabi non hanno saputo rispondere a questo progetto, pensavano che bastasse il fatto che vivevano lì e che possedevano quelle terre, per essere al sicuro.

Said, invece, aveva capito con lucidità che i molti processi di pace, in realtà rappresentavano l’azione con cui il progetto sionista avrebbe continuato il suo piano ambizioso di espropri attuati a Gerusalemme est, di espansione delle colonie e della distruzione dei villaggi beduini. Ovvero, i processi pace avevano il compito di dare maggiore sicurezza e terra ad Israele e non di restituirla al popolo palestinese.

Il sionismo nella pratica e in Medio Oriente – prosegue Said nella sua analisi – è sempre stato più onesto che negli Stati Uniti.

Ben Gurion non ha mai nascosto di preferire un Israele in guerra piuttosto che uno in pace con gli arabi.

Se una tale politica sembrava necessaria durante i primi anni di vita dello Stato israeliano, è continuata nel presente con conseguenze incredibilmente pericolose e persino stupidamente autodistruttive.

L’idea che, se Israele è nei guai in patria o con gli Stati Uniti, possa improvvisamente lanciare un attacco “preventivo” diversivo da qualche parte è già abbastanza grave; che lo faccia con l’illusione che gli Stati Uniti copriranno sempre le azioni israeliane con il loro denaro e il loro potere, grazie alla lobby e ai suoi servitori, è un suicidio.

La logica dell’escalation militare è in tal modo giustificata in un mondo arabo ora completamente armato con un “deterrente” contro la capacità nucleare israeliana: il nome del deterrente è armi chimiche e biologiche. Con questa logica in atto, le conseguenze sociali ed economiche legate al militarismo su vasta scala saranno terribili.

Incoraggiare Israele a mettere lo stivale in faccia agli arabi e ai musulmani è una follia; non siete consapevoli di come il risentimento, l’odio e il desiderio di vendetta si stiano accumulando nei cuori arabi e musulmani già pericolosamente pieni di passione disinformata, odio indiscriminato, rabbia indistinta? Dire che Israele non è il solo da incolpare, o che è stata prestata troppo attenzione da parte dei media al trattamento riservato ai palestinesi, non rappresenta una seria giustificazione delle deplorevoli politiche di Israele.

Né Israele, né i suoi sostenitori possono un giorno chiedere un esame scrupoloso e fondato sui principi dello straziante passato ebraico così come dei pericoli per gli ebrei nel presente, e poi, il giorno dopo, quando i palestinesi rivendicano lo stesso diritto, dire che gli ebrei non hanno bisogno di guardare troppo da vicino al passato e al presente palestinesi”.

Said richiama quindi i suoi colleghi ebrei alle loro responsabilità:

La storia palestinese e la storia ebraica sono, almeno per il XX secolo, inscritte l’una nell’altra; non possono essere separate, e devono essere valutate e riconosciute in termini morali, in termini di un futuro in cui entrambi i popoli abbiano il diritto alla sopravvivenza e a un’esistenza dignitosa in una Palestina condivisa, divisa in due Stati.

Non meno degli ebrei, i palestinesi hanno raggiunto un grado di innegabile e irreversibile di autocoscienza nazionale al quale sarebbe etnocida opporsi.

Se ho ragione, allora gli intellettuali ebrei americani devono dichiararsi apertamente e alla luce del sole per la sopravvivenza congiunta e politicamente paritaria di due popoli, oppure dovrebbero dire apertamente che ritengono che i palestinesi sono e dovrebbero rimanere meno uguali degli ebrei.

Nel primo caso, noi – palestinesi ed ebrei in America – possiamo combattere insieme, dalla stessa parte. Gli imperativi sono la fine dell’occupazione e, cosa ancora più importante, una certa pressione effettiva sul governo statunitense affinché modifichi e ispiri la politica israeliana.

Avete le risorse e potete contare anche sulle nostre per raggiungere un simile obiettivo.

La seconda è un’opzione che può essere combattuta direttamente, come tanti hanno combattuto Rabbi Kahane, rabbino e politico estremista statunitense.

Ma qualunque cosa facciate, vi prego di non voltarvi dall’altra parte, di non tergiversare, di non parlare di tutto tranne che del Medio Oriente, di non mettere in dubbio la mia persona dicendo che i problemi sono il terrorismo, l’islam e la cultura o l’intransigenza araba.

Mentre i palestinesi vengono uccisi ogni giorno dai soldati israeliani, e mentre la nazione palestinese viene punita senza pietà dallo Stato del popolo ebraico, il vostro ruolo di intellettuali, io credo, è quello di testimoniare contro questi crimini. Ciò serve anche a fornire agli israeliani sotto attacco e ai loro sostenitori un modello alternativo alla coercizione o alla stridente militanza senza fine diretta contro una regione in cui, nel bene e nel male, Israele deve cercare di sopravvivere in modo umano e appropriato.

Mi sembra quindi che la strada davanti a noi sia chiaramente tracciata”.

La lettera aperta di Edward W.Said agli intellettuali ebrei americani del 1989 si conclude con queste parole e speranze.

Dobbiamo lottare per la giustizia, la verità e il diritto ad una critica onesta, oppure dobbiamo semplicemente rinunciare al titolo di intellettuali”.

Purtroppo, da questa data, sono successe tantissime vicende sotto gli occhi di un mondo indifferente fino ad arrivare alla data del sette ottobre 2023. Questa data segna lo spartiacque della questione palestinese. Il mondo ha riscoperto la sua esistenza, una presenza costante ma spesso silente, apparentemente irrisolvibile ed esplosiva. Oggi in un momento così tragico con il pericolo di una guerra totale, ci manca la lucidità di Said e le sue analisi. Come afferma il giornalista Robert Fisk, nessuno potrà prendere il suo posto, oggi più che mai, in un momento in cui i palestinesi avrebbero bisogno di una voce sincera che li difenda. Sono soli.

Per fortuna restano i suoi numerosi libri, le sue parole che ci accompagnano nel comprendere la tragedia del popolo palestinese.

La pace va fatta tra uguali, ed è proprio questo che qui non funziona”.

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