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Forse è davvero ora di buttare nella spazzatura un premio che, al contrario di altri (fisica, medicina, ecc) è diventato soltanto un’indicazione di guerra ideologica e culturale. Qui tre degli interventi che ci sono giunti o abbiamo trovato tra i nostri contatti, chiedendo ovviamente scusa agli altri, ma non potevano pubblicarli tutti.

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Marta Collot (portavoce di Potere al Popolo)

In tanti parlavano di un Nobel per la Pace a Trump, e del resto dopo Obama e la UE non ci sarebbe stato da sorprendersi. Invece, è andato a María Corina Machado, oppositrice venezuelana del governo Maduro.

Va denunciata ancora una volta la mistificazione propagandistica di questo tipo di riconoscimenti. Machado è la nuova agente dell’imperialismo statunitense contro il socialismo bolivariano, dopo il fallimento del golpista e corrotto Guaidó. Machado è oggi il punto di riferimento delle squadracce fasciste che hanno causato disordini in tutto il paese lo scorso anno.

Tutto l’arco parlamentare italiano e la stessa von der Leyen si sono affrettati a congratularsi con Machado, e a farla ergere a paladina della democrazia. Chi ha strumentalizzato il suo essere donna, chi le condizioni create dallo stesso blocco criminale statunitense, la classe dirigente europea si è mostrata ancora una volta nemica degli interessi delle classi popolari e vicina a chi difende l’imperialismo suprematista occidentale. Basta vedere le posizioni della Machado su Israele.

Ma c’è un pericolo ulteriore. Aver concesso il premio Nobel per la Pace a María Machado in questo frangente significa dare spazio alla legittimazione di un’altra di quelle tante “esportazioni di democrazia” che sono care a Washington. Gli USA, da settimane, hanno militarizzato le acque davanti a Caracas, hanno ucciso 21 persone, minacciano l’invasione. Il premio Nobel a Machado è parte di un’operazione politica che vuole creare le condizioni per invadere il Venezuela e rovesciare il legittimo governo chavista e bolivariano di Maduro.

Per questo dobbiamo mantenere alta l’attenzione. Perché bisogna difendere l’esperienza venezuelana con la solidarietà internazionalista, affinché il Nobel per la Pace non diventi lo strumento di legittimazione di una nuova ennesima guerra!

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Gianmarco Pisa (da Caracas)

Da un lato, politicizzare la questione della pace, con l’adozione della politica dei “doppi standard”, serve alle potenze imperialistiche per le loro aggressioni “umanitarie” in giro per il mondo; dall’altro, strumentalizzare la questione dei diritti umani, impugnandone la bandiera in maniera selettiva e interessata, serve alle stesse potenze per alimentare campagne di delegittimazione e supportare interventi, guerre e aggressioni.

Come si legge nel sito istituzionale, il Premio Nobel per la Pace tra il 1901 e il 2025 è stato assegnato 106 volte a 143 vincitori, di cui 112 persone e 31 organizzazioni, con il Comitato Internazionale della Croce Rossa che ha ricevuto il Premio tre volte (1917, 1944 e 1963) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati due volte (1954 e 1981).

Personalità e organizzazioni importanti sono state premiate con il prestigioso riconoscimento; d’altra parte, è inevitabilmente vero che, trattando di una materia specificamente politica, l’impegno per la pace, tale premio sia condizionato da motivazioni e interessi che spesso esulano dal merito, che riguardano cioè considerazioni e fattori di carattere selettivo, se non strumentale.

Palazzo dell’Assemblea Nazionale, Caracas. Foto di Gianmarco Pisa

La politicizzazione delle questioni internazionali afferenti alla pace, ai diritti umani, e alla sicurezza è una delle grandi problematiche e, potenzialmente, una delle grandi minacce del nostro tempo, come più volte hanno messo in luce sia gli analisti più avveduti, sia i principali Paesi del Sud globale.

Da un lato, politicizzare la questione della pace, unitamente all’adozione della politica dei “doppi standard”, dei “due pesi e due misure”, serve ad attivare i meccanismi propri della cosiddetta R2P, la “responsabilità di proteggere” che, aliena alla giustizia internazionale, diventa lo strumento di cui le potenze imperialistiche si servono per le loro campagne di guerra ed aggressioni “umanitarie” in giro per il mondo (dal Kosovo alla Libia, solo per citare due tra i casi più noti).

Dall’altro, strumentalizzare la questione dei diritti umani, impugnandone la bandiera in maniera selettiva, interessata e strumentale, serve alle medesime potenze per alimentare campagne di delegittimazione e mostrificazione del “nemico” di turno e supportare interventi e aggressioni in totale dispregio del diritto internazionale e dei principi di rispetto della eguaglianza sovrana delle nazioni, di libera autodeterminazione dei popoli e di non ingerenza nelle questioni interne dei singoli Paesi.

Tornando al Nobel per la Pace, sarà sufficiente dunque vedere alcune delle più recenti assegnazioni per avere chiara l’immagine di un premio che, con la pace, ha spesso ormai poco o nulla a che vedere se non la denominazione e le sincere intenzioni che accompagnano determinate candidature, e che spesso, invece, serve precisi scopi politici e propagandistici.

Negli ultimi anni sono stati premiati, per dire, Al Gore (2007), vicepresidente degli Stati Uniti quando questi lanciarono la campagna militare contro l’Iraq (1998) e la brutale aggressione contro la Jugoslavia (1999); Barack Obama (2009), presidente degli Stati Uniti e “Comandante in capo” nello svolgimento di ben sette guerre, le aggressioni in Siria, Libia, Iraq e Afghanistan, e i bombardamenti in Yemen, Somalia e Pakistan; Juan Manuel Santos (2016), già presidente della Colombia, del quale sarebbe sufficiente una rapida lettura anche di una semplice pagina Wikipedia per ricostruire fatti e carriera.

Per non parlare poi, a metà tra l’incredibile e il grottesco, del premio conferito alla Unione Europea nel 2012: la stessa Unione Europea che oggi si autodefinisce “complementare e interoperabile” con la Nato (non esattamente un’organizzazione umanitaria) e che adotta programmi ufficiali, anche solo in riferimento agli ultimi in ordine di tempo, come l’Agenda Readiness 2030 che, parole della Presidente della Commissione Europea, “mobiliterà fino a 800 miliardi di euro” in misure per la difesa (per il complesso militare e per la guerra) nonché “un piano paneuropeo preciso, strettamente coordinato con la Nato, su come procedere”.

Se dunque questa è la storia, l’attualità non può stupire. Nelle motivazioni del premio conferito a Maria Corina Machado (2025) se ne elogiano “l’instancabile lavoro nella promozione dei diritti democratici” e “la lotta per raggiungere una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia”.

Si tratta della stessa Maria Corina Machado che, il 21 marzo 2014, pur essendo parlamentare venezuelana, accettò l’incarico di “rappresentante supplente” di un altro Stato (Panama) presso l’Organizzazione degli Stati Americani, giungendo addirittura a richiedere, in quel contesto, un intervento straniero contro il Venezuela, motivo per il quale è naturalmente decaduta dalla carica di parlamentare ai sensi degli articoli 149 e 191 della Costituzione del suo Paese, la Repubblica Bolivariana del Venezuela (per chiarezza, immaginare un deputato o deputata italiana che, ponendosi come rappresentante di un altro Stato, si presenti ufficialmente in un consesso istituzionale internazionale a chiedere un intervento straniero contro l’Italia: nulla di sbagliato?).

E’ la stessa Maria Corina Machado che, come leader della formazione di estrema destra Vente Venezuela e capo della campagna elettorale del candidato sconfitto Edmundo González, in occasione delle ultime elezioni presidenziali nella Repubblica Bolivariana del Venezuela (28 luglio 2024), ha politicamente ispirato addirittura un tentativo di golpe, rifiutando di riconoscere il risultato delle elezioni e lanciando proclami come quello, riferito dal presidente dell’Assemblea Nazionale (il Parlamento venezuelano) Jorge Rodríguez, per cui il legittimo presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela sarebbe stato scalzato “solo con la forza”.

Per capire di cosa stiamo parlando, nelle giornate del tentato golpe, poi sventato, tra il 29 luglio e il 2 agosto, si sono avuti 25 morti e 192 feriti, di cui 97 appartenenti alle forze di sicurezza venezuelane.

Quanto alla presunta “dittatura venezuelana”, tutti sanno che si tratta di una ben singolare “dittatura”, nella quale si vota, le opposizioni, appunto, partecipano regolarmente alle elezioni e sono rappresentate nel Parlamento nazionale e nelle istituzioni locali.

Dal 1999 a oggi, da quando Hugo Chávez è arrivato al governo, si sono tenute in Venezuela 32 consultazioni elettorali di cui 30 vinte e 2 perse dal chavismo. Quella cui fa riferimento la motivazione del premio, “una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia”, in Venezuela c’è già stata: fu la vittoria alle presidenziali di Hugo Chávez del 6 dicembre 1998.

Riferimenti:

I Premi Nobel per la Pace: https://www.nobelprize.org/prizes/lists/all-nobel-peace-prizes

Le guerre di Obama, Il Post, 12 febbraio 2017: https://www.ilpost.it/2017/02/12/le-guerre-di-obama

Juan Manuel Santos, Wikipedia: https://en.wikipedia.org/wiki/Juan_Manuel_Santos

María Corina Machado forjó su camino a la exclusión política, Mision Verdad, 6 luglio 2023: https://misionverdad.com/memoria/maria-corina-machado-forjo-su-camino-la-exclusion-politica

L’avvertimento di von der Leyen: “Contro Ue guerra ibrida, rispondere a minaccia russa”, Adnkronos, 08 ottobre 2025: https://www.adnkronos.com/internazionale/esteri/lavvertimento-di-von-der-leyen-contro-ue-guerra-ibrida-rispondere-a-minaccia-russa_3mAoGM6BWGkfmOxLO4da34

Protestas de la oposición de extrema derecha venezolana han dejado un rastro de destrucción, TeleSur, 4 agosto 2024: https://www.telesurtv.net/protestas-de-la-oposicion-de-extrema-derecha-venezonala-han-dejado-un-rastro-de-destruccion

La Fiscalía de Venezuela confirma 25 muertos en las protestas contra resultado electoral, SwissInfo, 12 agosto 2024: https://www.swissinfo.ch/spa/la-fiscal%C3%ADa-de-venezuela-confirma-25-muertos-en-las-protestas-contra-resultado-electoral/86692383

Gianmarco Pisa, Sulla regolarità e la trasparenza delle elezioni nella Repubblica Bolivariana del Venezuela, Pressenza, 11 agosto 2024: https://www.pressenza.com/it/2024/08/sulla-regolarita-e-la-trasparenza-delle-elezioni-nella-repubblica-bolivariana-del-venezuela

Gianmarco Pisa, La conferma (anche) giudiziaria della vittoria di Nicolás Maduro alle elezioni presidenziali in Venezuela, Pressenza, 24 agosto 2024: https://www.pressenza.com/it/2024/08/la-conferma-anche-giudiziaria-della-vittoria-di-nicolas-maduro-alle-elezioni-presidenziali-in-venezuela

Fabrizio Verde, Il Nobel come arma di guerra ibrida: il curriculum (senza filtri) di Maria Corina Machado, l’Antidiplomatico, 10 ottobre 2025: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-il_nobel_come_arma_di_guerra_ibrida__il_curriculum_senza_filtri_di_maria_corina_machado/52961_62991

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Un premio Nobel che odora di petrolio

Alfredo Facchini (autore di Radisol)

Il Venezuela detiene le più vaste riserve di petrolio del pianeta. È impossibile prescindere da questo dato per comprendere i fatti e gli eventi che gravitano intorno al suo oro nero. In questo scenario, il Nobel assegnato a María Corina Machado appare – a chi è malizioso, come chi scrive – non tanto come un premio alla pace, quanto come un investimento simbolico.

In altre parole, un riconoscimento concepito per costruire un volto presentabile, spendibile, in vista di un futuro cambio di regime. Una nuova Juan Guaidó, ma con il sigillo morale dell’Accademia di Oslo.

María Corina Machado è tutto tranne che una figura “popolare”. Proviene da una delle famiglie più ricche di Caracas, legata storicamente agli ambienti imprenditoriali filo-statunitensi. La sua idea di “libertà economica” coincide con una privatizzazione selvaggia dell’economia venezuelana: banche, infrastrutture, compagnie minerarie e, soprattutto, PDVSA, il cuore pulsante della sovranità economica nazionale.

PDVSA, Petróleos de Venezuela S.A., è la compagnia petrolifera statale del Venezuela. Fondata nel 1976, dopo la nazionalizzazione dell’industria petrolifera, nacque come risposta a decenni di sfruttamento straniero da parte delle multinazionali angloamericane: Shell, Exxon, Mobil, Chevron, Gulf.

Dal 2017 le sanzioni statunitensi hanno tagliato fuori PDVSA dal sistema finanziario internazionale. Impossibile vendere liberamente il petrolio, sbloccare fondi, acquistare ricambi o tecnologia. Un assedio economico che ha fatto crollare la produzione: da oltre 3 milioni di barili al giorno negli anni ’90 a meno di 700.000 nei periodi più duri.

Le lobby filo-occidentali, con in testa María Corina Machado, chiedono da anni di privatizzare PDVSA e aprire il mercato agli investitori stranieri.

Tradotto: “solo il capitale privato può rilanciare la produzione”. La “transizione democratica” che propone è una restaurazione, dove il mercato – ovvero le corporation americane – tornano a controllare le fonti di energia.

Machado ha sostenuto apertamente le sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti, anche nei momenti più duri, quando mancavano medicine, cibo e carburante. È arrivata a chiedere un intervento militare straniero per “liberare il paese dalla dittatura di Maduro”.

La sua “pace”, dunque, corrisponde a quella formula usata decine di volte per giustificare invasioni, golpe e cambi di regime, dall’Iraq alla Libia. E Donald Trump ha già dichiarato più volte che il Venezuela è un “obiettivo strategico”: non per la democrazia, ma per riprendersi il petrolio che oggi gestiscono Cina e Russia.

È il vecchio schema: elevare un’oppositrice neoliberale a paladina dei diritti, creare il consenso mediatico internazionale, giustificare l’ingerenza o addirittura il colpo di Stato.

Da anni del resto il Comitato di Oslo è diventato un termometro dell’ideologia dominante: raramente premia chi mette davvero in discussione i poteri globali. Premiare Machado oggi equivale a legittimare un eventuale cambio di regime funzionale all’ordine occidentale. È un messaggio chiaro: la “pace” è accettabile solo se coincide con l’obbedienza a Washington e con l’apertura dei pozzi.

Come può definirsi una “pacifista” chi invoca le sanzioni e la forza armata contro il proprio paese? È il paradosso perfetto di un mondo in cui la guerra viene venduta come salvezza.

Personalmente, il Premio Nobel per la Pace l’avrei assegnato agli oltre duecento reporter sterminati a Gaza.

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1 Commento


  • Angelo De Marco

    era meglio darlo a Trump almeno è l’ originale. Al di là delle battute se dovessero dare un Nobel per la pace a tutte le opposizioni del mondo che secondo loro combattono governi dittatoriali ne dovrebbero dare 20/30 ogni anno. Il Nobel per la pace è ormai una farsa.

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