Monologo di un pazzo
Mi sono guardato intorno, e ho capito che la guerra non procedeva bene, che urgeva un altro piccolo sforzo per completare il massacro: ancora qualche migliaio di vittime, e nuova distruzione.
Mi sono guardato intorno, e ho visto le mie schiere indomite. Le ho allevate con sogni di gloria e promesse di pace. E poi, infine, vedremo la vittoria.
Mi sono guardato intorno, e ho colto il segno del Signore. Dunque, la mia è guerra santa: questa non è altro che la guerra del Signore contro i figli di Amalek. Io, il braccio.
Mi sono guardato intorno, e ho visto una popolazione inerme. Ma che può riprodursi, allevare nuove minacce, portare quella razza infame a nuove incursioni in terra d’Israele. Comunque sia, il massacro è lecito.
Mi sono guardato intorno, e ho compreso la necessità di condurre l’assalto finale. Senza discorsi, senza trucchi, ho lanciato proclami di guerra totale, di sterminio, di strage di popolo: di immediato massacro dei figli di Amalek.
Mi sono guardato intorno, e mi conforta l’alleanza con le élite occidentali. Dunque, la guerra che combatto è impopolare, ma i suoi fini coincidono con i fatturati di governi amici. E dunque, sarà ancora massacro.
Mi sono guardato intorno, e le crudeltà e le inumane sofferenze mi sono sembrate il giusto premio alla mia superiorità. Perché i figli di Amalek sono barbari. E questa è guerra etnica, di pulizia etnica, di suprematismo etnico, di sincero e astuto intrallazzo contro un nemico etnicamente inferiore. Io sono Gedeone, il supremo rappresentante del Signore.
Mi sono guardato intorno, e ho visto i miei tecnici allestire lo spettacolo finale. È la cerimonia tribale da cui è impossibile sfuggire, con ruoli già assegnati: agli israeliti, i ruoli principali, insieme attori e personaggi; ai palestinesi, il ruolo di comparse da sacrificare; alle genti del mondo, quello di spettatori; a Trump e la sua corte, il ruolo di invitati speciali. La cerimonia del massacro avverrà in mondovisione.
Mi sono guardato intorno, e ho visto le strade e i campi pieni di profughi. Ed ho goduto. Una sensazione di ebbrezza, come se nell’eccidio deliberato potesse esprimersi la gioia suprema. Nient’altro da aggiungere.
Mi sono guardato intorno, e ho dato l’ordine di inseguire i nemici, di scacciarli da quella striscia di terra. Arriverò al confine, lo attraverserò, e i miei uomini potranno piantare le loro tende in quelle strade, dopo aver opportunamente fatto strage.
Sì, questa è una benedetta guerra premeditata, studiata, fino alla meta invocata dell’occupazione totale. E dunque lo sterminio è lo strumento, il macabro strumento del volere del Signore: si sfratta un popolo che si era indebitamente insediato in una terra che appartiene a noi per editto divino.
Mi sono guardato intorno, e vedo proiettate in me le energie delle élite occidentali. Io agisco anche in funzione dei loro scopi. Il mio è il supremo laboratorio dell’orrore:
per abituare all’orrore l’opinione pubblica,
per provare armamenti e tecnologie,
per allenare la propaganda,
per fustigare i disertori,
per applicare la tecnica dell’inganno e della menzogna,
per modificare lessico e repertorio,
per aprire prospettive di tolleranza del massacro,
per spostare i limiti di tolleranza,
per indirizzare le menti,
per precisare i pensieri facendoli applaudire allo sterminio,
per far scivolare la democrazia verso la disponibilità all’orrore.
Mi sono guardato intorno, e ho visto il mio volto sul volto di tutti. Perché io sono Gedeone, il rappresentante di molte cause e d’ogni vivente che abbia a cuore il Bene del Signore. E ora sto per sferrare il colpo finale, quello definitivo, molto spettacolare, e senza il conforto del diritto internazionale — anch’esso gravemente ferito da questa mia guerra contro i figli di Amalek.
Io sono Gedeone,
e i miei carri stanno per espellere definitivamente i palestinesi dalla specie umana.
Amen.
* da Facebook
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