La notizia dell’accordo con cui le operazioni di TikTok negli Stati Uniti sarebbero passate a una cordata stelle-e-strisce aveva fatto credere a qualcuno che, dopo l’ondata di dazi e controdazi che ha segnato la politica economica mondiale dall’arrivo di Trump alla Casa Bianca, si fosse raggiunta finalmente un po’ di stabilità sui mercati.
Ma la guerra commerciale è una tendenza necessaria di questa fase di frammentazione del mercato mondiale, dovuta all’acuirsi della competizione globale e alla crisi dell’imperialismo occidentale sotto vari aspetti. E il presidente statunitense lo conferma con l’annuncio di nuove tariffe al 100% sui prodotti cinesi a partire dal primo novembre, da aggiungersi a quelle già in essere.
Ovviamente, l’origine di questa precipitazione è da imputare agli States. Martedì 7 ottobre una Commissione del Congresso ha pubblicato un rapporto nel quale viene rilevato che alcuni strumenti statunitensi per la produzione di semiconduttori, in virtù delle incongruenze delle regole osservate da Giappone e Paesi Bassi, arrivano comunque in Cina nonostante le proibizioni di Washington.
I legislatori statunitensi hanno perciò invocato divieti più ampi sulle attrezzature che possono in un qualche modo raggiungere il Dragone. Il quale, ovviamente, non ha potuto fare finta di nulla di fronte a questo ennesimo atto ostile e ha perciò deciso di ampliare i suoi controlli sulle esportazioni di terre rare e altri prodotti collegati giovedì 9 ottobre.
Pechino già vigila sulla vendita di alcuni elementi strategici, e qualche giorno fa ha dunque optato per aggiungere cinque nuovi elementi a una lista che ora elenca 12 minerali soggetti a restrizioni, oltre che varie attrezzature e tecnologie usate per l’estrazione e la raffinazione delle terre rare e la produzione di magneti.
In sostanza, le restrizioni costringono gli esportatori a richiedere le licenze specifiche, che in passato hanno creato un imbuto di richieste. La Cina ha affermato che faciliterà l’approvazione dei documenti in questione, ma intende respingere le domande relative al settore della difesa, e anche che esaminerà attentamente le domande relative a semiconduttori avanzati e a determinati tipi di intelligenza artificiale.
Del resto non sembra logico che un paese venda elementi chiave per la produzione di armi avanzate a chi, un giorno sì e l’altro pure, dichiara di volerle usare al più presto contro il venditore…
Inoltre, Pechino ha annunciato che dal 14 ottobre risponderà alle restrizizioni imposte ai propri mercantili da parte di Washington, facendo pagare 400 yuan per tonnellata alle navi riconducibili agli Stati Uniti. Si parla di imbarcazioni di proprietà di aziende, organizzazioni, privati o battenti bandiera statunitense, o ancora con il 25% o più del capitale posseduto da entità stelle-e-strisce.
Questa risposta agli atti di ‘bullismo commerciale’ avviati dall’amministrazione Trump sono stati colti al volo dal tycoon per annunciare le nuove tariffe al 100% dal prossimo mese. A suo avviso, è il Dragone che starebbe portando avanti “atti ostili“, e ha persino indicato come inappropriate e non casuali le comunicazioni di Pechino nello stesso tempo in cui veniva firmato l’accordo tra Hamas e Israele.
Insomma, è stata persino adombrata un’intenzione cinese di provocare un nuovo caos internazionale ora che Trump si vuole intestare la pace in Medio Oriente. Ovviamente, omette le azioni prevaricatrici messe in atto precedentemente dalla Casa Bianca. Le borse hanno reagito molto negativamente alla notizia, e la Commissione Europea sta valutando l’impatto delle nuove misure.
Le ripercussioni sono state importanti, però e soprattutto, anche sui dossier militari. Lo stesso martedì 7 ottobre in cui è stato pubblicato il rapporto statunitense che ha dato origine all’escalation commerciale, John Noh, Assistente Segretario alla Difesa per gli Affari di Sicurezza dell’Indo-Pacifico, ha tenuto un’audizione presso la Commissione per le Forze Armate del Senato USA.
Nel suo discorso, Noh ha affermato che intende accelerare le consegne di armi statunitensi a Taiwan e anche che l’arcipelago dovrebbe aumentare la propria spesa militare a un livello superiore al 10% del suo PIL (con tutto il guadagno che ne verrebbe al complesso militare- industriale statunitense).
Liu Pengyu, portavoce dell’ambasciata cinese a Washington, ha detto all’agenzia TASS che tali forniture belliche violano accordi precedenti, e che non faranno che aumentare le tensioni nella regione.
Tornando ai nuovi dazi, che essi vengano implementati nella loro interezza dipenderà da una tornata di confronti diplomatici, più o meno ufficiali, con i quali, infine, si andrà delineando il quadro degli scambi tra le due più grandi potenze mondiali. Ma bisogna dire pure che ormai le misure si vanno accumulando, in settori strategici, e The Donald ha già chiuso parzialmente al dialogo.
Tra due settimane Trump e Xi Jinping si sarebbero dovuti incontrare in Corea del Sud, al vertice dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC), organizzazione nata con lo scopo di favorire la cooperazione economica tra Asia e paesi del Pacifico. Il presidente USA ha detto che ora non sa se il confronto avverrà perché, a parer suo, “ora sembra non esserci motivo per farlo“.
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