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Ciò che è successo la nottata di martedì 7 maggio non è stata una tragica fatalità. Chi lo ripete incessantemente vuole solo farci accettare l’ennesima catastrofe, non identificandone le cause nel sistema portuale così com’è.
Un ingranaggio complesso, impersonale e disumanizzante in cui ci sono responsabilità precise ed identificabili. Queste colpe ricadono su tutti coloro che hanno “abdicato” al proprio ruolo di regia pubblica e su tutti i soggetti privati che impongono i loro standard, in particolare rispetto alla sicurezza. Non bisogna poi dimenticare la casta di politici pronti a genuflettersi al cospetto dei “padroni del mare” ed i sindacalisti conniventi.
Chi voleva farci metabolizzare in fretta il lutto, ci ha trattato come soldati in trincea, carne da cannone in una guerra in cui si deve continuare a lavorare con i corpi dei nostri compagni della “comunità portuale” ancora dispersi.
Chi poi non riesce a perdere l’occasione per ribadire la necessità di Grandi Opere che aumenterebbero il flusso delle merci in porto, minimizzando il problema della sicurezza, vuole sacrificare le nostre vite di lavoratori e di abitanti dei territori inte ressanti a queste opere sull’altare della rendita del “partito del cemento”.
Questa volta è sta superata in negativo la soglia della decenza con un coro una nime di voci che si è levato per cerca re di imporre il fatto che tutto dovesse continuare come prima…E le lacrime di coccodrillo in stile Fornero dell’armatore non sono state la parte più schifosa di questo spettacolo.
Il loro messaggio è chiaro: le stragi sul lavoro – ma si potrebbe dire anche i cosiddetti “disastri e devastazioni ambientali” – sono la normalità, quindi bisogna accettarle. L’indignazione e la rabbia devo no essere una breve e transitoria reazio ne da archiviare in fretta: tutto, appunto, deve continuare come prima. Gli infortuni anche gravi e gli incidenti che avvengono in porto potranno trovare al massimo lo spazio di qualche trafiletto sul giornale locale quando riescono a varcare la bar riera di omertà dei massmedia.
Genova deve adeguarsi a divenire la città delle “piccole” e grandi catastrofi uma ne: alluvioni mortali prima a Sestri poi in Valbisagno, esplosioni che fanno tremare le case e crepano i muri come in Centro Storico, muraglioni di contenimento che franano come al Lagaccio, grandi proget ti di devastazione ambientale come in Val Polcevera e non solo e stragi sul lavoro…
Chi ha reagito a queste ennesime morti in porto imponendo uno sciopero che non fosse una pura formalità, chi ha sgomitato per fare ascoltare un punto di vista operaio sulla vicenda, chi ha cercato di far sì che il teatrino della coesione di vittime e carnefici del lutto ha fatto ciò che bisognava fare, noi abbiamo dato il nostro contributo, come tanti altri, ma bisogna continuare…
L’autonomia mostrata nei giorni successivi alla strage, seppure ha coinvolto solo una parte dei lavoratori portuali, deve sedi mentarsi, consolidarsi, crescere, trovando gli strumenti organizzativi più idonei, le forme di lotta più adeguate, le modalità di comunicazioni più efficaci, per continuare a porre con forza i nodi dell’attuale condi zione operaia portuale.
Per questo riproponiamo l’ipotesi politica del Collettivo e continuiamo l’esperienza di questa rivista, socializzando alcuni “pezzi” di ragionamento che vogliamo condividere con il più ampio numero possibile di lavo ratori, per cercare di essere all’altezza di un universo senza risposte, come scriveva Carla Lonzi.
Queste riflessioni sono sia il frutto delle nostre discussioni, sia di relazioni con di versi compagni e situazioni che hanno vo luto contribuire in differenti modi a questa esperienza autoorganizzata nel corso di questi mesi, ormai anni.
Siamo convinti che senza il patrimonio di relazioni maturate in questi anni tra alcuni lavoratori, la tenacia nell’avere organizza to precedentemente iniziative di lotta, la capacità di saper leggere la fase politico-sindacale in corso, la rabbia espressa sa rebbe potuta essere incanalata nei sterili meccanismi di rappresentazione formale delle istanze dei lavoratori come in pas sato e buona solo a dare da mangiare a qualche burocrate in più…
Pensiamo che non sia solo auspicabile, ma necessario continuare a camminare con le proprie gambe e pensare con le proprie teste: abbiamo bisogno di un cervello collettivo in movimento con tanta rabbia in corpo, anche e soprattutto per ché i residui della rappresentanza sinda cale e politica hanno dimostrato nuova mente la loro inutilità.
Noi siamo ostinati come sempre e più de terminati di prima…
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