Questo 16 settembre, i popoli di Burkina Faso, Mali e Niger celebrano il secondo anniversario dell’Alleanza degli Stati del Sahel (AES), stabilita dalla Carta di Liptako-Gourma nel 2023. Questa non è solo una data sul calendario, ma la celebrazione di una rinnovata lotta per la sovranità in una regione a lungo soffocata dal neocolonialismo francese e dalle fallite strategie di sicurezza occidentali.
Mentre si pianificano azioni di solidarietà in tutto il Sahel, è essenziale guardare oltre le narrazioni tradizionali dei “colpi di stato” e comprendere le condizioni che hanno portato a questo momento cruciale.
Per decenni, il Sahel è stato un classico caso di saccheggio neocoloniale. L'”indipendenza della bandiera” degli anni ’60 è stata una facciata per la continua dominazione francese, mantenuta attraverso il franco CFA e una rete di patti di difesa.
L’accordo del 1961 con il Niger, ad esempio, concesse alla Francia il controllo su installazioni militari e risorse strategiche come l’uranio, garantendo al contempo esenzioni fiscali per le aziende francesi. Questo sistema ha distrutto la sovranità fiscale della regione, risultando in un sottosviluppo catastrofico, povertà e una crisi della sicurezza esacerbata dalle stesse potenze che pretendevano di risolverla.
I numeri sono cupi. Nel 2023, il PIL pro capite del Niger era di soli 560 dollari, con quasi metà della sua popolazione che vive in povertà; i suoi vicini affrontano realtà simili. Questa è la diretta conseguenza di un sistema progettato per l’estrazione.
Le compagnie minerarie francesi per anni hanno dirottato gli introiti dell’uranio e dell’oro della regione, lasciando ben poco dietro. Nel 2010, ad esempio, il Niger ha ricevuto solo il 13% del valore totale delle esportazioni del suo uranio.
Questo sfruttamento economico è intrinsecamente legato alla crisi della sicurezza. L’intervento della NATO in Libia nel 2011 ha scatenato un grande flusso di armi ed estremisti in tutta la regione.
Operazioni successive guidate dalla Francia, come Barkhane, si sono rivelate controproducenti, poiché l’attività terroristica è schizzata alle stelle sotto la sua supervisione – con un aumento del 2.860% delle morti in quindici anni. Per il popolo del Sahel, la conclusione era inevitabile: la volpe stava sorvegliando il pollaio.
Da questa fusione di stati falliti, interferenza straniera e frustrazione popolare è nata l’AES. Gli interventi militari in Mali (2020), Burkina Faso (2022) e Niger (2023) non sono state le tipiche prese del potere da parte di un’élite interessata.
Sono stati, come li ha definiti Philippe Toyo Noudjnoume dell’Organizzazione dei Popoli dell’Africa Occidentale: “interventi militari per la sovranità“. Guidati da una nuova generazione di giovani ufficiali patriottici come Ibrahim Traoré del Burkina Faso e Assimi Goïta del Mali, questi movimenti sono stati alimentati da mobilitazioni di massa di una popolazione stanca del vecchio ordine, come ben dimostra il recente dossier pubblicato dall’Istituto Tricontinental di Ricerca Sociale, Sahel in cerca della sovranità.
Le scene di manifestazioni di massa per le strade di Bamako, Ouagadougou e Niamey, dopo la deposizione di governi appoggiati dall’Occidente, sono state una potente testimonianza del profondo desiderio di cambiamento. Inoltre, le masse non si sono semplicemente mobilitate per appoggiare ciecamente un nuovo regime.
Si veda il caso del Niger: quando i leader militari hanno preso il potere — motivati principalmente dalla mancanza di protezione e di una retribuzione adeguata mentre combattevano in prima linea contro le incursioni terroristiche, spesso legate al presunto supporto francese — sono state le organizzazioni di base a guidare la richiesta di espulsione delle forze militari e diplomatiche francesi, assediando le guarnigioni militari e l’ambasciata del paese europeo.
Non si trattava solo di esplosioni di sentimenti anti-francesi, ma di un profondo rifiuto di un sistema che, per troppo tempo, ha negato al popolo del Sahel la sua dignità e il suo diritto all’autodeterminazione.
L’AES, quindi, non è solo un’alleanza militare, ma un progetto politico, un tentativo audace di tracciare un nuovo percorso basato sul panafricanismo, sullo sviluppo endogeno e su una risoluta posizione anti-imperialista.
In due anni di esistenza, l’AES ha compiuto progressi significativi. L’espulsione delle truppe francesi dai tre stati membri è stato un colpo storico per il neocolonialismo francese in Africa. La formazione della Confederazione degli Stati del Sahel, il 6 luglio 2024, ha ulteriormente consolidato l’alleanza, con una forza militare congiunta che ha già condotto esercitazioni e i cui leader hanno approfondito i legami di sicurezza, come visto negli incontri militari in Russia a luglio e agosto 2025.
Sono in fase di avanzamento piani per un passaporto unico, un nuovo fondo di investimento domestico finanziato dalle tasse e, infine, una moneta comune. Sul fronte economico, l’AES sta prendendo misure concrete per riprendere il controllo del proprio destino. Sono in discussione proposte per riunire risorse per progetti chiave nel settore minerario, energetico e delle infrastrutture.
In una mossa significativa verso la sovranità energetica, Rosatom (la corporazione statale russa responsabile per l’industria e l’energia nucleare) ha firmato un accordo con i tre membri nel giugno-luglio 2025, sull’uso pacifico dell’energia nucleare per sviluppare un “ciclo regionale del combustibile nucleare verticalmente integrato – dalle miniere del Niger ai reattori del Burkina Faso e del Mali“.
Questo si affianca agli sforzi nazionali in tutta l’alleanza, che includono una serie di accordi bilaterali con nuovi partner e nuove iniziative nazionali di sviluppo, che abbracciano una gamma di settori economici, politici e sociali.
Mali e Burkina Faso hanno approvato nuovi codici minerari nel 2023 per aumentare la partecipazione statale ed eliminare le esenzioni fiscali dell’era neocoloniale, mentre il Niger ha avviato un’audit completo dei contratti minerari esistenti con l’obiettivo di rinegoziarli secondo termini più equi.
Queste politiche concrete sono accompagnate da una spinta al rinnovamento ideologico. Il Burkina Faso sta rivitalizzando lo spirito di Thomas Sankara con una grande spinta all’autosufficienza alimentare, mobilitando programmi nazionali di volontariato per costruire dighe di irrigazione, avviando la costruzione della prima fabbrica di trasformazione del pomodoro del paese per ridurre la dipendenza dalle importazioni e la campagna nazionale di rimboschimento (una campagna a giugno 2025 ha portato alla piantumazione di 5 milioni di alberi in un’ora).
Il Mali, nel suo nuovo piano di sviluppo nazionale, sta promuovendo il concetto del kura Maliden (“nuovo maliano”) – un cittadino patriottico, responsabile e laborioso, dedito alla sovranità nazionale.
Questi sforzi paralleli, sia materiali che ideologici, stanno tessendo una nuova bandiera per la regione, simboleggiata nella bandiera dell’AES: una mappa delle tre nazioni unite in una sola, in contrasto con i colori panafricani di rosso, oro e verde, con l’antico baobab al centro.
Il popolo del Sahel ha issato la bandiera della sovranità e, ogni giorno, attraverso le lotte quotidiane per costruire un progetto regionale coerente, riconquista la sua dignità.
Le sfide che si prospettano rimangono immense. Le economie dei paesi dell’AES rimangono fortemente dipendenti dall’esportazione di materie prime, rendendole vulnerabili ai capricci del mercato globale. La situazione della sicurezza, sebbene migliorata in alcune aree, rimane precaria. E le forze dell’imperialismo non sono rimaste inattive.
Ma concentrarsi solo su queste sfide significa ignorare la storia più ampia. Il popolo del Sahel non aspetta un salvatore. Sta prendendo il proprio destino nelle proprie mani. Questo secondo anniversario dell’AES è un momento per elogiare il suo coraggio e la sua visione. È un promemoria che, come disse una volta Thomas Sankara: “uno schiavo che non è capace di assumere il controllo della propria ribellione non ha diritto alla pietà“.
Il popolo del Sahel ha assunto il controllo della propria ribellione.
*Biografia dell’autore: Questo articolo è stato prodotto da Globetrotter. Mikaela Nhondo Erskog è un’educatrice e ricercatrice presso l’Istituto Tricontinental di Ricerca Sociale. Possiede un master in Storia presso l’Università Attualmente Conosciuta come Rhodes (University Currently Known as Rhodes – UCKAR) e una laurea in Discipline Umanistiche presso la stessa università.
Fonte: Globetrotter
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Giorgio Attard
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