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Tiburtina: né giustizia, né verità, né sicurezza…

“Che paese di merda”. Lo sconsolato commento del cameraman di una tv locale toscana è forse la migliore sintesi di una giornata che definire vergognosa è veramente poco. “Eccoli i poteri forti che Monti dice di non conoscere, stanno chiusi dentro la Stazione protetti da centinaia di poliziotti”. La signora arrivata da Viareggio non nasconde la sua rabbia, dal megafono pacata ma decisa si rivolge ai celerini che sbarrano il passo ai manifestanti: “Qualcuno di voi sarà pure onesto ma vi siete scelti veramente un mestiere di cacca…”. Dopo due ore di interminabile attesa una quarantina di parenti delle vittime della strage di Viareggio spingono di nuovo sui cordoni. Pretendono di passare, non si capacitano che il loro dolore non possa trovare visibilità in un evento che evidentemente non va disturbato in nessun modo. “Non abbiamo armi, siamo pacifici, vogliamo solo entrare nella stazione ed esporre le foto dei nostri figli, delle nostre mogli, dei nostri fratelli, delle nostre madri bruciati vivi quel 29 giugno”. E’ proprio questo il problema: le foto. La memoria sembra il peggior nemico del meccanismo scenografico che va in onda a poche centinaia di metri. Quelle gigantografie che i sopravvissuti alla strage si portano attaccate al collo o issate su un bastone di legno possono ingenerare in chi le vede un moto di emozione, quantomeno di compassione. Di interesse. Inaccettabile… “Evidentemente i vip dentro hanno lo stomaco debole e la coscienza sporca”.

I familiari spingono, dietro di loro si accalcano una ventina di fotografi, cameraman e giornalisti, gli obiettivi puntati sul cordone di celerini che, indossati di nuovo caschi e scudi, respinge in malo modo gli inermi viareggini. Tra di loro c’è pure la senatrice Manuela Gramaiola. E’ del PD, ma è viareggina, ed è venuta a dare man forte ai suoi concittadini in quella che forse immaginava sarebbe stata una giornata più tranquilla. E invece i celerini spintonano pure lei, la strattonano. Un dirigente se ne accorge e richiama i suoi: “Attenzione che è una senatrice”. Come a dire: gli altri menateli pure, ma lei no.

Per ben tre volte durante la mattinata, ogni volta che i manifestanti hanno provato ad avvicinarsi al cordone di poliziotti e al muro di camionette schierate a chiudere il piazzale svuotato degli autobus, i viareggini e i No Tav sono stati respinti in malo modo, è volata pure qualche manganellata. ‘Menate pure i morti adesso?’ urla una signora in lacrime. E’ partita con gli altri familiari e componenti del Comitato Verità e Giustizia alle 4 del mattino, da Viareggio. Insieme a loro alcuni giornalisti della stampa locale ed il ferroviere Riccardo Antonini, che l’ad di Trenitalia ha fatto cacciare perché sostenendo il comitato delle vittime ‘ledeva l’immagine dell’azienda’. In prima fila c’è anche un altro ferroviere licenziato, Dante de Angelis. A contestare l’inaugurazione truffa dell’Alta Velocità intorno alle 10 arrivano anche una quarantina tra no Tav, giovani di alcuni centri sociali e studenti universitari. Sono partiti dalla Sapienza poco dopo le nove, tallonati da Digos e Polizia. Alcuni piemontesi, alcuni romani, età media bassa e qualche bandiera no Tav. Si uniscono ai viareggini e spingono, gridano slogan. Spinti via dopo un po’ decidono, visto che non si passa, di tornarsene verso la Sapienza, approfittandone per volantinare in mezzo alla strada sul perché contestano una ‘cattedrale nel deserto’ costata assai cara. Mentre se ne tornano verso Piazzale Verano vengono circondati dalla Polizia, il funzionario gli spiega che se vogliono uscire dall’area assediata attorno alla Stazione si devono fare identificare. I no Tav rispondono che non se ne parla, e dopo un po’ di tira e molla riescono a sfilarsi ed a tornare all’interno della città universitaria. Anche i viareggini, mentre viaggiavano in pullman verso la capitale, erano stati bloccati dalle macchine della Digos che ha preteso di scortarli fino allo snodo romano.

Dopo ore passate a urlare slogan, a spiegare le loro ragioni ai giornalisti e ai funzionari di Polizia, dopo mezzogiorno i cordoni improvvisamente si aprono. Dentro la stazione la festa è finita, ma i familiari con magliette e striscioni corrono – tra due ali di celerini tesi come corde – vogliono almeno mettere piede nella Cattedrale dell’alta velocità. Ma dopo neanche centro metri, arrivati davanti al piazzale dal quale si accede alla stazione dei treni e a quella della metropolitana, vengono bloccati di nuovo. La frustrazione esplode e si scarica di nuovo contro le forze dell’ordine. “Domani è il 29, tra un po’ ce ne torniamo a Viareggio. Pensate che ci manchi il coraggio di occupare la stazione in una città dove il dolore e la rabbia ancora sono fortissime” grida una manifestante.

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“Non abbiamo paura di niente” hanno gridato per tutta la mattina, quando ancora in piazza c’erano una cinquantina di lavoratori degli appalti ferroviari che dall’11 dicembre Moretti ha messo fuori. Da giorni alcuni di loro sono accampati all’ultimo piano di un palazzo delle FS in via Prenestina. Chiedevano di poter consegnare al Presidente Napolitano un messaggio affinché si interessasse della loro vicenda. Non gli è arrivato neanche un no, così come nessuna risposta ufficiale è stata data ai componenti del Comitato di Viareggio che più volte hanno chiesto di poter incontrare il distratto inquilino del Quirinale.

Ma a chi chiede verità e giustizia per i morti del 29 giugno del 2009, a chi ricorda le decine di lavoratori morti in questi anni nei cantieri della Tav (uno ogni 50 giorni, ricorda Antonini) nessuna udienza. L’inaugurazione va “in scena” (letteralmente) in un contesto di guerra: senza i cittadini, bloccati dalla militarizzazione dell’intero quadrante della capitale; con la metropolitana chiusa e i capolinea degli autobus allontanati. Sui binari della stazione manipoli di celerini, carabinieri con le maschere antigas al collo. Attorno al palazzo scintillante una barriera composta da una doppia fila di pannelli e reti alte tre metri impedisce non solo il passaggio ma anche la vista di quel che accade dentro. Fuori si grida ‘Licenziare moretti’ e si chiede a Napolitano perché ha nominato l’ad di Trenitalia nientemeno che Cavaliere sul Lavoro. Oggi i telegiornali dedicheranno loro, forse, un minuto e mezzo. Esigenze di palinsesto…

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