Che ci sia un’ondata repressiva senza precedenti nel Regno Unito, per cancellare il dissenso verso la complicità del governo con la politica genocidiaria di Israele, è chiaro a tutti ed è stato evidenziato anche dal nostro giornale. Da qualche settimana, in realtà, ad aver sollevato l’allarme sulle centinaia di arresti è stato anche Michael O’Flaherty, Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa.
Il salto di qualità nelle intimidazioni di Downing Street si è avuta questa estate, quando la rete di attivisti Palestine Action è stata inserita nella lista delle organizzazioni terroristiche. Da allora, chiunque abbia anche solo esposto un cartello con il quale condannava la messa al bando di quella realtà, in virtà della normativa britannica, è stato sistematicamente arrestato dalla polizia.
La misura della crisi democratica innescata da questa pesante limitazione dell’espressione del dissenso è plasticamente mostrata da presidi in cui i manifestanti sono stati arrestati a centinaia. E tutto ciò non è passato inosservato nemmeno a un organo che di certo non può essere tacciato di essere un braccio di quelle ‘autocrazie’ che tanto spesso alle ‘democrature’ occidentali piace stigmatizzare.
O’Flaherty ha infatti inviato una lettera ufficiale alla ministra dell’Interno di Londra, Shabana Mahmood, sentondosi in dovere di aggiungere qualche specifica alle indicazioni date dopo una precedente visita svoltasi a inizio luglio. Proprio la proscrizione di Palestine Action, “che è stata criticata da esperti ONU e dall’Alto commissario per i diritti umani dell’ONU” ricorda il suo omologo del Consiglio d’Europa, ha fatto precipitare la situazione.
Il funzionario europeo sottolinea anche che “la legislazione nazionale volta a contrastare il ‘terrorismo’ o l”estremismo violento’ non deve imporre alcuna limitazione ai diritti e alle libertà fondamentali, incluso il diritto alla libertà di riunione pacifica, che non sia strettamente necessaria per la tutela della sicurezza nazionale e dei diritti e delle libertà altrui“, cosa che invece è avvenuta in maniera sistematica in Gran Bretagna.
Ma c’è di più. O’Flaherty pone sotto osservazione l’intero apparato legislativo britannico riguardante le proteste, dato che solleva domande in relazione alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. “L’adozione del Police Crime, Sentencing and Courts Act 2022 e del Public Order Act 2023 – scrive nella lettera – continua a consentire alle autorità di imporre limiti eccessivi alla libertà di riunione e di espressione, con il rischio di forme eccessive di sorveglianza da parte delle forze dell’ordine“.
Il Commissario del Consiglio d’Europa chiede, dunque, che Londra proceda a una “revisione completa della conformità dell’attuale legislazione sulla sorveglianza delle proteste con gli obblighi del Regno Unito in materia di diritti umani“. Questa lettera è stata inviata lo scorso 23 settembre, ma da allora la ministra britannica Mahmood non solo non ha fatto nulla, ma ha persino annunciato il peggioramento di tale quadro normativo.
Infatti, pochi giorni fa, la responsabile dell’Interno ha espresso la volontà di imporre nuove restrizioni alle proteste, attraverso le quali la polizia potrà imporre agli attivisti di modificare il luogo di una manifestazione se la frequenza di particolari proteste in particolari luoghi abbia portato a disordini.
Se per disordini si intende l’arresto in massa di persone pacificamente sedute per terra, che tengono un cartello opponendosi alla messa al bando di Palestine Action, si capisce come questo tipo di provvedimento avrà un effetto liberticida sul diritto a manifestare. In pratica, ogni luogo sensibile e di governo diventerebbe proibito al dissenso. Con buona pace di chi si fa difensore della putrescente ‘democrazia’ occidentale.
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