Ha proclamato 16 ore di sciopero “contro la riforma del mercato del lavoro e l’attacco all’art. 18”, ma intanto giudica “un vero passo indietro del governo” la formulazione che lascia il reintegro come “evento estremo e improbabile”. Una presa per il culo che fa fatica a passare anche nel superblindato Direttivo nazionale. Per la prima volta la segretaria craxiana della Cgil si è trovata ad affrontare dissensi veri all’interno della propria maggioranza, oltre che l’opposizione frontale dell’area di sinistra (La Cgil che vogliamo) di Rinaldini, Landini e Cremaschi.
Ha rilanciato l’intesa con Cisl e Uil cui proporrà uno sciopero generale, ma sul fisco e la crescita, affossando così le mobilitazioni sull’art. 18, la precarietà, la riduzione degli ammortizzatori sociali. Su questo ha ottenuto alla fine un “mandato”. Una piccola furbata per uscire dal cul de sac in cui si era infilata da sola.
Ma che la Cgil esca divisa da questa fase dà anche la misura di quanto la pressione sociale dal basso, dai luoghi di lavoro e dagli iscritti, si stia facendo sentire. Basti pensare che il contratto dei bancari – teoricamente “blindato” visto che era stato firmato da Cgil, Cisl, Uil e Fabi, è stato bocciato dal 40% della categoria, pur avendo a favore del “no” soltanto la Falcri e la minoranza Cgil. E, da fonti attendibili, apprendiamo che in realtà per far vincere il “sì” sono stati necessari anche sostanziosi brogli.
Articolo 18, Direttivo divisoFrancesco Piccioni
L’ora più difficile della Cgil è stata affrontata da un Direttivo nazionale mai così perplesso e diviso. La relazione introduttiva del segretario generale, Susanna Camusso, ha sollevato problemi anche tra i suoi fedelissimi, senza peraltro che arrivassero a partorire un voto contrario. Del resto liquidare la vicenda dell’articolo 18 come «un vero passo indietro del governo» è stato un boccone duro da mandar giù. Anche il «camussiano» di ferro Onorio Rosati, segretario milanese che il giorno prima aveva giodato uno sciopero generale cittadino, se ne sarebbe uscito con un dubbioso «non posso tornare a Milano dicendo che il 18 va bene così». Tutto il paese – e soprattutto tutti gli iscritti alla Cgil hanno sentito il premier Mario Monti sillabare con durezza che il reintegro, con questa «riforma», diventa un evento «estremo e improbabile». Tutt’altro che una garanzia, insomma.
Non che siano mancate le critiche all’esecutivo. Anzi, «manca l’equità» e «cambiare le politiche del governo» è un obiettivo fondamentale della Cgil. Il 10 maggio viene lanciata una mobilitazione «contro la precarietà», per esempio. Ma i punti messi al centro delle prossime iniziative parlano di «redistribuzione fiscale», «contrasto all’evasione e al sommerso», «lotta alla corruzione» e un «piano per il lavoro». Il mercato del lavoro e le sue radicali trasformazioni sono già archiviate tra i fatti compiuti e non più modificabili.
La stella polare del futuro prossimo è nel rapporto con Cisl e Uil, con cui andrebbe concordata una «mobilitazione unitaria con al centro il tema del fisco». Ma qui si è verificato un chiaro pasticcio: come si fa a pensare a uno sciopero generale su fisco, insieme a Cisl e Uil, e contemporaneamente mantenere ferme – come è stato detto – le «16 ore di sciopero comprensive di una scadenza generale di 8» della sola Cgil sul ddl? Inevitabilmente, vien da pensare che la seconda verrà lasciata cadere a favore di quella unitaria. E con ciò anche il tema del mercato del lavoro.
Tra i tempi ritenuti centrali da Camusso, per quanto possa risultare soprendente in un sindacato, c’è però anche «il problema dell’antipolitica» che monta nel paese. Con trasparenti riferimenti «oggettivi» al rapporto con il Pd; quasi la riproposizione di uno schema che somiglia – in pallido – alla storica «cinghia di trasmissione».
Le perplessità hanno prodotto alla fine una pioggia di emendamenti. Alcuni «finti», come si usa dire in gergo. Altri «veri», che però non sono stati accettati dalla segreteria. Il principale è stato presentato da Nicola Nicolosi, membro della segreteria confederale e coordinatore dell’area Lavoro e società, insieme a Domenico Pantaleo, segretario della Flc. Chiedevano di mantenere un «giudizio negativo sulla nuova formulazione dell’art. 18», visto che al Senato si sta ancora discutendo sugli emendamenti proposti dalla stessa Cgil («il giudice «deve reintegrare sul posto di lavoro» invece di «può»).
L’emendamento più insidioso per la maggioranza è stato presentato dalla federazione dell’Emilia Romagna, che parlava di «inadeguatezza del risultato raggiunto» sul ddl. Non una condanna, ma nemmeno un’approvazione. E tanto è bastato a far sospendere a lungo il Direttivo alla ricerca di una «quadra» accettabile per tutti.
L’area «La Cgil che vogliamo», che può contare su dirigenti importanti come Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini, Francesca Redavid (che è intervenuta illustrando un «giudizio globalmente negativo» su come è stata gestita la partita e, ovviamente, sul «risultato») non ha proposto nessun emendamento, preannunciando un voto interamente contrario e negativo. Nonché la prosecuzione dell’ondata di mobilitazioni già in atto, anche insieme ai movimenti sociali che hanno condiviso l’appuntamento di Bologna, sabato scorso, ed altri che vanno in direzione simile.
Caustico più di altre volte Giorgio Cremaschi, che ha definito addirittura «Cgil, Cisl e Uil una stampella del governo; ci si mobilita solo per far evedere che si esiste e non davvero contro». Poi, in tarda serata, le votazioni, su cui riferiremo domani.
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rossella
La battaglia per il 18 non e’ finita. La proseguiremo noi Fiom, movimenti, sindacalismo di base,e chi altri ci vorra’ stare. A mare la Camusso e i suoi compari.