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Le tasse che si mangiano salari e pensioni

L’organizzazione fiscale dello Stato si conferma come uno strumento di sottrazione di reddito e ricchezza dai lavoratori e pensionati a favore dei ricchi o di inutili e costose grandi opere. Ma appena le banche alzano un sopracciglio … il governo obbedisce.

Nella busta-paga di marzo i lavoratori e i pensionati, in tutte le Regioni, dovranno pagare il conguaglio 2011 dell’aumento dell’addizionale regionale Irpef deciso con il decreto Salva Italia del governo Monti. L’aumento è pari allo 0,33 per cento dell’aliquota base (cioè quella che non è nella discrezionalità delle Regioni) e porta l’aliquota dallo 0,9 all’1,23 per cento. Già nella busta paga del mese di febbraio, appena alle nostre spalle, c’è stato un altro piccolo salasso: il previsto acconto del 30 per cento dell’addizionale del 2012 che quest’anno è stato più salato del 2011 perché comprende l’aumento dello 0,33. Le buste paga di questo mese saranno giocoforza più leggere perché si paga per la prima volta il conguaglio dell’aumento delle addizionali regionali. Una decisione retroattiva che si accompagna all’acconto del 30% delle addizionali comunali.

Ma l’orizzonte è ancora più cupo per i redditi di lavoratori e pensionati. Il pagamento a metà giugno della prima rata dell’Imu si avvicina e i comuni italiani si preparano ad alzare la tassa sulle abitazioni secondo quanto stabilito dal Governo. Al momento tredici amministrazioni comunali sono già pronte a riscuotere i nuovi importi dalle famiglie, nella maggior parte delle città si attenderà fino al 30 giugno per ricalcolare la tassa e mettere in atto gli aumenti, in questo caso il peso della stangata fiscale si sentirà soprattutto quando arriverà il momento di versare la seconda rata, fissata per il 16 dicembre. Tra le amministrazioni comunali che hanno già fissato i rincari ci sono Firenze, Cuneo, Salerno, Reggio Emilia, Trento, Parma, Ferrara, Roma e Bologna, dove gli aumenti superano perfino il 30 per cento. Tra l’altro I Comuni dovranno pagare allo Stato l’Imu sulle case popolari di loro proprietà; la stessa cosa dovranno fare i vari Istituti case popolari presenti nei Comuni italiani. Si tratta di una norma profondamente ingiusta che toglie ulteriori risorse ai Comuni e mette in ulteriore grande difficoltà gli enti locali che hanno maggiormente investito sulle politiche per la casa. Anche le famiglie che stanno pagando un mutuo – cos’ come per l’Ici – dovranno pagare l’Imu anche se le case in cui abitano non sono ancora loro, visto che sono ipotecate e che se cessassero di pagare le rate del mutuo la banche gli porterebbero via la casa stessa.

Una disamina onesta del sistema fiscale italiano, porta dritti dritti alla conferma che anche davanti al fisco prevalgono le discriminazioni di classe, con una storia, un presente e un futuro che vede il sistematico trasferimento di ricchezza dal lavoro alla rendita, anche sul piano dell’organizzazione delle imposte.

I dati della Banca d’Italia, ci dicono che l’Irpef raccolta dallo Stato nel 2010 è stata pari a circa 160 miliardi di euro. Di questi ben 120 provengono dai salari dei lavoratori dipendenti e dalle pensioni (erano 98 nel 2005), mentre quasi 13 provengono dai lavoratori autonomi, il resto dall’autotassazione. Il totale delle imposte dirette è pari a 213 miliardi, di questi solo 1 viene dalle imposte sui depositi bancari, meno di 5 dalle imposte sugli interessi sulle obbligazioni, mentre poco più di 1,4 miliardi vengono da plusvalenze, risparmio gestito e dividendi. In totale le imposte sulle attività finanziarie sono diminuite dagli 8,8 miliardi del 2005 ai 7,5 del 2010. Le imposte sul reddito delle società e delle imprese portano in cassa circa 37 miliardi (erano 33,7 nel 2005). Alle imposte sul reddito gestite e “recuperate” dallo Stato centrale si sommano (e non si sostituiscono, come hanno menato per l’aria per anni tutti i sostenitori del federalismo) le imposte locali riscosse da Regioni e Comuni. L’Irpef regionale era già passata dai 6 miliardi del 2005 ai 27,3 miliardi del 2010, mentre quella comunale era passata dagli 1,5 del 2005 ai 2,7 del 2010.

A questi dati dovremmo aggiungere anche un ragionamento sulle imposte indirette (tra cui l’Iva), un sistema che apparentemente colpisce tutti “equamente” ma con la sostanziale differenza che un’aumento dei prezzi e delle tariffe ha un effetto più pesante su chi dispone di potere d’acquisto minore rispetto a chi dispone di maggiori risorse. Il pieno di benzina alla pompa costa uguale per il precario del call center e l’operaio o per il trader o il manager, ma pesa assai diversamente sulla loro disponibilità economica. Non solo. Ci sono molti casi in cui i costi possono essere scaricati mentre per altri è impossibile. Ad esempio i rimborsi fiscali previsti nel 2011 sono diminuiti dai 10,7 miliardi del 2006 agli 8,7 miliardi di quest’anno. Ma nell’anno migliore per i rimborsi di imposte non dovute – il 2009 – su 14,6 miliardi di rimborsi, questi erano andati solo 1,5 alle famiglie, mentre 4,5 alle imprese e 8,6 ai rimborsi dell’Iva (restituzione di cui i lavoratori dipendenti non possono usufruire). Infine, l’aumento delle imposte indirette (Iva e accise soprattutto) sta facendo schizzare verso l’alto tutti i prezzi, con una riduzione sempre più pesante del potere d’acquisto di salari e pensioni.

 

Si calcola che solo il 3,68% dei contribuenti abbia dichiarato un reddito da 55.000 euro in su. Ciò significa che più del 96% ha o dichiara un reddito inferiore. E’ chiaro che dentro questo 96% c’è anche un po’ di evasione fiscale, ma ci sono anche e soprattutto i quasi 16 milioni di lavoratori dipendenti e altrettanti pensionati. Eppure, come vediamo è proprio sui redditi più bassi – quelli da lavoro dipendente o da pensione – che il sistema fiscale recupera la maggioranza delle imposte. Perché? Perché sono più numerosi dei ricchi ma pesano meno. Per le banche è stato sufficiente che l’Abi alzasse appena appena la voce, senza neanche minacciare scioperi o serrate e il governo Monti sta già provvedendo a togliere il provvedimento sulle commissioni che le banche si trattengono – oltre agli interessi – sulle fideiussioni bancarie. Quando si parla di interessi generali che devono prevalere sulle specificità, i tecnocrati del governo indicano chiaramente che gli unici a dover fare i sacrifici sono i lavoratori, anche se sono molto più poveri, numerosi e “generali” dei banchieri.

 

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