Ormai bisogna essere a libro paga dei sionisti o essere un nazista conclamato per non ammettere che quello che Israele sta commettendo a Gaza è un genocidio. Il peggior atto criminale che si possa commettere verso un popolo, che non bisogna però dimenticare di inserire all’interno di una cornice di quasi 80 anni di colonialismo e apartheid.
Ma nel caso ci fosse ancora qualcuno pronto ad arrampicarsi sugli specchi di interpretazioni fantasiose, un’inchiesta di una commissione indipendente dell’ONU ora lo conferma. Se oltre un anno e mezzo fa la Corte Internazionale di Giustizia – che è un organo delle Nazioni Unite – aveva intimato a Israele di evitare atti che avrebbero portato a un genocidio, ora l’ONU stabilisce che stiamo assistendo a una pulizia etnica in diretta TV.
Sono questi i risultati dell’indagine della Commissione Internazionale Indipendente d’Inchiesta sui territori occupati e Israele, che è giunta alla conclusione che le operazioni a Gaza hanno lo scopo di “distruggere i palestinesi“, e che “il genocidio è in corso e continua a verificarsi“. Tra i principali istigatori sono individuati il primo ministro Netanyahu, il presidente Herzog e l’ex ministro della Difesa Gallant.
La Commissione è composto da tre esperti di diritti umani, guidati dall’ex Alta Commissaria ONU Navi Pillay. In una conferenza stampa tenuta a Ginevra, Pillay e il collega Chris Sidoti hanno evidenziato che Israele ha commesso “quattro dei cinque atti” che descrivono un genocidio, stando alla Convenzione del 1948 per la prevenzione e la repressione di tale crimine.
Nello specifico, si tratta di: “uccidere membri del gruppo; causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo; infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita volte a provocarne la distruzione fisica, totale o parziale; e misure volte a impedire le nascite all’interno del gruppo“.
Ovviamente, i vertici israeliani hanno subito bollato il rapporto come “parziale e mendace“, e i tre esperti che lo hanno redatto sono stati così descritti: “tre individui che agiscono come rappresentanti di Hamas, noti per le loro posizioni apertamente antisemite“. Pillay, di contro, ha affermato che “quando emergono chiari segni e prove di genocidio, non agire per porvi fine equivale a complicità“, chiamando alla responsabilità innanzitutto i compli occidentali.
Nel frattempo, 16 paesi hanno rilasciato ieri una dichiarazione congiunta, mettendo in guardia Israele dal compiere altre azioni illegali e violente nei confronti delle navi della Global Sumud Flotilla, già attaccata due volte nelle acque di Tunisi. I firmatari sono: Turchia, Spagna, Bangladesh, Brasile, Colombia, Indonesia, Irlanda, Libia, Malesia, Maldive, Messico, Pakistan, Qatar, Oman, Slovenia e Sudafrica.
I ministri degli Esteri di questi paesi hanno avvertito i sionisti che “qualsiasi violazione del diritto internazionale e dei diritti umani dei partecipanti alla Flotilla, compresi gli attacchi contro le imbarcazioni in acque internazionali o la detenzione illegale, porterà al riconoscimento di responsabilità” delle autorità israeliane.
Nella lista dei 16 paesi, tolta la Spagna, non c’è uno di quei paesi di cui i governanti, ogni giorno e attraverso ogni canale possibile, ricordano che l’Occidente è la patria dei diritti e della democrazia, e che le sue azioni sono indirizzate a difendere ‘l’ordine basato su regole’. Quelle delle armi, non di certo quelle del diritto internazionale.
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