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Sacconi sul ricorso: «Se Fiat perde, cambiamo la legge»

Pur parlando davanti al Coni, ieri mattina, le sue ossessioni si sono fatte egualmente strada e ha quindi parlato della Fiat e del «modello Pomigliano», che il 18 di questo mese inizierà ad essere esaminato davanti a un giudice del Tribunale di Torino. La causa è stata intentata dalla Fiom per il mancato rispetto della normativa sulla «cessione d’azienda» e per «comportamento antisindacale». Sul primo punto sembrano esserci pochi dubbi: per aggirare i contratti nazionali esistenti (ben due!) il Lingotto ha scelto di costituire una newco per ogni stabilimento (Pomigliano, Mirafiori, ex Bertone, ecc) che non entrava in Confindustria e «ri-assumeva» dentro le fabbriche solo gli operai che accettano individualmente di «dimettersi» da Fiat e rinunciare ai diritti pregressi. Stessi operai, stessa fabbrica, stesso prodotto (automobili con il marchio Fiat); persino la società è diversa solo nel nome perché mantiene le stesse persone nei consigli di amministrazione. Insomma, un finto «trasferimento d’impresa», una vera truffa.

La domanda che si fanno gli addetti ai lavori è semplice: cosa succederà – dopo l’estate – se il giudice dovesse riconoscere le ragioni della Fiom e condannare Fiat? A termini di legge il «contratto Pomigliano», che nel frattempo da «eccezione irripetibile» è diventato il «contratto nazionale dell’auto», perderebbe qualsiasi validità. Lasciando alla Fiat due scelte: rientrare in Confindustria e applicare uno dei contratti dei metalmeccanici in vigore, oppure fuggire a gambe levate dall’Italia (che sembra essere il suo vero «progetto strategico», visto che fin qui – dopo un anno – il «piano industriale» sembra ancora un segreto di stato. Dopo aver inchiodato l’Italia a schierarsi pro o contro il suo «modello», insomma, per Marchionne sarebbe un disastro politico, comunicativo e imprenditoriale.

A questo punto sorge l’inesausto genio di Sacconi: se quell’accordo – siglato con un voto sotto ricatto e, nonostante questo, passato per il rotto della cuffia – risulta illegale secondo la legge attuale, che problema c’è? Cambiamo la legge, in modo anche retroattivo (illegalità doppia?), pur di «garantire la piena efficacia di quegli accordi». Aggiungendoci un tocco tutto personale: «perché il contratto aziendale è riconosciuto in modo crescente nei paesi industrializzati come quello più idoneo a garantire la crescita delle imprese». Resta il profilo di incostituzionalità in alcuni punti di quegli accordi (là dove inibisce il diritto di sciopero), ma di questo – forse – si occuperà più in là.

Maurizio Landini, sgretario generale Fiom, dalla Germania – a proposito di «modello tedesco» – ha mandato a dire di trovare «singolare che un ministro pensi che, se un tribunale dà torto a un’azienda facendo rispettare le leggi italiane ed europee, lui è pronto a cambiare quelle leggi. C’è l’impressione che sia un governo così abituato a fare leggi ad personam da trovare normale farne anche una ad aziendam. Oltretutto mi sembra anche un’indebita pressione sui giudici».

Visto che c’era, Sacconi ha anche anticipato il segreto di Pulcinella: la prossima settimana Marcegaglia, Bonanni, Angeletti e «complici» minori si vedranno per sottoscrive l’avviso comune» che cambia le regole della rappresentanza sindacale, affidandola in esclusiva proprio ai «complici». La Cgil – chiamata a fare l’ostaggio – ovviamente non ci starà. La domanda però resta: cosa sta facendo per uscire da questa morsa?

 

da “il manifesto” dell’11 giugno 2011

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