Il Pm Francesco Pinto ha chiesto il rinvio a giudizio per quattro persone. Si tratta del direttore ligure di Equitalia, Piergiorgio Iodice, e dei funzionari della stessa società concessionaria del servizio di riscossione tributi: Silvia Angeli, Roberto Maestroni, Pierpaolo Trecci. Le accuse nei loro confronti sono di abuso in atti d’ufficio e falso. Il caso risale al 2005 quando Equitalia era ancora Gestline, ma è diventato materia penale nel 2009 quando i figli di un proprietario di un appartamento in piazza Duca degli Abruzzi presentarono una denuncia. La vicenda riguarda un uomo ammalato di Alzheimer, che non aveva pagato una multa da 63 euro, e si era visto avviare da Equitalia una procedura di esecuzione immobiliare con una serie di passaggi viziati da pesanti sospetti, specie quando l’aggiudicazione dell’appartamento avviene – secondo il consulente della Procura – grazie ad una talpa interna alla struttura che ha effettuato il pignoramento.
La procura di Genova contesta tutta la pratica di Equitalia dall’inizio alla sua conclusione. Si parte dalla procedura esecutiva, ossia quella dell’esproprio. Fino al 2 dicembre del 2005 gli ufficiali della riscossione potevano “aggredire” un appartamento anche per un debito scaduto di appena 1500 euro. Successivamente il tetto è stato alzato a 8 mila euro, con un’altra condizione necessaria, ossia che l’importo complessivo del credito debba superare il 5% del valore dell’immobile. Con una memoria difensiva gli indagati sostengono che, purtroppo, all’epoca quelle erano le regole e quindi, messo in moto il meccanismo, non ci si poteva più fermare. Ma il consulente della Procura della Repubblica, Massimo Serena, la pensa diversamente. Dall’esame della documentazione sostiene che tutto l’iter si è messo in moto per una sola cartella da 63 euro. Non è tutto. Il consulente spiega che, prima di procedere all’esecuzione, Gestline avrebbe dovuto iscrivere una nuova ipoteca che avrebbe dato sei mesi di tempo al debitore per rimediare. In questo modo, secondo la Procura, sarebbe scattata la seconda violazione, quando l’appartamento venne espropriato con i nuovi limiti alzati ormai a 8 mila euro. “Senza dimenticare che, come raccontato nella denuncia, le multe non erano state pagate non per cattiva volontà (la famiglia è benestante) ma solo perché il proprietario era gravemente malato (è deceduto nel 2008) e anche la moglie soffriva di una patologia invalidante al cento per cento” sottlinea la cronaca genovese de La Repubblica che ha reso nota la vicenda.
La seconda parte delle accuse – anch’esse respinte dagli indagati – riguarda la messa all’asta dell’alloggio. La prima vendita all’incanto fu annullata con la giustificazione – falsa secondo il pm – che non era stata effettuata la pubblicità obbligatoria. La seconda asta, invece, secondo gli inquirenti venne tenuta nascosta allo scopo di non informare il proprietario espropriato e senza abbassare il valore come stabilisce la legge. L’anziano, infatti, per ragioni affettive, voleva ricomprarsi la “sua” casa, e invece di farlo all’asta, fu costretto a rivolgersi ai tre compratori che se l’erano aggiudicata con quella “procedura gravemente viziata”, pagando loro 200 mila euro. Per una multa da 63 euro.
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