La storiella raccontata dalle classi dirigenti europee – un'”Europa” paladina dei diritti e una UE garante della pace – è ormai insostenibile da tempo. A dare l’ennesima picconata a questa propaganda spicciola è arrivato il voto che si è svolto il 26 novembre tra gli scranni del Parlamento Europeo: le limitazioni sugli investimenti per armamenti controversi sono ridotte e ristrette.
Da mercoledì, sotto l’etichetta ESG, cioè Environmental, Social, and corporate Governance, potranno essere considerate anche armi incendiarie, munizioni all’uranio impoverito e persino armi nucleari. È bastato trasformare la parola “controverse” presente nella legislazione europea in “proibite“.
La Commissione Europea ha infatti proposto che questa definizione, considerata poco chiara, dovesse essere sostituita, “perché i trattati e le convenzioni internazionali pertinenti di cui gli Stati membri sono parte non fanno riferimento ad armi controverse, ma piuttosto ad armi proibite“.
Tra le seconde ci sono solo quattro tipi di armi: le armi chimiche e quelle biologiche, le mine antiuomo e le bombe a grappolo. Invece di approfittarne per imporre una legislazione più stringente per i paesi UE, come avrebbe senso per chi si professa strenuo difensore dei diritti umani, è stato fatto il contrario.
Con la scusa di introdurre una chiarificazione e una semplificazione, l’esecutivo di Bruxelles ha nei fatti limitato la propria contrarietà ad armamenti che sono già proibiti dai trattati internazionali firmati dai membri UE, mentre ha ampliato il parco di armi che possono ricevere finanziamenti. E per di più, gli ha dato pure la medaglietta di “armi green ed etiche“.
La transizione verde, ma anche il concetto contraddittorio di “investimenti etici” – in regime capitalistico, si intende – sono stati piegati verso una piena economia bellica da anni. Basti pensare che, secondo un’analisi di Bloomberg alla fine della scorsa estate, il numero di fondi azionari ESG esposti verso le filiere delle armi nucleari è aumentato di oltre il 50% dall’intervento russo in Ucraina.
Per questo risulta strumentale l’opposizione, a Strasburgo, dei gruppi dei Socialisti e Democratici e dei Verdi/EFA. Non si parla di un colpo di mano promosso dai Popolari Europei insieme ai fascisti (anche se, alla conta dei voti, è successo proprio questo: 392 contrari, 236 favorevoli e 34 astenuti all’obiezione promossa anche dalla Sinistra Europea), ma bensì di una tendenza alla guerra solidificata da tempo.
Infatti, appena il giorno prima, il 25 novembre, uno schieramento trasversale che ha coinvolto anche i socialdemocratici e i verdi (esclusi quelli spagnoli e italiani, bisogna riconoscerlo) ha approvato lo European Defence Investment Programme (EDIP), il primo programma concreto per un’industria europea della difesa. 457 sono stati i sì, 148 i no e 33 gli astenuti.
L’EDIP stanzia 1,5 miliardi di euro nei prossimi due anni per “rafforzare la base tecnologica e industriale della difesa in Europa e a potenziarne le capacità di difesa“, si legge sul sito italiano del Parlamento Europeo. L’obiettivo è quello di favorire l’integrazione tra le filiere europee e il “buy European“, per una maggiore autonomia rispetto alle forniture statunitensi.
I progetti finanziati dall’EDIP devono coinvolgere almeno quattro membri UE, e il valore dei componenti provenienti da paesi esterni non potrà superare il 35% dell’ammontare complessivo. Inoltre, 300 milioni saranno destinati direttamente al sostegno dell’industria militare ucraina, puntando a inserire anch’essa nelle filiere europee. Ci sono poi altre misure per favorire il sostegno anche a piccole e medie imprese integrate nel complesso militare-industriale.
Restrizioni al diritto al dissenso, riarmo, retoriche guerrafondaie, orgogliosa rivendicazione di un suprematismo riassunto nella formula della contrapposizione tra “giardino” e “giungla“. Ora arriva anche il via libera all’uso di armi devastanti, criminali, dagli effetti terribili per i territori e i civili. Questa è la UE, e l’unica UE possibile, perché è proprio per la competizione e per lo scontro internazionale che è stata ideata.
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