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Irisbus occupata

NAPOLI Due giorni di assemblea permanente, cinquecento operai che chiedono di entrare a lavorare ma il servizio di vigilanza aziendale li respinge. Ieri i lavoratori della Irisbus di Flumeri, sito Fiat dell’avellinese, hanno dovuto chiamare i carabinieri per tornare nello stabilimento che, unico in Italia, produce autobus. La cassa integrazione straordinaria (350 euro in busta paga a luglio) sarebbe dovuta terminare il 29 agosto. Ma al rientro hanno trovato una brutta sorpresa: il Lingotto vuole cedere il ramo d’azienda al molisano Massimo Di Risio (interessato anche a rilevare lo stabilimento di Termini Imerese), patron della Dr, produttrice di suv assemblati con componenti cinesi. Lunedì si decideranno nuove forme di lotta, martedì adesione in massa allo sciopero Cgil che avrà il corteo provinciale proprio a Grottaminarda, nei pressi dell’insediamento industriale. Due giorni di incontri a Roma, martedì e mercoledì scorso, presso il ministero dello Sviluppo economico sono serviti solo a far salire la tensione: «Il ministro Paolo Romani non lo abbiamo mai visto – spiega il segretario provinciale della Fiom, Sergio Scarpa – indaffarato a passare da un incontro separato a un altro, con la Fiat, i sindacati nazionali, le istituzioni locali, per tessere la sua opera di divisione. Lo scopo era assecondare i diktat di Sergio Marchionne facendoci sottoscrivere la cessione del ramo d’azienda, sollevando la politica locale e nazionale dalle proprie responsabilità. Unica ‘concessione’, per indorarci la pillola, la proroga di 30 giorni». Ma a Flumeri gli operai e persino i rappresentati sindacali delle sigle di solito accondiscendenti con governo e Lingotto (dalla Cisl alla Uil, all’Ugl) sono compatti e, piuttosto che firmare, hanno proposto di far rilevare l’azienda dagli operai: «Tanto Di Risio gli autobus non li farà mai. Abbiamo saputo che i suoi dipendenti molisani stanno ancora aspettando gli stipendi di giugno e luglio». L’ex fabbrica Iveco conta settecento lavoratori diretti e settecentododici impiegati nell’indotto, il timore molto fondato è che si proceda a una dismissione, che significherebbe cancellare il 50% dell’attività produttiva dell’avellinese. I piani Fiat in discussione prevedono la cessione di stabilimento e dipendenti all’impresa molisana, incluso 1 milione e 200 mila metri quadrati di suolo, praticamente una cittadella, più 20 milioni cash. «Un affare – prosegue Scarpa – per Di Risio che può scegliere se dismettere, incassando ulteriori soldi dalla vendita di attrezzature e terreno, oppure produrre suv, attività con cui però al massimo potrà assorbire duecento lavoratori senza nessun futuro per quelli dell’indotto. La cosa interessante è che il Lingotto ci butta via tenendosi però il marchio». Fiat Industrial possedeva quattro impianti siglati Irisbus per produrre pullman: chiuso quello spagnolo di Barcellona, sembra toccare adesso alla Campania, preferendo tenere in piedi i due in Francia e Repubblica Ceca. «L’Europa impone l’ammodernamento dei mezzi per il trasporto pubblico – spiega ancora Scarpa -, che non possono superare i tredici anni di attività. In Italia già oggi 20 mila autobus dovrebbero essere messi a ricambio. Prima o poi gli enti saranno costretti a far partire i bandi per le forniture e allora, nel mercato protetto italiano, di sicuro la Fiat si porterà a casa gli appalti che girerà poi alle fabbriche estere». Non solo l’azienda, anche la politica è sotto accusa. Innanzitutto il governo che, secondo i sindacati, si piega alle decisioni di Marchionne senza fare una piega, anzi adoperandosi per compiacerlo, ma anche perché con le decisioni in fatto di politica economica sta letteralmente strozzando il settore. Una prima volta perché non ha avuto il coraggio di stanziare risorse per il rinnovo del parco autobus, una seconda perché, con i continui tagli agli enti locali, ha bloccato ogni iniziativa anche a livello provinciale e regionale, al punto che, ad esempio, in Campania le aziende pubbliche non hanno neppure i pezzi di ricambio per vetture ormai obsolete. Per capire la portata del tracollo del mercato basta qualche cifra: nel 2010 lo stabilimento avellinese ha prodotto circa centosette esemplari, nel 2011 intorno ai quaranta, su una capacità produttiva di settecento. da “il manifesto” del 3 settembre 2011

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