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«Questo governo se ne deve andare»

Oggi alle 12 il comitato promotore della manifestazione nazionale del 27 ottobre, No Monti Day, terrà una conferenza stampa praticamente sotto Palazzo Chigi (alla Galleria Colonna), per spiegare ai giornalisti i contenuti e le caratteristiche della manifestazione che vede crescere la spinta alla mobilitazione in tutta Italia contro il governo Monti ei trattati europei. Qui di seguito l’intervista a Franco Russo pubblicata oggi da “Il manifesto”.

Franco Russo, un vita in politica dal ’68 ad oggi, ex parlamentare con Rifondazione, membro del Forum diritti lavoro, è tra i promotori dell manifestazione nazionale di sabato 27, piena di «no» e di «sì».

«No» alle politiche della troika?
Il punto centrale della manifestazione è già nello slogan: No Monti Day. Nel nostro paese nessuna forza politica importante dice «no» alle politiche di questo governo. Che del resto è sostenuto dalla stragrande maggioranza del parlamento italiano. Cisl e Uil sono stesi a tappetino, e la Cgil – per non mettere in difficoltà Bersani – non indice scioperi generali. Ci sono critiche alle politiche di Monti, ma nessuna forza dello scacchiere parlamentare dice «no» al Fiscal compact, alle procedure del semestre europeo o all’Europlus Pact.

Come funziona questo «semestre»?
È una decisione Ecofin del 2010. A gennaio di ogni anno la Commissione emana un’indagine (survey) sulla situazione economica dei 27 paesi. Su indicazioni europee, i governi nazionali redigono i piani di «riforme» e di «stabilità» nazionali. A giugno la Commissione valuta i progetti di bilancio; a luglio l’Ecofin emana delle «raccomandazioni». Che orientano le leggi di bilancio nazionali, in Italia «legge di stabilità» attualmente in discussione. Sono procedure che vedono come protagonisti attivi la Commissione e l’Ecofin, supportati dalla Bce. I bilanci non vengono più decisi dai parlamenti nazionali, ma dalla tecnocrazia di Bruxelles.

E il Fiscal compact?
Il Trattato di Maastricht non prevedeva strumenti per «incidere» sugli stati nazionali. Per questo c’è stato prima il patto Europlus, nel marzo 2011, e poi il Fiscal compact. Che indica le misure sanzionatorie nel caso che gli stati non obbediscano alle «raccomandazioni». Pone due vincoli. Il pareggio di bilancio in Costituzione, e l’hanno già fatto; e far rientrare in 20 anni il debito sotto il 60% del Pil. Per l’Italia di tratta di fare 20 finanziarie nell’ordine dei 40-45 miliardi l’una. Al di sopra, oggi, c’è anche il «patto di stabilità europeo», d’intesa con la Bce. Un cappa di ferro sulle politiche di bilancio che espropria i parlamenti nazionali, nati proprio per gestire il potere fiscale, entrate e spese, al posto della monarchia.

C’è un problema di democrazia?
Diciamo che c’è una fuga dalla democrazia, verso un’oligarchia obbediente solo agli input dei mercati finanziari e delle banche. Che domina nella Ue e sugli stati nazionali.

È un problema non solo italiano…
Mettiamo al centro della manifestazione la dimensione europea. Perché è vero che l’Italia ha un gap da recuperare in termini di lotte contro Monti, ma ormai c’è bisogno di coordinare le lotte a livello continentale.

Non c’è già Il 14 novembre?
Inviterei i lettori de il manifesto a leggere l’appello con cui la Ces ha chiamato alla mobilitazione. Non c’è una parola contro i trattati europei. È una convocazione generica «contro le politiche di austerità». Che però hanno un nome e un cognome; strutture e strumenti corcitivi. Dobbiamo costruire un’opposizione che chieda ai governi e alla Ue che non siano loro a decidere quali trattati vanno messi in atto, ma che le popolazioni europee possano decidere con un referendum. Per esempio sul Fiscal compact, per dirne uno. Se oggi non c’è un coordinamento europeo contro l’Unione europea – contro le strutture decisionali, non solo le politiche – non si riuscirà mai a livello nazionale a invertire la tendenza.

Che aria tira per il 27?
Non per far retorica, ma la spinta va crescendo. Nel vuoto politico assoluto, è la prima manifestazione contro il governo Monti. Averla convocata rappresenta un punto di riferimento per le lotte di tutti. Per i lavoratori di ogni categoria, il Sulcis, gli insegnanti, i no tav, le donne, gli studenti, gli esodati, i pensionati, ecc. Per la prima volta dopo anni tutto il sindacalismo di base si ritrova di nuovo unito in una mobilitazione. È una giornata politica, non di rivendicazioni particolari, Si dice Monti deve andarsene e le sue politiche vanno radicalmente capovolte. Servono politiche di rilancio, come anche molte altre forze – dalla Fiom a Sbilanciamoci – dicono. Non c’è solo la Fornero o qualche ministro, a non andare. È il governo Monti tutto insieme a dover esser mandato via. Insieme alla sua «maggioranza di responsabilità nazionale», per esser chiari.

da “il manifesto”

In più, una lettura molto chiara delle dinamiche “politicanti” intorno alla legge di stabilità.

Manovra Istat e Corte dei Conti bocciano la propaganda governativa sulla legge di stabilità. Partiti della maggioranza in sofferenza, mentre si prepara la manifestazione di sabato contro l’esecutivo
Grilli dà i numeri, già smentito Napolitano blinda la manovra
Francesco Piccioni

Lo scambio «più Iva, meno Irpef» penalizza tutti i redditi più bassi

Il governo spara numeri non credibili sull’effetto della «legge di stabilità», i partiti della «strana maggioranza» (soprattutto il Pd) soffrono il progressivo malcontento dei potenziali elettori, Giorgio Napolitano interviene per zittire le critiche. Arrivando persino ad invocare un’inquietante informazione più «allineata», disponibile a rilasciare «una nuova narrativa che metta bene in luce i benefici dell’appartenenza all’Unione europea e o costi della ‘non Europa’».
Andiamo però con ordine. Il ministro dell’economia, Vittorio Grilli, apre la giornata buttando lì che la manovra finanziaria proposta dal governo – con il ritocco delle aliquote Irpef per i redditi fino a 28.000 euro annui – porterà benefici «al 99% dei nostri contribuenti». Quantifica il beneficio medio in «160 euro pro capite», che interesserebbe per «il 54% i contribuenti con lavoro dipendente, il 34% ai pensionati» e così via. Silenziatore gigante sugli effetti dell’aumento dell’Iva (+1% da luglio) e anche sulla «rimodulazione» (un taglio netto) del meccanismo di deduzioni-detrazioni fiscali (su mutui, spese mediche, ecc).
Nemmeno il tempo di chiedersi come abbia fatto i conti, che gli piove sulla testa una pioggia di smentite altrettanto «tecniche», ma condite con indagini decisamente più serie della «propaganda governativa» (definizione di Bersani, addiritura). Il presidente dell’Istat, in audizione parlamentare, ha immediatamente fatto rilevare che con questa manovra «la situazione delle famiglie» potrebbe precipitare, visto che «nel secondo trimestre 2012 il potere di acquisto si è ridotto del 4,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso». Anche sul taglio delle detrazioni, «le famiglie con figli» saranno comunque «svantaggiate» dal fatto che «la cura dei figli riduce la probabilità di lavoro delle madri». E quindi il «beneficio» di 240 euro annui (20 euro al mese) derivante dalla riduzione dell’Irpef verrà ampiamente mangiato e superato dagli effetti dell’aumento dell’Iva, che peserà sui «prezzi di beni e servizi relativi a quasi l’80% della spesa per consumi» (dalla benzina al traffico telefonico).
Ancora pochi minuti e arrivata il colpo di maglio del presidente della Corte dei Conti – dalla competenza «tecnica» inappuntabile, al pari dell’Istat – che conferma: la soluzione «più Iva meno Irpef», oltre all’introduzione di franchigia e tetti più bassi per deduzioni-detrazioni, è «sfavorevole per i contribuenti collocati nelle fasce più basse di reddito». A guadagnare meno di 15.000 euro annui, infatti, sono ben «20 milioni di soggetti». Ma soprattutto la riduzione Irpef non riguarda minimamente quelli ancora più poveri, ovvero i 10 milioni di «incapienti». Mentre «l’aumento delle aliquote Iva inciderebbe in misura significativa» proprio sui meno ricchi.
Per un ministro – Grilli – che aveva osato attribuire alla manovra il potere di «ridurre e ridistribuire il carico fiscale, in particolare per le famiglie, ponendo attenzione all’equità», non poteva esserci contestazione più severa.
Il pur disponibile Pierluigi Bersani si è insomma sentito confortato nel chiedere «modifiche», perché dire che così com’è non pesa sui cittadini e la domanda interna è ardito». Un segnale che potrebbe rendere più accidentato l’iter parlamentare delle legge.
Su questa discussione, teoricamente aperta, è intervenuto dall’Olanda il presidente Napolitano. Per chiuderla. «Non abbiamo fatto tutto quello che abbiamo fatto in questi ultimi dodici mesi per poi buttarne via i benefici». Quasi un preannuncio di voto di fiducia, se le critiche dovessero tradursi in emendamenti che non rispettino «i saldi» fissati dal governo. La strada che ci sta davanti non ha per lui alternative: «Non ci resta che avanzare nell’integrazione europea». Anche le «incognite» del risultato elettorale, in questa visione, non sono tali da lasciare margini ad altre ipotesi. Chiunque vinca, dovrà adeguarsi…

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