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Ambasciatore del Sudan a Bruxelles: “smettete di fornire armi che alimentano la guerra”

Il 17 novembre la testata statunitense Politico riporta le parole ottenute dall’ambasciatore del Sudan presso la UE, Abdelbagi Kabeir, il quale ha denunciato il contributo che, con le proprie armi, i paesi europei stanno dando alla continuazione della guerra civile in corso nel paese africano.

Nemmeno due settimane fa i compagni del Sudan Liberation Movement hanno tenuto una conferenza stampa presso il circolo Gap di Roma, dove hanno denunciato come lo scontro in corso tra il governo e le Rapid Support Forces (RSF) risponda a una logica di lotta tutta interna a una classe dirigente piegata agli interessi imperialistici occidentali.

Le parole del rappresentante ufficiale di Khartoum presso Bruxelles, dunque, vanno prese con le pinze, con la consapevolezza che parla a nome di una parte coinvolta in un conflitto di cui i costi più terribili li sta pagando la popolazione. Ma è comunque utile sottolineare la denuncia della partecipazione europea a quello che è un altro genocidio.

Il diplomatico ha parlato del traffico d’armi che collega l’Europa con gli Emirati Arabi Uniti. Lo scorso anno Amnesty International aveva individuato sui campi di battaglia sudanesi dei veicoli per trasporto truppe prodotte dagli EAU in Sudan, ma equipaggiati anche con sistemi francesi.

Lo scorso aprile un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha sollevato preoccupazioni sui legami tra il paese arabo e le armi che sono state utilizzate in Darfur dalle RSF. Questi dubbi sono stati provati e riprovati negli ultimi mesi, palesando una evidente violazione dell’embargo sulla vendita di armi che da lungo tempo riguarda il Sudan.

Gli Emirati hanno ovviamente negato ogni coinvolgimento. Intanto, un’inchiesta di France24, risalente sempre ad aprile, ha confermato anche la presenza, nel paese africano, di munizioni prodotte in Bulgaria, passate sempre attraverso gli Emirati fino alle mani dei combattenti delle RSF.

Inoltre, il mese scorso anche il Regno Unito ha confermato che alcune sue attrezzature militari sono state ritrovate in Sudan. Riferendosi nello specifico alla UE, Kabeir ha detto che andrebbe favorito un equilibrio morale a quello commerciale. Ovviamente, il diplomatico di Khartoum ha anche chiesto che vengano revocate le sanzioni contro le Forze Armate Sudanesi, e ha anche minimizzato le loro violenze, definendoli “incidenti” che sarebbero isolati.

Nonostante l’evidente interesse in uno scontro in cui le ragioni delle classi subalterne non sono rappresentate da nessuno, la complicità europea in un ennesimo crimine contro l’umanità è indisputabile.

Il presidente del Consiglio Europeo António Costa ha visitato Abu Dhabi a fine ottobre, definendo gli Emirati Arabi Uniti “un partner importante e affidabile per l’UE: per la prosperità, la stabilità e la sicurezza delle nostre regioni e non solo“. Il riferimento al nodo del Mediterraneo allargato è chiaro.

La Commissaria per il Mediterraneo, Dubravka Šuica, dovrebbe recarsi nel Golfo Persico il mese prossimo. Kabeir ha sottolineato che “ciò che accade nell’Africa subsahariana, si vede nel Mediterraneo“, con un evidente avvertimento rispetto ai risvolti che la crisi sudanese avrà in relazione ai flussi migratori.

Per quanto riguarda l’Italia, ai tempi di Matteo Renzi era stato firmato un memorandum allora segreto per il contrasto all’immigrazione irregolare. Come è successo con la Libia, i fondi erogati dalle casse italiane sono finite a trafficanti di essere umani, che rappresentano lo stesso problema che la classe politica dice di voler combattere.

Solo un sostegno internazionalista coerente con le ragioni della fine del conflitto e dell’autodeterminazione del popolo sudanese, libero dalle influenze occidentali, può essere un viatico alla pace.

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