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La pulizia etnica formato Fiat

Melfi, gli audio che scottano: «Pulizia etnica contro la Fiom» 15 luglio 2011

 

Genova – Il giorno dopo la sentenza che ribalta la prima decisione sui tre licenziamenti alla Fiat di Melfi e li considera legittimi, compaiono le motivazioni che hanno indotto il giudice del lavoro ad accogliere il ricorso dell’azienda. Ma si continua a parlare delle rivelazioni emerse alla vigilia, con le registrazioni che uno dei tre operai licenziati ha messo a disposizione di alcuni organi di informazione. Registrazioni che Giovanni Barozzino ha eseguito di nascosto dagli interlocutori di turno e che sembrano dare l’idea di un piano preordinato per eliminare del tutto o in parte la rappresentanza della Fiom, che, come è noto, ha contrastato finché ha potuto la linea della Fiat di derogare dal contratto nazionale. In una di queste registrazioni si parla addirittura di «pulizia etnica».

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA
La notte tra il 6 e il 7 luglio 2010, nello stabilimento di Melfi (Potenza), l’azione dei tre operai licenziati dalla Fiat «è stata illegittima, in relazione allo specifico fine di determinare materialmente l’interruzione dell’attività produttiva»: la «conseguenza del comportamento illegittimo» è stato «il grave danno economico subito dall’azienda (circa 15 auto non prodotte)». Sono questi alcuni dei passaggi più importanti delle motivazioni depositate dal giudice del lavoro di Melfi, Amerigo Palma, che ieri ha accolto il ricorso della Fiat sul reintegro di Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli.

Il giudice del lavoro ha escluso «l’antisindacalità del licenziamento» deciso dalla Fiat poichè «il comportamento dei tre lavoratori non è riconducibile all’esercizio del diritto di sciopero», in quanto «non si è limitato all’attività di persuasione», ma «ha posto in essere atti concreti per impedire il funzionamento dell’organizzazione aziendale». Nelle motivazioni della sentenza è stato anche evidenziato che «il tempo in cui si è avuto il blocco della produzione, riconducibile alla condotta esclusiva di Barozzino, Lamorte e Pignatelli è stato tutt’altro che trascurabile, circa dieci minuti, tale da cagionare la mancata produzione di circa 15 auto».

L’atteggiamento dei tre operai, nella notte tra il 6 e il 7 luglio, «è stato di sfida e di minaccia», poichè due di loro (Barozzino e Lamorte) «coscientemente persistevano» davanti al carrello, per «impedirne il transito», e il terzo (Pignatelli) «addirittura vi si portava deliberatamente», mentre altri manifestanti «una volta resi consapevoli, ai primi richiami, della loro posizione abnorme, decidevano di spostarsi». È questo uno dei motivi che ha permesso «al Tribunale di ritenere che» la Fiat «non abbia posto in essere nessuna obiettiva disparità di trattamento per l’individuazione dei lavoratori da licenziare»: il giudice, inoltre, si dice «certo» che i tre operai «abbiano colto la portata di quanto veniva loro più volte ufficialmente evidenziato se, addirittura, Barozzino replicava rispondendo `se qui non possiamo stare, dicci tu dove dobbiamo andare´, e diceva anche `che, ti si e´ incantato il disco?’, ironicamente sostenendo che, implicitamente, che non era necessario che» si ripetesse «più volte la stessa contestazione», a uno dei responsabili del controllo della linea. E, dopo «le prime contestazioni ufficiali» anche Pignatelli, «che era in posizione defilata» ha deciso di «raggiungere Lamorte e Barozzino per porsi, a braccia conserte, davanti al carrello».

Da parte dei manifestanti, peraltro, nella notte tra il 6 e il 7 luglio 2010, «non c’è stata nessuna premeditata intenzionale volontà di sabotaggio», nonostante «quanto lasciato intendere da alcune dichiarazioni pubblicate su due articoli comparsi su un noto settimanale nazionale» (Panorama, ndr). Il giudice del lavoro non ha quindi ritenuta «premeditata» l’azione dei tre operai dello stabilimento di Melfi (Potenza), «almeno volontariamente», ma il blocco del carrello «potrebbe essere avvenuto verosimilmente per colpa, ossia per contatto inconsapevole di qualcuno, data la concitazione degli eventi». Secondo il Tribunale, però, «non trova fondamento» la tesi della Fiom secondo cui «la punizione dei soli tre operai» è «finalizzata a influire sul futuro svolgimento della lotta» cioè a incidere sui futuri rapporti sindacali: non c’è stato quindi, da parte della Fiat, «un progetto aziendale teso a reprimere l’attività sindacale», e la Fiom «non ha fornito adeguata prova di tale tesi».

LE REGISTRAZIONI
Giovanni Barozzino, dopo il licenziamento, ha girato parecchio con un registratore in tasca e si è rivolto a colleghi e ad altri delegati sindacali (lui è della Fiom). In particolare colpisce il colloquio con un collega della Fismic, un sindacato molto vicino alla linea aziendale.

L’audio è ascoltabile e dura 20 minuti, ma la parte più interessante la potete seguire dopo il minuto 12.

In un altro colloquio, con un collega della Uilm, a Barozzino viene detto che il funzionario che procedette materialmente al suo licenziamento sarebbe stato pagato con 5 mila euro per ogni azione di killeraggio a danno dei colleghi. Circostanza tutta da verificare.

Anche questo audio, pur di pessima qualità, è ascoltabile.

 

:«Vogliono fare pulizia etnica»

«Quello è pagato per ogni licenziamento»

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