In questi giorni ci sono stati alcuni eventi che hanno evidentemente irrigidito ulteriormente il quadro che, per ciò che riguarda la gestione delle frontiere europee, è stato denunciato da più parti e più volte: la UE è una gabbia che ha ‘esternalizzato’ a governi dal pugno di ferro, a milizie locali e a trafficanti d’esseri umani la gestione dei flussi migratori.
Ne guadagna non solo nel delegare il ‘lavoro sporco’ verso zone con meno occhi che possano stigmatizzare la sua politica sui confini, ma anche nel fatto che può ricevere solo la manodopera ricattabile e, a volte, anche ben formata, di cui ha bisogno, senza doversi accollare tutti i problemi che questa selezione tra masse di diseredati comporterebbe: paga qualcun’altro, e il gioco è fatto.
Esempio principe di questa politica è il memorandum d’intesa tra Italia e Libia, firmato nel 2017 dal governo piddino di Gentiloni, e di cui il fautore fu Marco Minniti, all’epoca ministro dell’Interno e oggi presidente della fondazione di Leonardo Med-Or. Il 2 novembre questo meccanismo si rinnoverà automaticamente, come già successo nel 2020 e nel 2023.
Nonostante le criticità, nonostante le condanne dell’opinione pubblica e di varie associazioni e organizzazioni, nonostante le mobilitazioni e nonostante la parte fondamentale che questo memorandum ha avuto nel creare dei lager dall’altra parte del Mediterraneo, l’accordo verrà rinnovato senza dibattito, perpetrando i crimini di cui la nostra classe dirigente è complice, in maniera bipartisan.
Ma il ruolo di apripista che ha avuto il governo italiano di centrosinistra su questo dossier è stato svolto con un mandante preciso: la UE, che da prima degli accordi siglati da Roma fornisce assistenza alla gestione delle frontiere libiche attraverso la missione European Union Border Assistance Mission (EUBAM).
Il rinnovo degli accordi con la Libia arriva in un frangente delicato. I dati sugli “attraversamenti irregolari” riportati per i primi 9 mesi del 2025 da Frontex, la controversa agenzia europea di controllo delle frontiere, parlano di un calo del 22%. Ma, allo stesso tempo, il Mediterraneo è rimasta l’area più complessa per la gestione dei flussi migratori.
Tra gennaio e settembre 2025 sono stati rilevati quasi 50.900 arrivi, il 2% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Sono la Libia e l’Algeria a preoccupare di più: dalla prima le partenze sono aumentate del 50%, dalla seconda sono stati registrati quasi i tre quarti dei rilevamenti effettuati quest’anno.
Bisogna ricordare che la Libia vive una complessa situazione interna, con riverberi chiari anche sulla diplomazia che le autorità europee cercano di promuovere. Il caso dell’espulsione della delegazione che vedeva presenti anche il ministro italiano dell’Interno Piantedosi e il Commissario europeo per le Migrazioni, Magnus Brunner, è decisamente esemplificativo.
Non a caso dal 14 al 16 ottobre una delegazione congiunta di funzionari libici provenienti da Tripoli e Bengasi (e dunque legati al governo non riconosciuto di Haftar) ha partecipato a una serie di incontri tecnici, prima presso la sede di Frontex, a Varsavia, e poi a Bruxelles, con la Direzione generale Affari interni (Dg Home) della Commissione europea.
Stando a quanto riporta Agenzia Nova, si tratta della prosecuzione di un percorso avviato già nei mesi scorsi: lo scorso febbraio delle delegazioni libiche sono già state ricevute a Bruxelles. Quest’ultima iniziativa segue, inoltre, una sessione di formazione congiunta sia per l’Est che per l’Ovest del paese, portata a termine a Taranto dalla missione aeronavale europea EuNavfor Med Irini, come si può leggere sul suo sito.
Se queste iniziative servono a riorganizzare l’esternalizzazione dei confini verso la Libia, per quanto riguarda l’Algeria, dove la situazione è altrettanto complessa, Bruxelles prevede più apertamente l’utilizzo della forza, attraverso Frontex. Ma ovviamente, per legittimarla agli occhi di chi ancora crede alle fandonie sulla ‘democrazia’ e sulla ‘tutela dei diritti umani’, viene tirata in ballo un’influenza russa sui flussi.
Secondo quel che dice Frontex, la riuscita della lotta al trasporto illegale di persone sul territorio marocchino ha portato allo “spostamento di operazioni sul territorio algerino“. Le informazioni dell’agenzia europea parlano di sempre più barche che riescono ad arrivare fino alle Baleari, con il rischio che tra i migranti si nascondano ‘criminali’. Abbiamo visto col caso Almasri che i criminali, in Europa, ci arrivano e se ne vanno tranquillamente in aereo, non sui gommoni.
Al di là di questo, Frontex si dimentica di dire che la maggiore solerzia di Rabat arriva dal riconoscimento avuto prima dalla Spagna poi dalla Francia rispetto alle sue mire sul Sahara Occidentale. Se il Marocco è stato un appoggio fondamentale per Israele in tutto il Medio Oriente e l’Africa mediterranea, l’Algeria ha invece spinto sul riportare la questione palestinese al centro dell’agenda della Lega Araba e della diplomazia internazionale.
All’inizio dell’estate sembrava che Algeri fosse più incline a concordare con la UE le proprie politiche migratorie, ma di fronte al rifiuto delle autorità algerine di riaccogliere alcuni suoi cittadini a cui era stato ordinato di lasciare la Francia, alla fine l’Eliseo ha risposto col pugno duro: a inizio agosto 2025 il presidente francese Emmanuel Macron ha chiesto al suo governo di inasprire l’obbligo dei visti sui diplomatici algerini.
Gli arrivi dall’Algeria sono, dunque, improvvisamente aumentati. Ma tacciare tutto ciò come un utilizzo ‘armato’ dei migranti oscura chi è il responsabile, in primis, di questi flussi. Significa legittimare le politiche imperialiste europee che per anni e anni hanno impoverito e rapinato milioni di persone in giro per il mondo, e in particolare in Africa, se si pensasse di accusare Algeri, in sostanza, di non fare da cane da guardia di chi scappa da povertà e guerra.
Semplicemente, di fronte a una massa di diseredati, non impedisce la ricerca di condizioni di vita migliore al di là del Mediterraneo, non si associa a chi decide di eseguire il ‘lavoro sporco’ per conto di Bruxelles e partecipare così alla ‘invisibilizzazione’ di cosa comportano le scelte occidentali per i paesi sottoposti a speculazione e destabilizzazioni continue.
E allora, la risposta europea non si è fatta attendere su un piano più nettamente ‘militare’, come ormai è tutto il suo indirizzo strategico. La testata digitale Intelligence Online, ripresa poi da Formiche.net, riporta che a inizio ottobre si è svolta un’esercitazione di tre giorni che ha coinvolto la polizia federale belga e il Servizio di sicurezza dello Stato (Vsse) di Bruxelles, e anche la Direzione generale per gli stranieri (Dgef) e la Dgsi, l’intelligence interna francese.
Le autorità franco-belghe avrebbero lavorato su scenari pensati dalla European Integrated Border Management Intelligence Division, la sezione di analisi di Frontex. L’obiettivo era quello di verificare la capacità di risposta dell’UE a un’ondata migratoria usata come arma di ‘guerra ibrida’. Usando come scusante anche la questione della ‘flotta ombra russa’, è interessante esaminare la situazione ipotizzata.
Lo scenario parte da una serie di esplosioni in centrali nucleari algerine, la cui responsabilità è attribuita al ramo magrebino di al-Qaeda. Ma, non si capisce bene per quale motivo, gli attacchi sarebbero stati orchestrati da Mosca. L’obiettivo sarebbe quello di generare panico, instabilità, contaminazione e la fuga di migliaia e migliaia di persone verso il Vecchio Continente.
Vanno sicuramente sottolineati un paio di temi. Il primo è che l’Algeria ha due reattori attivi per scopi di ricerca, a Draria e Birine-Ain, ma nessuna centrale per la produzione di energia elettrica. Da anni, però, si parla di progetti per sfruttare l’atomo da avviare tra il 2025 e il 2030, e c’è già una dichiarazione d’intenti risalente al 2016 tra la commissione algerina per l’energia atomica e, guarda caso, la russa Rosatom.
Il secondo tema è, dunque, perché la Russia dovrebbe essere interessata a destabilizzare un paese con il quale c’è la possibilità di chiudere accordi strategici sull’energia, e che si è dimostrato ostile a un allineamento supino alle politiche dei guerradondai europeisti. È evidente che non ci sarebbe nessun guadagno in un’azione del genere da parte del Cremlino. Ce l’avrebbe, invece, Bruxelles, e ciò allunga ombre inquietanti sullo scenario usato per l’esercitazione.
In pratica, viene messa alla prova la capacità di gestire i flussi migratori come fenomeno appartenente alla sfera della sicurezza, con una crisi di cui l’origine viene posta in capo alla Russia, ma tratteggiando, sicuramente non per coincidenza, un caso in cui il paese colpito è uno di quelli che in questo momento si presenta tra i più riottosi al di là del Mediterraneo, e che per di più potrebbe a breve stringere altri rapporti proprio con Mosca.
In una simulazione simile fatta nel Mare del Nord, con al centro i rifugiati ucraini, è stata valutata la capacità di filtrare 20 mila arrivi al giorno, distinguendo tra profughi e possibili agenti russi. Un altro scenario che sembra quasi prevedere una ulteriore escalation sul fronte orientale. Ormai i vertici di Bruxelles non conoscono altra soluzione che la guerra, e stanno sperimentando la reazione a tutti i possibili scenari. Spetta a chi vuole rompere con questo ciclo di morte impedire che li mettano in pratica per davvero.
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