Oggi a Cagliari sono arrivati a migliaia per manifestare nel giorno dello sciopero generale regionale convocato dai sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil nei comparti dell’industria e dei servizi. Almeno 5000 persone sono arrivate dal resto dell’isola ed è stata forte la partecipazione anche dal capoluogo. Un corteo aperto da uno striscione, portato da alcune lavoratrici, che recitava «Rossella libera», in riferimento alla cooperante sarda la cui liberazione era stata annunciata alcuni giorni fa da Al Jazeera e dalla stampa africana ma che invece rimane ancora nelle mani dei suoi rapitori.
Uno sciopero generale, quello convocato oggi dai confederali, per protestare contro una situazione ormai insostenibile nell’isola: disoccupazione alle stelle, centinaia di imprese chiuse o in via di chiusura a causa del taglieggiamento da parte di Equitalia e del prezzo dei prodotti agricoli e dell’allevamento che non permettono ai produttori di ripagare neanche le spese. Per non parlare dei grandi stabilimenti industriali chiusi o in via di chiusura a causa di delocalizzazioni e riduzioni degli impianti. Sono stati ben 30 mila i posti di lavoro persi nell’ultimo anno e ben 100 mila lavoratori che usufruiscono degli ammortizzatori sociali, molti dei quali in scadenza nei prossimi mesi. Quello di oggi è stato il quarto sciopero in poco meno di tre anni organizzato da Cgil-Cisl-Uil, il secondo in cinque mesi (lo scorso 11 novembre erano andati in 50 mila a manifestare a Cagliari). Se la situazione in Sardegna è pessima, nel Sulcis Iglesiente è tragica: la chiusura a raffica di una serie di fabbriche e la crisi di altre ha portato a tassi di disoccupazione ormai insostenibili, con un 57% di giovani che è senza lavoro e l’emigrazione che ha ricominciato a diventare la triste prospettiva di molti.
Il corteo, partito da piazza Garibaldi, è sfilato nel centro della città in un crescendo di rabbia e tensione. Già alla partenza gli operai dello stabilimento dell’Alcoa di Portovesme sembravano molto battaglieri. Armati dei loro caschi da lavoro, i lavoratori si sono lanciati sotto i portici di via Roma contro le vetrate del palazzo dell’assemblea regionale, animando una rumorosa protesta.
Poi, intorno alle 14, quando il corteo si era già concluso, sono stati proprio loro a compiere un blitz pacifico, occupando le scale del palazzo dell’Enel e ottenendo così un incontro con alcuni dirigenti della multinazionale dell’energia che gli operai accusano di praticare tariffe troppo elevate e punitive, che rischiano di condannare alla chiusura l’impresa per cui lavorano.
Poi la contestazione al segretario della Uil, scelto dalle tre confederazione per tenere il comizio finale ma evidentemente poco gradito ai settori più radicali scesi in piazza non solo contro il governo nazionale e le istituzioni locali sorde alle richieste dei lavoratori, ma anche contro il collaborazionismo di alcune realtà sindacali. Quando Angeletti ha preso la parola dal palco, dalla piazza si sono subito levati fischi, urla («Venduto, venduto») ed è partito anche qualche petardo. La contestazione, al grido di «l’articolo 18 non si tocca» è andata avanti per tutto l’intervento di Angeletti, che però ha fatto finta di niente ed è andato avanti fino alla fine del suo discorso. Particolarmente attivi nella contestazione alcuni lavoratori della Fiom, di Rifondazione, del Partito comunista dei lavoratori e della Cgil del Sulcis. Quando sono cominciati i fischi, la Uil ha schierato il suo servizio d’ordine a difesa del palco, ma la contestazione pur dura ha assunto solo forme verbali.
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